Il “capo” dei 5S (si fa per dire: ancora in gestazione dopo mesi di palude) ha dichiarato che vuole portare il non-partito di nuovo al rango di “primo partito”.
Dalle prime mosse sembra che la strategia per ottenere questo risultato sia quella di fare il partito “di governo e di opposizione”. Ovvero piantare grane al governo con irragionevoli ricattuali demagogiche proposte finalizzate ad accontentare la base del movimento di puerili incompetenti.
In una logica politica corretta i voti si guadagnano governando bene approvando leggi utili e indispensabili ma non sempre gradite alla linea demagogica populista: esattamente l’opposto del progetto dell’avvocato che arriva dopo mesi di contorsioni a una ipotetica leadership della banda di bambocci arroganti incapaci di progetto e di visione e affascinati solo dalla demagogia più criminale.
Tempi duri per la ragione.
Sarà da vedere se i mesi di sciagura del governo Lega-5S dominato dalla stupidità e dall’arroganza avranno insegnato qualcosa agli elettori italiani.
Sarà anche da vedere se Mario Draghi aka whateverittakes consentirà agli sfasciati 5S lo spazio per le loro demagogiche esercitazioni e quanti voti perderanno per farle.
Salvini ha capito che con Draghi non c’è molto spazio per fare il doppio gioco e sta tentando un’altra strada: assorbire Berlusconi per bloccare la marcia trionfale di Meloni e andare al governo con un partitone di “destra italiana”.
Una mossa con molte incertezze:
quanto resta di Forza Italia dopo che Salvini la risucchia? Forse un 3%.
Quanto perde la Lega di Leghisti in fuga da Meloni perchè non tollerano il pacchetto con Berlusca? Forse il 6-8%.
Quanto guadagna il PD da quelli che non l’hanno mai votato ma non vogliono un governo Salvini 2.
Leggere, su La Stampa di oggi, il quadro complessivo del disastro economico in corso nell’editoriale preciso e documentato di Massimo Giannini, mentre Giorgia Meloni e i suoi ministri sembrano tante “vispe terese”. Meno Giorgetti che “balbetta” e Fitto che “impapocchia”.
Ecco un estratto dall’articolo di Massimo Giannini:
……………
“…..Il fronte interno è ancora più vischioso. Come osserva opportunamente Alessandro Penati, tanto “compiacimento per le previsioni gratificanti di crescita del nostro Paese” potrebbe portarci presto a “un brusco risveglio”. Al di là della spinta momentanea dell’edilizia drogata dal Superbonus, delle ottime performance di alcune filiere produttive come l’agroalimentare e dell’export manifatturiero, la politica economica è confusa, contraddittoria, corporativa. La Melonomics, semplicemente, per adesso non esiste. Non è una critica faziosa, perché finora non esiste nemmeno una Schleinomics. È, più banalmente, la somma delle gravi criticità evidenziate in questi ultimi giorni da tutte le principali istituzioni indipendenti.
L’ultimo a smontare il vacuo storytelling della presidente del Consiglio e del suo ineffabile ministro del Tesoro è l’Fmi, che invoca “un piano credibile di riduzione del debito a medio termine”, suggerisce una revisione del sistema previdenziale con “un’età pensionabile collegata alle aspettative di vita, prestazioni maggiormente allineate ai contributi e abolizione dei regimi di prepensionamento”, consiglia un Fisco che “incoraggi l’occupazione, abolisca le spese fiscali inutili, rafforzi la riscossione delle entrate, tuteli la progressività”. La Banca d’Italia, in audizione alla Camera, è inflessibile sulla delega fiscale: mancano “le opportune coperture finanziarie”, non è chiaro “né quali incentivi saranno oggetto di razionalizzazione né quindi l’entità delle risorse che potranno essere recuperate”, ma soprattutto il sistema ad aliquota unica e a riduzione del carico fiscale risulta “poco realistica per un Paese con un ampio sistema di Welfare, specie alla luce dei vincoli di finanza pubblica”.
La Commissione europea, nelle sue Raccomandazioni, non fa sconti: contesta le “inefficienze strutturali nel settore pubblico” che “scoraggiano gli investimenti e rallentano la crescita della produttività”, dal lato delle uscite rimarca il perdurante “squilibrio macroeconomico eccessivo” e la necessità di limitare “l’aumento nominale della spesa primaria”, dal lato delle entrate critica l’imposta ad aliquota unica (aka flat tax) che “accresce i rischi legati all’equità” e anche la riduzione del numero di scaglioni che “ostacola la progressività del sistema fiscale”, fino ad arrivare alla riforma costituzionale dell’autonomia differenziata, che “senza risorse aggiuntive” non garantirà mai “i livelli standard dei servizi nelle regioni con bassa spesa storica”. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio è ancora più severo: il passaggio dagli attuali scaglioni Irpef a uno schema ad aliquota unica (aka flat tax) “determina effetti redistributivi che penalizzano i soggetti con redditi medi e favoriscono quelli con redditi più elevati”, a meno di rinunciare “a una quota elevata di gettito” o di ricorrere ad altro indebitamento netto, con ovvie “conseguenze negative sull’equilibrio dei conti pubblici”. In generale, tutti i centri di osservazione extra-governativi rilevano con preoccupazione gli evidenti “delays” del Recovery italiano, cioè i clamorosi ritardi nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. La Corte dei conti segnala che tra il 2022 e il primo trimestre del 2023, sui 24,5 miliardi complessivi di spese affidate alle Amministrazioni centrali, il “tasso di attuazione arriva solo al 13,4%”.
Questa è l’immagine che hanno di noi i principali organi di controllo e di garanzia no-partisan.”
(tratto da La Stampa del 28 Maggio 2023 firmato da Massimo Giannini)
Nove anni fa nel mese di Maggio si tennero in Italia le elezioni Europee. Celebrai l’evento con due note sul blog: una il 24 Maggio prima del voto e una il 27 Maggio dopo il voto.[1] Nella prima facevo una previsione negativa: prevedevo, come risultato elettorale, la conferma del fallimento dell’Europa e svolgevo qualche considerazione su come si sarebbe svolta la decadenza.
“ …il percorso della decadenza dell’Europa così come concepita dai Padri Fondatori e via via pasticciata dalle due o tre generazioni di burocrazia europea è oramai aperto al di là di ogni ragionevole dubbio o volonteroso ottimismo…Si tratta quindi di prenderne atto e di trarre le conseguenze…”
La conclusione dello stesso post però lasciava aperta una opzione positiva:
“La previsione delle sciagure future, certe volte, ne facilita e ne induce l’accadimento, come la tragica vicenda di Edipo insegna, ma altre volte provoca la sana reazione che le potrebbe prevenire.”
Il 27 Maggio, dopo il voto che vide l’incredibile e rimasto leggendario risultato per il PD del 41%, qualificai il voto come possibile atto fondante (ad insaputa degli elettori) di un nuovo partito e mi chiesi che genere di partito fosse. Perché la mia sensazione era che gli elettori avessero in sostanza detto cosa “non volevano”[2]. Non volevano il manettaro Di Pietro, non volevano Monti (cincischiatore bocconiano in loden), non volevano l’insulso Alfano e non volevano Grillo e nemmeno Berlusconi. Ma il duo Grillo-Berlusconi, affatto diversi, avevano insieme il 36% dei voti (un italiano grasso su tre) una percentuale difficile da ignorare. Si trattava per Renzi di uno strano mandato: “andare avanti” e capire esattamente “cosa sia questo Partito e quale sia il suo effettivo programma”. Concludevo la mia analisi auspicando uno sviluppo positivo: “che il nuovo Partito sopravviva e rappresenti la svolta che da molti anni si aspettava e che per molte volte è stata tradita”. L’alternativa sarebbe stata “una nuova delusione e molti anni di viscosa palude”.
Renzi non ci è riuscito.
…“Hanno vinto i vecchi giochi di potere e di segreteria”, e nove anni dopo stiamo di nuovo aspettando l’eterno Godot, nella viscosa palude.
La palude viscosa si è rivelata essere quella del populismo demagogico, della Lega, dei 5Stelle, del vanesio pettinatore di bambole. Peggio non poteva andare. Oggi siamo alle soglie di un nuovo possibile cambiamento con Elly Schlein, dopo nove anni di lenta agonia del PD alla continua ricerca di una identità, dopo aver perso quella, tragicamente obsoleta, del PCI. Una agonia che ha portato al Governo Giorgia Meloni, Matteo Salvini e il rudere di Berlusconi, che hanno tutte le intenzioni di restarci per i prossimi 15 anni. L’unica speranza? Che Salvini, Meloni, Berlusconi soffochino nel loro continuo, rapace litigio.
Al momento non si vedono alternative. Il costo per il Paese…immane.
Quasi dieci anni fa scrivevo la nota che segue commentando una intervista a Matteo Renzi di Lilli Gruber. Renzi ha commesso errori, ma il suo errore principale è stata la franchezza delle sue analisi. Peccato che la politica italiana abbia perso questo personaggio. La nota del 28 ottobre 2014 si legge ancora come attuale quasi dieci anni dopo. Confermo la mia conclusione di allora:
“Nessuno è in grado di dire se Matteo Renzi ce la farà o meno, ma quando vedo la chiarezza dei suoi concetti, la “levitas” con la quale li esprime, il coraggio con il quale smantella antichi mostri ideologici e spappola vacche sacre di mezzo secolo di inquinamento dialettico da consociazione, la semplicità di linguaggio e la disponibilità dell’atteggiamento non posso fare a meno di apprezzare: l’Italia, in tutta la sua storia, non ha mai avuto un personaggio paragonabile al governo.” (LM)
Per essere chiari: da quei 50 anni di degrado dialettico e culturale della politica italiana è uscito l’orrore del populismo demagogico di oggi, è lì che nascono i “Salvini” e la sciagura di chi li vota.
Matteo Renzi
e gli occhioni blu di Lilli
Pubblicato il 28 ottobre 2014 da matteolilorenzo
Interessante nella trasmissione di 8 e mezzo con Mattteo Renzi la reazione della conduttrice Lilli Gruber alla chiarissima e rigorosamente logica affermazione di Renzi che il Governo ascolta i sindacati ma non “tratta” con i sindacati. La Gruber non ha nascosto lo stupore e per “ribadire” ha chiesto, interrompendo Renzi e con una vena di provocazione …” quindi il Governo non deve trattare con i sindacati?…” Il tono era di persona stupita dall’enormità della affermazione di Renzi.
La posizione di Matteo Renzi è, se vogliamo, banale, nel suo rigore concettuale: le leggi si fanno in Parlamento, il Governo non deve chiedere il permesso ai sindacati per fare le leggi, i sindacati devono trattare sì, ma con le controparti imprenditoriali… ognuno deve tornare a fare il suo mestiere.
Renzi ha sistemato con chiarezza e grande libertà di mente ed ideologica una ingombrante vacca sacra della democrazia italiana: il moloch della “concertazione”.
Una delle tante, ma forse la più grave e velenosa, malattia della democrazia italiana: i rappresentanti del popolo democraticamente eletti ai quali il voto ha dato un preciso mandato di governo, una volta eletti e al Governo invece di esercitare la responsabilità per la quale sono “deputati” (nomen substantia rerum) che fanno? Non governano. Trattano con istituti, associazioni, terzi NON ELETTI per gestire di concerto la cosa pubblica. Una vera bestemmia nei confronti del concetto fondamentale di democrazia: il governo del popolo attraverso i suoi delegati democraticamente eletti. Ma Lilli Gruber con gli occhioni bellissimi sgranati per la meraviglia non ha nemmeno il sospetto della offesa oramai diventata prassi corrente e accettata come un indiscutibile dato di fatto.
Il tradimento della democrazia che in Italia è stato perpetrato sistematicamente per 50 anni e che è diventato talmente solido e “istituzionale” che una persona di cultura politica sofisticata e matura come Lilli Gruber si stupisce quando viene limpidamente svuotato e denunciato come ha fatto Matteo Renzi.
L’altro dettaglio “antropologico” della reazione di Lilli Gruber è quel non deve trattare.Matteo Renzi ha detto non tratta. Non ha detto non deve trattare.
Una differenza sostanziale. Il concetto di dovere o non dovere non era nella logica del pensiero di Matteo Renzi. Il sole brilla. Il sole non deve brillare.
Due dettagli che ritengo significativi: il primo illumina sull’enorme spazio di cultura politica che deve essere recuperato dopo mezzo secolo abbondante di degrado dialettico quando ci si stupisce di fronte a una affermazione di assoluta fondamentale verità: il Governo non tratta con soggetti che non sono stati eletti dai cittadini, non con sindacati, non con le associazioni di categoria, non con i banchieri, non con i boy scouts, non con i rapinatori, non con la mafia, e non con i terroristi.
La sovranità del Parlamento è l’unica fondamentale garanzia in una democrazia non perversa. Lilli Gruber, bellissima signora, dovrebbe rileggere qualche testo fondante o forse dovrebbe leggerlo e riflettere criticamente sul suo stupore: ….” WOW !!!…l’acqua si beve ????!!”
Il secondo dettaglio “antropologico” è il passaggio da “non tratta” a “non deve trattare”, forse una sottile differenza per qualcuno, ma a mio avviso sostanziale esempio della manipolazione che molti conduttori televisivi praticano nei confronti dei loro intervistati od ospiti. Una vecchia, grezza tecnica frattocchiana: deforma il pensiero della controparte in modo che sia più facile contrastarlo. Attribuisci alla controparte una posizione “negativa” per poterla contrastare con facilità. Lilli Gruber la usa con eleganza e le viene perdonata per via degli occhioni azzurri e della bella persona, ma lo strumento resta grossolano. Nel suo caso denuncia una seria lacuna concettuale.
Le critiche nei confronti di Renzi occupano spazio sempre più ampio nella stampa italiana: parole e pochi fatti, evasivo, ministri incompetenti, azione di governo pasticciata e confusa, priorità sbagliate. La stessa qualifica di grande comunicatore è in realtà derogativa. Il peggiore insulto: “…è come Berlusconi…” quando la distanza fra i due è siderale.
La mia sensazione è che Renzi si stia solo ora rendendo conto della enormità del problema che deve affrontare che non è solo un problema di legislazione, di economia, di amministrazione, di Europa, di riforme, di rottamazione. Il problema è il vuoto culturale della classe dirigente, la povertà di visione strategica, la depressione della pubblica opinione, la tortuosità delle strategie politiche e dei linguaggi che le rappresentano, la ignoranza e il conformismo dei media, i mostri ideologici consolidati e accettati acriticamente come se fossero verità rivelate. È difficile rottamare il vuoto.
Nessuno è in grado di dire se Matteo Renzi ce la farà o meno, ma quando vedo la chiarezza dei suoi concetti, la “levitas” con la quale li esprime, il coraggio con il quale smantella antichi mostri ideologici e spappola vacche sacre di mezzo secolo di inquinamento dialettico da consociazione, la semplicità di linguaggio e la disponibilità dell’atteggiamento non posso fare a meno di apprezzare: l’Italia, in tutta la sua storia, non ha mai avuto un personaggio paragonabile al governo.
Forse lui capisce che conviene governare bene, molti nel nostro governo non lo capiscono
C’è un’equazione semplice e fondamentale dell’arte di “governare”: “quando si è al governo si guadagnano più voti governando bene di quanti se ne possano guadagnare con una politica clientelare e settaria”. Non ci vuole molto a capire il senso di questa equazione: ci sono molti più voti nel mercato del “governare bene” di quelli che si possono perdere nell’orticello settario clientelare di una gestione faziosa del potere. Una persona di normale intelligenza non può mancare di capire il senso di questa equazione e operare di conseguenza. I minus habentes faziosi non la capiranno mai. Una vita passata nelle sedi dei partiti combattendo come minoranza, saldando amicizie di ferro con i compagni o camerati di partito, può rendere difficile capire e operare di conseguenza. È facile privilegiare la lealtà ai compagni e camerati rispetto all’intelligenza di governo. Non sempre la decisione clientelare settaria è la più decente ed efficace. Anzi quasi mai. Ma chi è capace e intelligente riesce a staccarsi dal condizionamento. Chi non è né capace, né intelligente non ce la può fare: non ha la strumentazione intellettuale per farcela e resterà sempre nei limiti della settarietà dei minus habentes. Quindi Salvini è scusato, ma altri nella Lega (Fedriga, Zaia, Giorgetti) potrebbero farcela e ce la fanno. Ignazio La Russa è scusato, ma Giorgia potrebbe farcela e dovrebbe provarci, ma per il momento ondeggia.
Mind your way.
Lorenzo Matteoli
Nota del giorno dopo: mentre scrivevo questa nota (sull’equazione difficile da comprendere) Salvini bloccava la candidatura di Bonaccini a Commissario per l’emergenza in Emilia Romagna: 10 miliardi da spendere vanno spesi da un fedelissimo leghista non da un Governatore PD. Un classico della faziosità clientelare. Ci sono proverbi nel merito che conviene ricordare: chi troppo arraffa nulla stringe. La saggezza popolare ha inquadrato la mia riflessione sull’equazione difficile da capire da qualche centinaio di anni.
Un governo competente prende in mano la situazione. Chiama un super-commissario ad acta con i pieni poteri: (Draghi, Cottarelli, Giavazzi ….etc?). Stabilisce che il riassetto idrogeologico del territorio è la ineludibile priorità per l’Italia. Ordina di individuare un elenco di opere sul territorio nazionale di massima priorità. Chiede all’EU di adattare i suoi criteri burocratici alle necessità e alle priorità dei territori (finora si è fatto stupidamente il contrario). Pone l’elenco individuato come esigenza ineludibile per il PNRR Italiano. Procede esecutivamente
Una società di vecchi nella quale sopravvive una retorica della gioventù e del progresso.
Sulla Repubblica di oggi un articolo di Andrea Graziosi (un attento osservatore della storia che insegna alla Università di Napoli Federico Secondo e che ha insegnato a Yale e a Parigi).
Ecco la contraddizione che segnala e sulla quale vale la pena di riflettere per le implicazioni, mediche, sociali, economiche e politiche che possono sconvolgere la attuale visione del mondo che questa contraddizione non ha ancora metabolizzato.
Ecco la sintesi di Graziosi:
“Viviamo in una società in cui è sopravvissuta una retorica della gioventù e del progresso ma in cui il peso del passato, incarnato da milioni di vecchi, per cui esso è “tutto”, è cresciuto senza sosta.”
La denatalità in corso renderà drammatica la contraddizione fra qualche anno, ma la società italiana, come la nota rana nell’acqua sempre più calda, non se ne renderà conto se non quando si ritroverà…lessa.
Le conseguenze della “contraddizione” sulla cultura, sulla domanda di servizi sociali, sui paradigmi di spesa, sulla visione politica, sono enormi, ma poca letteratura e poco “pensiero” politico si svolgono per risolverla…troppo impegnati nella retorica della gioventù.
Ecco il mio pensierino di oggi per me e per i vecchietti miei amici.
È in corso in Italia un balletto indecoroso sul PNRR. Non mi interessano i dettagli: se siano stati chiesti troppi soldi senza nessuna idea di come spenderli (responsabilità del finto capo del governo Giuseppe Conte), se i progetti iniziali fossero congruenti con le specifiche di Bruxelles, se i progetti del PNRR siano da “smantellare” (dichiarazione del Ministro competente Fitto), se dobbiamo “spendere fino all’ultimo centesimo” (dichiarazione banale del ministro per le infrastrutture Salvini) anche se non si sa bene cosa, né come, né dove. Nella grande bagarre delle dichiarazioni a vanvera non si riesce a capire se la responsabilità dell’attuale stallo sia politica, burocratica, o tecnica, italiana, europea.
Tutto può essere vero, sovrapposto, interrelato, combinato…
Ma quello che oggi appare nella sua paurosa evidenza è che il fenomeno è fuori dal controllo del governo. Ed è tutto vero: troppi soldi, progetti inadatti, strutture di gestione inesistenti o incompetenti, troppe avidità all’arrembaggio.
Sul vuoto di governo e sull’incompetenza per la gestione del PNRR arriva l’emergenza alluvionale nell’Italia centrale. Una catastrofe tipica, prevedibile e ricorrente con ineludibilità ferroviaria in Italia dove la fragilità idrogeologica del Paese si studia fin dalle elementari.
Tanto che ci si chiede come mai non si sia pensato immediatamente al riassetto idrogeologico come oggetto unico per il PNRR: urgente, indispensabile, in gran parte già progettato dagli enti locali e dai vari consorzi territoriali.
Cosa succederà?
La previsione più facile: assalto alla diligenza, opere inutili, progetti raffazzonati, gestione in emergenza clientelare, immane spreco di denaro pubblico, arricchimenti indebiti dei soliti ignoti, sospetti di ingerenza mafiosa, nessuna responsabilità accertabile.
Ritorna di attualità il dibattito sulle responsabilità del crollo del Ponte Morandi con la “confessione” dell’ex CEO di Atlantia[1]Gianni Mion (oggi in pensione) nel processo in corso a Genova. Gianni Mion ha detto che lui “sapeva”. Dai verbali del processo e dalle dichiarazioni dei vari imputati e testimoni risulta, fuori da qualunque dubbio, che tutti sapevano.Dirigenti, la famiglia Benetton, Amministratori, tecnici,addetti alla manutenzione e quanti altri abbiano avuto a che fare con “Autostrade per l’Italia”. Così scrivevo poche ore dopo il crollo sul mio blog:
I tiranti in acciaio pesantemente rivestiti di calcestruzzo erano una contraddizione strutturale evidente. Dopo quasi 55 anni le condizioni dell’acciaio all’interno del calcestruzzo dovevano essere marginali. (lm)
E 180 giorni dopo in una analisi più approfondita:
Nella mia analisi e nell’ipotesi di svolgimento del collasso fatta due giorni dopo il crollo avevo indicato la plausibilità di errori progettuali dell’ing. Morandi e la possibilità che nel 1992 alla consegna del ponte alla Società Autostrade da parte dell’ANAS la sicurezza del ponte fosse già irreversibilmente compromessa e che la manutenzione di cavi soggetti a fenomeni di ricristallizzazione, ma inaccessibili e incontrollabili, fosse impossibile. L’ANAS affidò alla Società Autostrade una struttura già in fase di precrollo. Quindi la fretta di disfarsene e le condizioni di estremo favore del contratto di concessione. La Società Autostrade non poteva non sapere, ma preferì tacere, correre il rischio e incassare i miliardi dei pedaggi. (lm)
Tutti i rapporti indicano come responsabile del crollo lo strallo della campata crollata mentre la semplice osservazione del video amatoriale dove l’operatore grida: Dio…Dio … documenta comela prima struttura a crollare è stata la campata orizzontale, lo strallo viene strappato dal contraccolpo conseguente. Ma la cosa oramai ha poca importanza: il Ponte era condannato dalla nascita, Riccardo Morandi “credeva” che i cavi di acciaio della precompressione fossero protetti dalla corrosione, ma notoriamente il calcestruzzo non protegge dalla corrosione. Consente per porosità capillare il passaggio di acqua, vapore di acqua, aria (ossigeno), salsedine marina. Questa grave lacuna conoscitiva del progettista è stata la causa del crollo. Chi avrebbe dovuto intervenire? Semplice: il livello manageriale in grado di comprendere il messaggio dei tecnici che indicavano la precarietà del ponte e che fosse al contempo titolare del mandato e del potere di chiudere il ponte, demolirlo e ricostruirne uno solido e senza difetti gravi come quello progettato da Riccardo Morandi.
Cosa si può apprendere dal crollo del Ponte Morandi
Il calcestruzzo armato precompresso, ideato nel 1933 da Eugene Freyssinet Ingegnere dell’Ecole Polytecnique e poi dell’Ecole Nationale des Ponts et Chaussèes e brevettato dal medesimo nel 1938, era ancora una tecnologia sperimentale negli anni 1960 in Italia, nessuna grande applicazione, nessuna esperienza pratica. Riccardo Morandi era probabilmente uno dei primi ad applicarla alla scala dei grandi ponti, in una versione da lui brevettata, non solo in Italia. L’errore commesso da Riccardo Morandi è stato nel ritenere protetto dalla corrosione l’acciaio ad alto tenore di carbonio usato per i cavi di precompressione (scorrevoli e aderenti). Forse anche in altri ponti progettati dallo stesso Freyssinet è stato commesso lo stesso errore, ma non ne ho trovato cenno in letteratura. Riccardo Morandi professionista e docente universitario, era autorevole e solitario nel suo lavoro progettuale e concettuale. È facile quindi che questo errore sia dovuto alla scarsa comunicazione e alla scarsa dialettica con colleghi e collaboratori. Nella descrizione che lo stesso Morandi fa del Ponte sul Polcevera il problema della corrosione sembra decisamente sottovalutato ecco un estratto di una sua relazione:
“La determinazione dello stato di cracking di una struttura, cioè la determinazione dell’estensione e della posizione delle fessure, può portare a due conclusioni diverse: se tutte le crepe sono quelle ipotizzate e dovute a condizioni ambientali, in tal caso, almeno a questo riguardo, la struttura è adatta per il servizio anche a lungo termine. Se invevce la struttura può mostrare aperture di crepe che superano il massimo valore accettato nel progetto o riconosciute come accettabile al momento del controllo, in questo secondo caso, di norma, le crepe possono essere causa danni alla conservazione del rinforzo – e quindi causa dell’infiltrazione di umidità o altre cose e quindi sarà necessario sigillare le crepe più larghe …
Quanto sopra, ovviamente, dovrebbe essere fatto dopo un sondaggio attraverso mezzi o prove dirette e indirette effettuate per rilevare se le fessure potrebbero aver danneggiato la capacità operativa dello stato della struttura. E, per concludere la questione delle crepe, tutto ciò che è stato detto non ha ovviamente alcun significato quando la struttura è sottoposta a prestress.”…(Riccardo Morandi)
È difficile spiegare perché il prof. ing. Riccardo Morandi non abbia colto il grande insegnamento dei grandi ponti sospesi americani (Golden Gate progettato da Joseph Strauss, 1937 e il da Verrazzano progetto Othmar Ammann, Leopold Just, 1964): tutti i componenti soggetti a corrosione sono in vista, ispezionabili e individualmente sostituibili. Oggi non c’è più un kilo di acciaio del 1937 nel Golden Gate di San Francisco. Nel Ponte sul Polcevera i cavi degli stralli tesi e delle campate orizzontali precompresse non sono in vista, non sono accessibili non sono sostituibili. Il ponte era condannato fin dal suo progetto: il limite della sua vita sicura era quello della resistenza alla corrosione dei cavi in acciaio inaccessibili e nel 1965 si sarebbe potuta dichiarare la data del probabile crollo: un anno qualunque a partire dal 2010. E’ stato il 2018, 14 di Agosto poco dopo le 11.00 a.m.
Salvo Complicazioni.
L’altro insegnamento è relativo alla “comunicazione” fra le diverse responsabilità gestionali. I responsabili della manutenzione devono essere “terzi” rispetto alla proprietà o responsabilità amministrativa del manufatto. La comunicazione di dati tecnici relativi alla stabilità del manufatto deve essere fatta in termini comprensibili dalla cultura amministrativa. Non si può evocare un generico pericolo di crollo del manufatto: vanno specificate probabilità di durata in anni, mesi e giorni e i limiti statistici della probabilità. Gli amministratori devono sapere per decidere di conseguenza. Sul Ponte di Genova dati molto precisi erano disponibili fin dal 1992 quando il ponte di Genova, insieme alla rete autostradale italiana, venne ceduto dall’Anas ai Benetton Questi dati non vennero trasmessi perché ovviamente avrebbero condannato la valutazione economica della transazione. Oggi leggendo le diverse dichiarazioni e testimonianze al processo per il crollo del 2018 tutto appare in termini chiari e ineludibili: il ponte era condannato e lo sapevano tutti. Nessuno volle dirlo esplicitamente nessuno ne volle prendere atto.
Così sono state condannate a morte 43 persone.
Lorenzo Matteoli
[1] La società finanziaria dei Benetton che aveva nel portafoglio “Autostrade per l’Italia” ed era responsabile del Ponte Morandi e della sua manutenzione.
Anni fa (1985) per le edizioni di Leo Longanesi uscì un libro di Giovanni Ansaldo “Il Vero Signore”. Io ricordavo di aver letto molti anni prima (1950?) un libro di Leo Longanesi con lo stesso titolo. Secondo l’informazione disponibile oggi il libro è di Giovanni Ansaldo ed è del 1985, ma deve essere una ri-edizione dell’originale e la mia memoria confonde il nome dell’editore con quello dell’autore. Cercherò di chiarire l’equivoco.
Ma non è il problema bibliografico che mi interessa, ma la citazione di una delle voci del “manuale”, voce che riguardava il problema di “cambiare idea politica”. Ovvero come si comporta un “vero signore” quando per sfortunate (o fortunate) circostanze storiche, rivoluzioni (perse o vinte), guerre (perse o vinte), colpi di stato, elezioni (più o meno democratiche), si trova nella necessità di cambiare idea politica, o di far finta di cambiare idea politica.
Il fatto che l’autore del “manuale” abbia ritenuto importante inserire quella voce è segno che il problema rivestiva, in allora, una certa importanza per il pubblico dei lettori. Credo che, dopo quasi mezzo secolo, le cose non siano cambiate: sapere come comportarsi quando si cambia, o si fa finta, di cambiare idea politica è ancora oggi un problema importante per molti italiani. A seconda dei momenti, storici comunisti che devono diventare socialdemocratici o più radicalmente fascisti e fascisti che devono diventare democristiani, liberali che devono diventare comunisti e via di seguito con tutte le possibili combinazioni dell’operazione volgarmente detta di “voltar gabbana” in tutte e sue possibil sfumature delle varie congiunture storiche. Il manuale suggeriva e descriveva diverse tecniche, strategie o modalità[1] e rimando i miei lettori interessati a quel volume, difficile da trovare, ma ancora di attualissima e interessante lettura.
E veniamo al giorno d’oggi.
Con la vittoria della destra dopo 70 anni di governi di centro e centrosinistra è evidente che molti si trovano nella necessità di “adeguarsi” al nuovo corso. Ma è anche vero che i rappresentanti del “nuovo corso”, ovvero membri del governo, si trovano nella necessità di elidere (o eludere) consistenti fette della loro storia personale e politica che oggi sono scomode e imbarazzanti.
Non è solo la classe politica al governo che deve risolvere il problema, ma, a causa delle radicali svolte che hanno connotato la cronaca politica recente, possiamo dire che si tratta di un problema generale. Per alcuni molto imbarazzante a causa degli irresponsabili comportamenti a suo tempo vantati, per altri il problema è storicamente impegnativo per la necessità di cambiare capitoli di vergognosa storia patria o di negare responsabilità criminali epocali.
Ognuno cerca di cavarsela come può, alcuni senza alcuna dignità, altri con furbizia dialettica, altri ancora non se la cavano affatto.
Direi che nessuno affronta oggi il problema nell’unico modo decente: ammettere e denunciare onestamente gli errori e le tragiche o grottesche responsabilità storiche, politiche, personali, stupide.
E scusarsi.
I comunisti, oggi diventati progressisti e socialdemocratici, non hanno mai ammesso, denunciato e riconosciuto i disastri del comunismo staliniano (milioni di mugiki morti ammazzati, milioni di ebrei e onesti dissenzienti condannati nei campi siberiani, interi paesi per generazioni condannati alla miseria di stato). Quel comunismo che ha visto complici Togliatti, Ingrao, Pajetta, Longo (e molti altri) che lo hanno approvato, partecipato e imposto per 50 anni ai loro adepti ritardando in modo criminale l’evoluzione dialettica del PCI. Oggi, questi neo-socialdemocratici ex. incalzano Meloni, La Russa, Lollobrigida chiedendo la denuncia del fascismo, denuncia che loro non hanno mai fatto per lo stalinismo, in modo chiaro ed esplicito.
Patetico il diagonale equilibrismo di Giorgia Meloni che ha due linguaggi contrapposti: uno per parlare ai ranghi e uno per parlare in sede ufficiale, incapace di affrontare la realtà di una storia da non dimenticare e da denunciare (leggi razziali, alleanza con Hitler, guerre coloniali criminali).
Grottesca la situazione dei grillini che berciavano “uno uguale uno” e dopo essere diventati “uni speciali” si sono accorti che tutti gli altri “uni” sono stronzi e non sono affatto uguali.
Non tutti hanno la saponosa laida abilità del loro capo Conte di dire contemporaneamente bianco e nero facendo finta che sia rosa e credendo che nessuno se ne accorga.
Non ricordo se Giovanni Ansaldo nel suo ineffabile “manuale” abbia suggerito modalità diverse dal cambiamento istantaneo, graduale e del lungo silenzio, come per esempio quella dell’onesta ammissione dei tragici o stupidi errori e della umile accettazione delle conseguenze.
Il fatto è che per ammettere gli errori e accettarne responsabilmente le conseguenze ci vogliono solidi coglioni ideologici e palle culturali di acciaio.
Merce rara nel teatrino corrente degli ex. (comunisti, fascisti, grillini, etc.).
Lorenzo Matteoli
PS nel cercare di chiarire il mio dubbio bibliografico ho trovato un mio “pensierino” del dicembre 2013 (dieci anni fa) sul “Vero Signore” di Giovanni Ansaldo (pseudonimo Willy Farnese editore Longanesi, pubblicato nel 1952). Lo scrivevo allora senza nominarlo per l’emergente star politica Matteo Renzi: appoggiarlo o no? Ai posteri l’ardua sentenza…
Colpiscono due cose nella incredibile storia della fuga dall’Italia (prevedibile e prevista) del ricco (belloccio) e potente trafficante russo: 1) la rapidità ed efficacia delle reazioni della burocrazia italiana negli ultimi giorni del governo Draghi; 2) la lentezza e confusione delle reazioni della stessa burocrazia (e del Ministro Nordio) nei primi giorni del governo Meloni.
Il denaro, sicuramente abbondante, disponibile per organizzare la fuga non è stato efficace nei giorni di Draghi, ma è stato immediatamente risolvente nei giorni di Meloni/Nordio.
Ovvero: mentre la burocrazia Draghiana era impermeabile al denaro russo, la stessa burocrazia (o una sua differente versione e diversi rappresentanti con analoghi poteri) è stata permeabilissima e pronta sotto la gestione Meloni/Nordio.
È cosa nota che una delle cose più difficili per i “corruttori” è trovare disponibili e capaci “corruttibili”. Sappiamo anche che a fronte di adeguato prezzo sono pochi quelli che non si vendono. E l’offerta di denaro rusky doveva essere a prova di onestà d’acciaio, qualità rara nella giungla burocratica italiana. In difetto di precise direttive “politiche”. (tipo: fare un dispetto agli odiati Yankees e un favore agli amici di Vladimir Putin).
Nel complesso, a vicenda praticamente chiusa dalla facile e comoda evasione (con il braccialetto elettronico), non resta che ammirare la professionalità e competenza dei “corruttori” russi che nel giro di poche ore (del cambio di governo) hanno saputo trovare la linea di “corruttibili” sicura ed efficace.
Riesce molto difficile credere che non ci sia stata una direttiva politica di calibro superiore.
Il denaro, o le informazioni: cioè nomi e cognomi, di chi manovra armi, petrolio e tecnologie belliche è in grado di spianare montagne.
Come diceva un grande Maestro: “a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si azzecca”.[1]
Lorenzo Matteoli
[1] Non sarebbe necessario dirlo, ma le giovani generazioni possono ignorare l’autore della famosa battuta: il “divo” Giulio Andreotti buonanima.