L’apprendista 2
Lorenzo Matteoli
11 Settembre 2012
Pubblicato su Legno Storto
Il mio commento sull’ “Apprendista”, ha provocato risposte scettiche e molte riserve sul mio ottimismo. Forse devo approfondire l’argomento.
Difficile e anche pericolosa la pratica dell’ottimismo in questo momento italiano. La lettura dei giornali (anche di quelli asserviti), l’ascolto della rassegna stampa su RAI 3 (mondo e Italia), gli scambi con vecchi colleghi di Facoltà, le conversazioni al bar, le battute con i tassisti delle varie città italiane (sempre sensibili osservatori politici): nulla autorizza una visione del presente che non sia sostanzialmente cupa e quella del futuro se possibile è ancora più oscura.
Il governo provvisorio di Mario Monti, sia da destra (quello che resta della destra) che da sinistra (quello che resta della sinistra) è valutato in modo scoraggiante. I grandi problemi non sono stati affrontati, la strategia dei “tecnici” è ondivaga e sfilacciata, nessuna iniziativa incisiva, molti errori, molte retromarce devastanti. Nessuna visione sistemica, debole sinergia, poca armonia.
Il problema dell’enorme debito pubblico non è stato risolto, e tutti i problemi strutturali del “sistema Italia” restano sul tavolo.
Il resto del panorama politico è ancora meno entusiasmante: il PD allo sbando si candida al governo con idee contraddittorie che difficilmente sarà in grado di applicare: rigore, tagli da una parte e incremento della spesa sociale dall’altra fanno a cazzotti con una qualunque interpretazione dell’agenda post-montiana. A bordo campo del PD si scalda i muscoli l’ineffabile, interessante, Matteo Renzi: potenziale formidabile carta Jolly, ma ancora illeggibile in termini di “cosa farà da grande”. Potrebbe essere di tutto o venire azzerato dalle manovre settarie interne. Il PdL in sospeso aspetta la decisione di Berlusconi, che prende tempo in attesa della legge elettorale e di sapere con chi si dovrà eventualmente confrontare. Non ci sono indicazioni sull’ipotetico programma del partito se non una vaga assicurazione di continuità post-montiana, ovviamente soggettivamente interpretata. Tutti aspettano. Nessuno si esprime.
Fra PD e PdL il territorio politico vede scorazzare varie bande divise fra radical populismo estremo e freddo razionalismo economico. Alcuni nomi fanno obbiettivamente paura come probabili “governanti”: Montezemolo e Grillo, per esempio, sarebbero in grado di portare il Paese nel caos in modi diversi, ma con eguale certezza. Altri sono oltre il limite del patetico e forse anche della patologia come il disoccupato Emilio Fede che dichiara di volersi associare a Saviano.
La canzone della catastrofe in atto è cantata coralmente da tutti e con questa canzone corale la gente si deprime ulteriormente e si consolida quella che viene chiamata “antipolitica”: rabbia, irritazione, rifiuto violento nei casi gravi, disinteresse, qualunquismo, indifferenza, atarassia, nei casi meno gravi. Uno spazio pieno di incognite e tutte della peggiore specie: ingovernabilità, velleitarismo, giovanilismo irresponsabile o peggio. Intanto affiorano le conseguenze di altre irresponsabilità vent’anni di criminale connivenza esplodono nella crisi dell’Ilva di Taranto, e vent’anni di ALCOA sovvenzionata a Port Vesme arrivano alla verifica finale. I posti di lavoro garantiti dalla sovvenzione energetica dello Stato costavano duecentomila euro all’anno l’uno: quattro o cinque volte lo stipendio di ogni operaio. Tanto valeva mantenerli nel lusso di uno stipendio da centomila euro all’anno e si sarebbe ancora risparmiato denaro dei contribuenti. Questa era la politica industriale di quelli che oggi si candidano al salvataggio della Patria: l’assurda conseguenza della tesi che il lavoro è un diritto.
Mario Monti al governo da dieci mesi ha deluso le aspettative di chi si aspettava il “degaulle” italiano. Ed erano aspettative francamente assurde. Ma una domanda è lecita: la responsabilità è solo della sua incompetenza politica o è anche conseguenza della mostruosa situazione del “sistema Italia” creata da 40 anni di governi irrresponsabili? Altre domande ci si possono (devono) porre: l’Italia degli anni ‘60 e ‘70 era molto diversa da quella di oggi? Come debito pubblico? Come credibilità sui mercati? Come mercato del lavoro? Come efficienza industriale? Come “giustizia”? Come efficienza della burocrazia? Come carico fiscale? Come evasione fiscale? Disoccupazione? Ricerca? Università? Scuola? Mafia? Camorra? Personalmente non credo che le differenze tra questa Italia e quella di quaranta o cinquanta anni fa siano abissali. Ci saranno, ma non sono tali da giustificare il passaggio dalla dinamica positiva che precedeva il decennio del terrorismo alla attuale depressione.
Quale incantesimo si è spezzato per cui oggi è la catastrofe nera mentre allora era l’Italia del boom…l’Italia da bere?
Quelli che oggi si candidano a salvare la Patria sono sempre e ancora quelli che l’hanno portata in queste condizioni quando erano al potere.
Monti ha certamente i suoi limiti, ma non credo che la sua potenzialità di soggetto “extrasistema” si sia esaurita, la differenza fra lui e il coro dei vecchi esauriti dinosauri esiste ed è oggettiva. Se Monti se ne rendesse conto e se assumesse le conseguenti responsabilità di primo ministro dell’emergenza probabilmente potrebbe sfruttare la potenzialità che finora non ha ancora utilizzato. Il vantaggio della crisi.
Come gli attori sul palcoscenico sono sensibili all’umore e alla tensione del pubblico anche un leader politico, un capo di governo, è sensibile all’umore del Paese.
Non si tratta quindi di ottimismo o di pessimismo: si tratta di considerare oggettivamente le linee di tendenza e le potenziali aperture. Con le riserve e la prudenza del caso.
La speranza che Monti sia alla fine del suo apprendistato e possa assumere con vigore l’iniziativa di governo senza subire il condizionamento pesante del sistema Italia ha oggettivi riscontri nel recente cambiamento del suo modulo operativo, se diffusa potrebbe innescare un ciclo diverso e forse anche virtuoso.
Perché non tenerne conto?
La linea catastrofica rischia invece di alimentare Grillo, Dipietro, gli attori congiunturali dell’antipolitica.
Girando per l’Italia si ha netta la sensazione di una grande stanchezza, il Paese è sfiancato. Non so se sia più pesante il carico fiscale, la pesantezza della burocrazia, oppure la nera visione del presente e del suo peggiore futuro. Il gioco interattivo delle due cose non lascia tregua.
Ecco perché credo che in un momento come questo la prima responsabile necessità sia quella di ricostruire nel Paese gli elementi per un atteggiamento positivo: l’unico che da sempre nella storia è lo strumento fondamentale e insostituibile per affrontare e superare le difficoltà e le crisi più cupe.
Siamo alle solite. Tra unificare un Paese od unirlo c’è una differenza abissale: per una serie di concause accidentali (e personaggi indistintamente mediocri) si è verificata un secolo e mezzo fa la seconda opzione: mal ce ne incolse, mal ce ne incoglie e mal ce ne incoglierà, compresi i mal di pancia passati, presenti e futuri. L’unico commento è quello del principe Antonio De Curtis che quando non sapeva cosa dire esclamava, alzando gli occhi al cielo ed allargando le braccia: MAH!
Mi associo, seppur a malincuore.