L’apprendista
Lorenzo Matteoli
7 Settembre 2012
Pubblicato su Legno Storto
E se stesse cambiando qualcosa? La fine dell’apprendistato di Mario Monti?
On arrive appprenti a chaque age dice un adagio francese. Il concetto si può ovviamente estendere. Anche i professori arrivano “apprendisti” alla responsabilità e al mestiere di “primi ministri”. E devono imparare l’arte quasi da zero. Un’arte difficile specialmente nel nostro paese dove le regole ufficiali e formali hanno poco se non nulla a che vedere con le regole che si sono formate e consolidate nella storia antropologica delle nostre istituzioni. Per non parlare dell’antropologia selvaggia e viscosa del “sistema Italia”: la imbevibile pozione di partitocrazia, parrocchialità, cordate, sette, poteri forti più o meno occulti, sindacati e corporazioni. Tutto immerso nella velenosa salsa della cultura mediatica e del giornalismo di servizio e antagonista e delle varie strutture mafiose. Quando Mario Monti, con il colpo di bastone magico del Presidente Napolitano, è arrivato alla responsabilità di primo ministro, molti, e io fra questi, abbiamo sperato che il potenziale rinnovamento e l’uscita dalla palude dell’ultima repubblica valesse il prezzo della forzatura costituzionale. L’attesa e la speranza per l’improbabile miracolo avevano in qualche modo nascosto la realtà della situazione. L’apparente allineamento con il Governo della strampalata maggioranza diagonale confermava la sensazione o speranza positiva.
La attesa radicale svolta, annunciatissima, in realtà non avvenne e anzi la immediata sensazione fu quella di un governo più velleitario che efficace. Errori, lentezza, contraddizioni provocarono delusione e dispetto: la subalternità del Governo alle “parti sociali”, la concertazione con sindacati che più che soluzione sono da sempre problema, la dipendenza continua dalla troika dei segretari ABC, sfiancarono le entusiastiche aspettative. La fase uno, tasse e imposte, non ebbe seguito in una fase due, ripresa e riscatto della produttività ed efficienza della struttura industriale e d’impresa. Una fase che stiamo ancora aspettando.
Il famigerato spread, attribuito con stolida certezza alla sola responsabilità di Berlusconi, invece di crollare ai normali valori aumentò e rimase a livelli vicini alla insostenibilità qualche volta superandoli: tutti lodavano le misure di austerità, le ipotesi di tagli, le promesse di incentivi alla ripresa del Governo Monti, ma i “mercati” restavano sordi a qualunque canzone. È molto probabile che la settaria fiducia che bastasse eliminare Berlusconi per risolvere la crisi dell’Euro sia stata responsabile del ritardo con il quale l’opinione pubblica e politica italiana hanno capito che la crisi dell’Euro, crudele sul debito pubblico italiano, aveva le radici profonde a Bruxelles, nel vuoto di leadership e nella assenza di strategia monetaria della Banca Centrale Europea, presieduta passivamente da otto anni da Jean-ClaudeTrichet, duro a parole, ma debole nei confronti dei governi europei.
Anche la stampa di regime dava segni di nervosismo. Gli inviti e le sollecitazioni al Primo Ministro perché adottasse un linea più ferma e più adatta alla drammatica situazione di emergenza erano sempre più espliciti.
Più volte nei miei contributi a Legno Storto ho criticato Monti per la debolezza nei confronti del contesto politico e sindacale e per la pericolosa subalternità all’obsoleto modulo della “concertazione” che altro non era se non rinuncia al mandato di responsabilità ricevuto dalla decisione con la quale il Presidente Napolitano lo aveva chiamato al potere. Una deforme interpretazione della democrazia che condanna da trent’anni l’Italia e in generale l’occidente.
Ma qualcosa è successo e sta succedendo.
Negli ultimi avvenimenti, dichiarazioni e atteggiamenti di Mario Monti ho letto i segni di un cambiamento. D’altra parte, per quanto i professori siano più disposti ad insegnare che ad imparare, è difficile che un personaggio di indiscutibile esperienza accademica ex commissario della Comunità Europea, non sia in grado di capire cosa gli sta succedendo intorno e di trarne le opportune conclusioni.
Due segnali mi hanno colpito in particolare: la severa denuncia ieri della pericolosa “ebollizione” antieuropea e anti tedesca nel Parlamento italiano e, sempre ieri, il rinvio di responsabilità alle “parti sociali” alle quali ha detto, in termini molto chiari, che il destino dell’Italia è nelle loro mani.
I due avvertimenti tradotti dal linguaggio generalmente vellutato del professore in termini di franca chiarezza sono duri e netti. Monti richiama i partiti della strana maggioranza e la sfrangiata opposizione alla moderazione dei termini della loro polemica contro Angela Merkel e la Germania e avverte le “parti sociali” che non c’è più spazio per il gioco massimalista e corporativo condotto fino ad oggi dimostrando non solo scarsa responsabilità, ma anche una pericolosa grettezza di visione strategica. Forse era questo che Monti intendeva dire allo Spiegel quando sosteneva che i “parlamenti vanno guidati dai governi”.
Il terzo elemento nuovo nella comunicazione montiana è la linea positiva sullo svolgimento della crisi che da qualche giorno compare con insistenza nelle sue dichiarazioni. La fine della crisi si intravede, anche se ancora non si legge nei numeri, è il mantra più volte reiterato.
Questo atteggiamento criticamente positivo è un importante messaggio ai mercati della speculazione e forse avrebbe dovuto essere assunto qualche mese fa.
Forse Mario Monti ha cominciato a trarre conclusioni dai primi mesi di esperienza, si è reso conto della difficoltà di governare il lubrico “sistema Italia”. Le “parti sociali” vanno interpellate, ma non subite, i sindacati devono avere una controparte ferma che tuteli la comunità nazionale e non solo i lavoratori che ne sono una parte, importante, ma solo una parte. Le corporazioni e il sistema delle imprese hanno diritti, ma anche doveri nei confronti del Paese.
Spero che questi segnali non siano solo una mia ottimistica lettura e interpretazione e che corrispondano invece a una effettiva svolta nella linea culturale del Governo, alla fine dell’apprendistato del Professore.
Se così fosse bisogna augurarsi che la “svolta” continui e che il messaggio venga recepito dalle parti interessate.
Peccato che quando Monti avrà imparato tutto e sarà finalmente diventato un efficace primo ministro, e potrà iniziare a smantellare il mortale “sistema Italia” verrà sostituito da qualche improbabile coalizione di vecchi litigiosi marpioni del consociativismo nazionale. Salvo complicazioni.
Ma anche su quel versante qualcosa sta cambiando: forse non ancora i partiti, ma gli elettori quasi certamente.