Lorenzo Matteoli
HAMAS, Movimento di Resistenza Islamica, è un movimento politico militare Sunni Palestinese che governa settori della striscia di Gaza occupati da Israele. Si è formato alla fine del 1987, all’inizio della prima intifada palestinese come ramo palestinese dei Fratelli Musulmani (Muslim Brotherhood) ed è sostenuto da una solida struttura socio-politica all’interno dei territori palestinesi. Il gruppo è impegnato nella resistenza armata contro Israele e ha come scopo la creazione di uno Stato Palestinese Islamico al posto dello Stato di Israele.
Un recente sondaggio d’opinione tra i palestinesi mostra un aumento del supporto popolare ad Hamas, anche nella Striscia di Gaza, e un rifiuto schiacciante del presidente Mahmoud Abbas, sostenuto dall’Occidente, con quasi il 90% degli intervistati che vuole le sue dimissioni.
Dalla sua fondazione (1987) il rapporto fra Hamas e Israele è un rapporto di guerra dove Hamas vuole la cancellazione dello Stato di Israele e Israele si difende e vuole la cancellazione di Hamas.
Ogni tentativo di negoziato e compromesso (i.e. accordi di Oslo 1993) è stato boicottato ora da una, ora dalle due parti.
Israele ha continuato a invadere territori palestinesi, Hamas per rappresaglia ha continuato una guerriglia di terrore, culminata nel feroce criminale massacro di civili del 7 Ottobre.
Dopo il 7 Ottobre Israele ha invaso gran parte della striscia di Gaza con un intervento che ha provocato finora 30.000 morti palestinesi civili (secondo Hamas) 28.000 secondo fonte Israeliana.
In Europa e negli Stati Uniti l’opinione pubblica si è divisa in due partiti: pro-Palestina e pro-Israele.
Su questa divisione ripubblico, in calce, la posizione di Bernard-Henry Levy a favore di Israele, posizione che condivido.
Aggiungo alcune considerazioni agli argomenti di HBL
- Israele combatte una guerra provocata e iniziata da Hamas il 7 Ottobre con una aggressione di orrenda criminale ferocia (cfr)
- I Palestinesi, che in grande maggioranza supportano Hamas, ne condividono le responsabilità: hanno fornito uomini, logistica, strutture, denaro ad Hamas e non possono dichiararsi “vittime” di Hamas. “Sono” Hamas.
- Israele combatte per la sua sopravvivenza.
- Ultima considerazione e forse la più importante: chi oggi accusa Israele molto probabilmente non conosce, non si è reso conto, non ha valutato l’immane torto che gli Ebrei hanno subito durante la Seconda Guerra Mondiale. Un crimine che non avrà mai riscatto nella storia.
È vero la reazione di Israele al 7 Ottobre è stata ed è feroce: ma è la reazione di chi viene minacciato, credibilmente, di essere annullato da una potente coalizione islamica mondiale. È difficile chiedere moderazione.
E’ giusto chiedere l’intervento dell’ONU per smantellare l’organizzazione terrorista Hamas, è giusto chiedere l’intervento dell’ONU per far cessare l’azione di rappresaglia di Israele che non potrà comunque ignorare la minaccia di Hamas finché questa organizzazione resterà operativa.
Lorenzo Matteoli
Medio Oriente, perché difendo Israele
Pubblicato il 27 novembre 2023 da matteolilorenzo
Bernard-Henri Lévy
Mettere Hamas in condizione di non nuocere è necessario per la liberazione dei palestinesi stessi e per la costruzione della pace
26 NOVEMBRE 2023
C’è chi, dal 7 ottobre in poi, ha dichiarato a gran voce il proprio sostegno per la “causa palestinese”. Poi c’è chi, domenica 19 novembre, ha sfilato in silenzio e senza parole d’ordine, proibendosi di sostenere una parte o l’altra.
Io, per parte mia, sostengo Israele. Come le donne e gli uomini di buona volontà, membri del collettivo Une autre voix, che hanno marciato domenica 19 novembre «per l’unione e la pace», piango tutte le vittime civili di questa guerra atroce.
E il militante per i diritti umani che sono e che ha trascorso una parte della sua esistenza a segnalare il destino degli uiguri, dei ceceni, dei bosniaci assediati, dei tutsi e degli abitanti del Darfur vittime di genocidio, delle centinaia di migliaia di siriani massacrati nell’indifferenza del mondo, delle vittime senza nome di tutte le guerre dimenticate e anche, beninteso, dei palestinesi decimati dai loro “fratelli” giordani, ostracizzati dai loro “protettori” egiziani, sacrificati dalle nazioni “sorelle” del mondo arabo-musulmano oltre che dai loro stessi indegni dirigenti, questo difensore dei diritti umani non può che essere disgustato, certo, anche lui, dalle immagini insostenibili che arrivano da Gaza.
Ma sostengo Israele perché questa guerra è stata voluta da Hamas e non c’era altra scelta, ahimè, che combatterla. Sostengo Israele perché affronta una coalizione di forze che va da Hamas a Hezbollah passando per gli huthi dello Yemen e che, se mai dovesse riportare anche solo la mezza vittoria di un “cessate il fuoco” senza liberazione di ostaggi, si allargherebbe ulteriormente.
Sostengo Israele perché so che, dietro queste forze, si nascondono il potente Iran (che le finanzia), l’immensa Russia (l’unico Paese ad aver accolto con tutti gli onori i responsabili del pogrom del 7 ottobre) e, in un certo modo, la Turchia (Erdogan, davanti al suo Parlamento, ha «maledetto» Israele definendolo uno «Stato terrorista» la cui «legittimità» sarebbe «messa in dubbio» dal «suo stesso fascismo»).
Sostengo Israele perché la Cina per il momento si limita a dichiarare, tramite il suo ministro per gli Affari esteri, Wang Yi, che l’atteggiamento di Israele «rimette in dubbio i concetti di bene e male e i principi fondamentali dell’umanità» (nientemeno!); ma basterebbe un passo in più per farla entrare a sua volta nel gioco e costituire, contro l’unica democrazia della regione, la stessa alleanza stretta contro l’Ucraina e divenuta, oggi, la più grande sfida contro la pace e la libertà nel mondo (si può, ed è il mio caso, aver sempre condannato la politica di colonizzazione israeliana in Cisgiordania ma non si può non vedere che oggi il vero colonialismo, l’imperialismo davvero temibile e sul piede di guerra ovunque, è quello dei nostalgici degli imperi cinese, persiano, arabo, ottomano e russo).
Sostengo Israele perché questa non è una guerra normale, che mira a liberare un territorio (la Striscia di Gaza, non lo ripeterò mai a sufficienza, dal 2005 era, per la prima volta nella sua storia, una terra libera da ogni tutela, grande otto volte la città di Dubai e di cui l’Autorità palestinese avrebbe potuto fare l’embrione di un proprio Stato…), ma una guerra totale (che mira — le parole hanno un senso! — a eliminare ogni ebreo presente in quell’area del Vicino Oriente che si trova “fra il mare e il Giordano”).
Sostengo Israele perché ho seguito numerose guerre — in particolare, nel 2016 e nel 2017, ho filmato per Arte la liberazione di Mosul, la capitale dello Stato Islamico — e non ho mai visto un esercito che, di fronte alla tragedia da sempre rappresentata dalla presenza di civili in una zona di combattimento, abbia posto tanta cura nell’annunciare i propri colpi, lasciare agli abitanti il tempo di evacuare le zone sotto attacco e, quando chi li comanda vi si oppone e fa di loro dei bersagli umani, tentare di scortarli lungo un corridoio umanitario aperto, per l’occasione, per sei ore al giorno, tutti i giorni, lungo la via Salah-al-Din.
Sostengo Israele perché all’indomani del 7 ottobre sono andato nei kibbutz investiti dal pogrom; mi sono preso il tempo per parlare con i familiari degli ostaggi e con i soldati dell’esercito israeliano pronti a entrare a Gaza; ho interrogato i miei amici del campo della pace come i dirigenti dello Stato; ho ascoltato anche chi, negli Stati Uniti e in Europa, è al contempo sconvolto dallo spettacolo di Gaza in rovina e convinto che Hamas debba essere distrutta; e non ho ancora trovato, da nessuna parte, qualcuno che fosse capace di proporre, per raggiungere questo obiettivo tattico e strategico, un metodo nettamente diverso da quello messo in atto dal gabinetto di guerra di Gerusalemme.
Sostengo infine Israele perché mettere Hamas in condizione di non nuocere è condizione necessaria per la liberazione dei palestinesi stessi e per la costruzione della pace con Israele; ci sono altre condizioni, certo: bisognerà che il governo Netanyahupassi la mano; che la società civile che prima della guerra si radunava ogni sabato, sempre più numerosa, nelle strade di Tel Aviv torni a farlo; ma prima di tutto è necessaria, per quanto amara possa essere, la vittoria di Israele.
(Traduzione di Alessandra Neve)
Ecco l’articolo di Bernard-Henri Levy.
Io non ho né l’autorevolezza, né l’esperienza, nè il vissuto per scrivere un articolo come questo, ma nulla di quanto ho letto finora rappresenta meglio quello che sento e quello che penso.
LM