Noi maschi e la Grande Crisi Finanziaria

Noi maschi e la grande crisi finanziaria.
Lorenzo Matteoli
15 Settembre 2012

 

Pubblicato su Legno Storto

C’è una interessante lettura della grande crisi in corso sulla quale vale la pena riflettere: secondo questa lettura la GFC (Great Financial Crisis) è la pratica rappresentazione del fallimento del modello di condotta sociale maschile che ha dominato la società occidentale moderna da sempre. Cosa sia esattamente il “modello di condotta sociale maschile” è luogo istituzionale di dibattito, forse scontro: il fronte che ha visto impegnato il movimento femminista dalla sua fondazione, da sempre. Un fronte che si sposta dai livelli triviali del confronto fra i generi, fino alla dialettica raffinata della sociologia accademica e della critica culturale di avanguardia. Credo che su questo fronte ci sia in fase di pubblicazione un nuovo e fondamentale saggio di una autrice italiana.

Il maschio occidentale per eredità culturale secolare, ma anche per condizione genetica antropologica, è caratterizzato da modelli di comportamento che si esprimono con una serie di luoghi comuni banali nella vulgata quotidiana, ma che hanno anche temi e manifestazioni liminali e subliminali tanto forti e determinati quanto impliciti, indiretti e complessi. Noti nella professione medica e psichiatrica, e non sempre presenti all’intelligenza corrente dei vari soggetti.
Molti aspetti sono parte del luogo comune corrente con il quale si definisce, spesso polemicamente e con atteggiamento antagonista, il “maschio”. Molti sono invece atteggiamenti psicologici, intimi, che spesso non arrivano alla percezione cosciente degli interessati, ma che ne determinano valori, giudizi, comportamenti, decisioni.
Le Chiese hanno avuto, e ancora mantengono, una forte responsabilità sulla formazione e sul consolidamento del modello di condotta sociale del maschio occidentale e fra tutte la Chiesa cattolica in particolare, nella quale il culto mariano invece di moderare gli aspetti estremi del modello li ha esaltati.
La letteratura sul tema “maschio occidentale” è immane, quasi tutta di origine femminile o femminista, come si può ben immaginare. Più difficile trovare scritti e riflessioni specifiche sulla relazione matriciale tra il profilo genetico culturale del maschio occidentale e la grande crisi corrente. Due condizioni che rappresentano un cospicuo impegno per la mia incompetenza e, a dire il vero, dovrei seguire il consiglio di Wittgenstein (di ciò di cui non si sa è bene non parlare) e tantomeno scrivere. Ma intuitivamente ho capito che l’idea che la grande crisi corrente, fra le tante radici, ne abbia anche una, robusta, nella fragilità del profilo maschile, come questo è sopravvissuto al confronto di genere degli ultimi cinquanta o sessanta anni, per questo voglio affrontare il tema. Avvertendo dei miei limiti chi mi legge. Credo inoltre che anche la analisi e la riflessione di un soggetto “incompetente” su questo problema possa essere interessante, perché i grandi problemi per svolgersi e trovare eventuali risposte o soluzioni non possono restare nell’ambito ristretto e altissimo dei chierici, o delle chieriche, ma è bene che raggiungano il livello divulgativo stradale per partecipare dell’intelligenza e della forza critica del grande numero collettivo.

Cosa è successo negli ultimi dieci o venti anni che ha portato il modello maschile alla seria crisi, se non proprio al collasso,? In una battuta, e con radicale semplificazione, la complessità del mondo reale è aumentata per fattori e il modo maschile di gestirla è risultato assolutamente inadeguato. Di seguito la mia analisi, necessariamente grezza ed estrema per necessità di tesi. Nelle riflessioni successive sarà possibile articolare e distinguere.
Il maschio occidentale, del quale so qualcosa per personale esperienza essendo un soggetto della specie, ha sempre governato, gestito, deciso, disposto perché storicamente e antropologicamente titolare depositario incontrastato di un potere monocratico di genere. Un privilegio acquisito fin dai tempi dei Cro Magnon quando la forza fisica per cacciare e procurare cibo lo giustificava e che nei successivi millenni ha perso gran parte delle sue ragioni, se non tutte. L’homo modernus occidentalis nasce viziato dalle madri adoranti e sostenuto da padri omologhi, cresce in una scuola dove continua il suo privilegio riconosciuto purtroppo anche dalle femmine subalterne e ansiose della sua attenzione. Impara e conosce per acquisizione empirica pragmatica, pochissimo per sensibilità intuitiva. Procede nella carriera senza problemi di confronto introspettivo applicando le categorie del potere e scontrandosi con le categorie del potere. Poche altre logiche. La soluzione dei problemi è sempre di confronto con il potere e mai di negoziato. Il compromesso è connotazione negativa, quando addirittura non vergognosa, in coerenza con il suo modo di apprendere e conoscere. Valutazioni, critiche, giudizi sono sempre prevalentemente quantitativi. Considerazioni qualitative sono ritenute poco scientifiche: i numeri contano e non molto altro. Questa è in particolare una responsabilità delle scuole di “business administration” e di “management” di marca americana. Quando non si trova la soluzione dialettica quantitativa questa viene cercata nel confronto personale e al limite fisico. Ricerca che in molti casi della storia è infatti arrivata al conflitto armato.
Dietro o dentro la corazza del potere acquisito storicamente, o per processo antropologico o culturale ci sono pochi strumenti diversi e quindi un vuoto concettuale e una grande fragilità. Scadente la capacità di analisi introspettiva, superficiale o inesistente la verifica di se stessi e delle proprie deficienze. Grezza la capacità di interagire veramente con gli altri, spesso manifestata con verbale insistenza, ma sostanzialmente gracile. Fuori dal suo territorio funzionale o ideologico il maschio occidentale si comporta con imbarazzante ingenuità e banale arroganza.
Questa macchina di potere, certezze e di meccanici paradigmi funziona bene, e può essere vincente, fino a quando si deve muovere in un ambiente relativamente semplice dove il modulo quantitativo risolve la maggior parte delle situazioni e dei problemi e dove tutti si muovono con la stessa strumentazione. Aumentando la complessità, allargando la visione necessaria per valutare e per decidere, introducendo dinamiche qualitative, la macchina scarsamente intuitiva del maschio occidentale si inceppa, continua a decidere con la sua strumentazione, perde il riferimento con la realtà, aumentano gli errori fino al fallimento sistemico. Se poi nel quadro entrano culture diverse da quella dell’uomo occidentale le cose diventano ancora più critiche.
Emblematiche di questa dinamica sono le esperienze della politica estera americana degli ultimi cinquanta anni: la guerra in Corea, in Vietnam, in Iraq, in Afghanistan. Per l’Europa emblema del fallimento del modulo maschile è la recente guerra in Libia. Per il mondo occidentale nel complesso il fallimento quasi secolare del confronto nel Medio Oriente. E adesso il fallimento della Grande Crisi Finanziaria e la difficoltà di trovarne una via d’uscita.
Per l’Italia ci sono due immagini simmetriche del fallimento della mascolinità negli ultimi cinquanta anni: quello del Partito Comunista e quello di Berlusconi. Tutti e due in modo diverso strutturati dalla stessa cultura del potere come strumento di potere e tutti e due sconfitti dalla complessità del contesto. La Democrazia Cristiana è solo in parte sfuggita al fallimento per effetto dell’ambiguità cattolica della quale era portatrice.
Nella letteratura recente del settore si trovano molti dati sulla “crescita” corrente del femminile nelle amministrazioni pubbliche, nella magistratura, nelle università e nella didattica a tutti i livelli, nelle istituzioni finanziarie, nella gestione di industrie e corporazioni: in genere la tendenza viene qualificata come affermazione del femminile, ma la realtà è che il successo femminile è il riscontro del fallimento maschile. È la cronaca e la rappresentazione della inadeguatezza del modello di condotta sociale del maschio, e la logica conseguenza del successo della instancabile campagna femminista degli ultimi cento anni.
Questa lettura apre un dibattito interessante sulle probabili conseguenze della affermazione del modello di condotta femminile sulla politica e sulle relazioni internazionali. Per esempio come potrà influenzare la gestione della Grande Crisi Finanziaria, che impegnerà almeno una generazione futura, oppure, con visione allargata, come potrà informare lo scontro di civiltà fra Occidente e Islam. Il clash of civilizations previsto da Samuel P. Huntington e negato, non per caso dal punto di vista femminile, da Benazir Bhutto (†). Oppure come riuscirà ad affrontare la crisi ambientale quando questa arriverà alla stretta catastrofica.
Tutte situazioni nelle quali lo specifico femminile potrà essere chiave risolvente: la capacità di analisi e introspezione, la visione intuitiva degli scenari complessi, la naturale versatilità “multitasking”, la sensibilità relazionale, e le molte altre caratteristiche che adesso sfuggono alla mia capacità di analisi, ma che sicuramente ci sono e che le eventuali lettrici conoscono.
A una cosa è necessario fare attenzione: spesso la penetrazione del femminile nella struttura decisionale della società occidentale è portata da soggetti che non sono tanto latrici dello specifico femminile, ma che hanno adottato il modo maschile di pensare e operare per opportunismo tattico. Questa modalità è il risultato del vetero-femminismo, ma sarà presto superata. Comunque, sul lungo termine, anche questi soggetti recupereranno la specificità di genere: l’adozione del modo maschile è stata solo tattica e strumentale. Meno male.
Credo che la sistematica e continua affermazione del modello di condotta sociale femminile nella società occidentale possa essere guardata come una delle più significative e positive svolte emergenti nella storia. O forse sono di nuovo troppo ottimista?

Informazioni su matteolilorenzo

Architetto, Professore in Pensione (Politecnico di Torino, Tecnologia dell'Architettura), esperto in climatologia urbana ed edilizia, energia/ambiente/economia. Vivo in Australia dal 1993
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