Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo

Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo

Lorenzo Matteoli

26 Settembre 2012

Pubblicato du Legno Storto

“Inaccettabile, insostenibile, intollerabile, vergognoso, verminaio, schifo, banda di ladri, indegni, cancro, fenomeni inimmaginabili, politica da risanare in profondità” … sono solo alcune delle espressioni che ricorrono sulla stampa nazionale con riferimento allo scandalo laziale e alle sue probabili future propaggini in molte altre regioni. Si parla con la gente al bar, sugli autobus, negli uffici, nei tassì, e da tutti i discorsi trasuda frustrazione, collera, rabbia e, alla fine, amara rassegnazione. Pochi cercano di moderare…”non generalizzare, ci sono anche gli onesti…non è tutto liquame.” Ma per questa linea non c’è molto ascolto. Il “grido di dolore”  unanime è:  “Basta!”

La cosa interessante dello scialo laziale è la sua “legalità”: gli organi preposti votavano unanimi (meno i Radicali) gli aumenti del bilancio per le spese dei gruppi consiliari, sottraendo i fondi da altre voci “meno importanti”.

I “controllori” non avevano nulla da eccepire: gli aumenti risultavano regolarmente approvati con corretta procedura. Tutti sapevano e tutti erano d’accordo. Teoricamente l’appropriazione era coperta da atti amministrativi legittimi e ortodossi. La cosa, se possibile, aumenta ancora di più la rabbia della gente. Finiranno tutti assolti.

Urla Grillo sulle piazze, meno affollate del solito, proclamando il suo ideale di fare il “dittatore democratico.” Bersani dice…”intollerabile, inaccettabile…” ma la coda di paglia di Penati gli strozza l’indignazione in gola. Dipietro, ignora il voto favorevole dei consiglieri IdV al festino laziale e  propone referendum che dovrebbero risolvere tutti i problemi, ma non abbiamo dimenticato le scatole di scarpe milanesi e le Mercedes della sua gioventù, gentilmente obliterate a Brescia. La indignazione di Rutelli è fortemente oscurata dalla vicenda Lusi, della quale lui “non sapeva nulla”. Come la Polverini non sapeva di Fiorito. Come Bossi non sapeva di Belsito. Casini ha più scheletri nell’armadio siciliano del colombario del Monumentale. La Lega con i suoi laureati a Tirana, non è più credibile nemmeno in Val Brembana. Vendola condanna severamente, ma anche nel suo regno di Puglia ci sono problemi per i quali è indagato. Come Errani in Emilia. Come Formigoni a Milano. Lombardo in Sicilia. Soru in Sardegna. Fini senza futuro resta solo con il cognato  di Montecarlo, Berlusconi marcato a uomo da Nicole Minetti e da Ilde Boccassini dice tutti a casa, ma è troppo tardi. Non se ne salva uno, e quelli che si salvano, se ne stanno zitti travolti dalla marea nera: quando sei nel guano fino al naso, meglio tenere la bocca chiusa.

Forse ci sono le condizioni politiche per una iniziativa radicale del Governo e del Presidente Napolitano: commissari nelle male-Regioni, radicale revisione degli ordinamenti regionali e delle loro radici costituzionali, sospensione dei consigli regionali sconvolti dagli scandali. La gente apprezzerebbe, la casta avrebbe argomenti di riflessione. La difesa a oltranza dei principi di autonomia regionale, nonostante la vergogna politica dei comportamenti, sarebbe insostenibile. A mali estremi, estremi rimedi. Ma anche su questo versante non si muove nulla.

In altri secoli, in altri paesi, questa situazione avrebbe avuto sicuramente sbocchi rivoluzionari e la generale rabbia del popolo non sarebbe rimasta prigioniera della verbalità indignata, non sarebbe finita in rassegnazione. Oggi no. Oggi non si fanno più rivoluzioni di popolo, forse qualche manifestazione di piazza, prontamente usata da qualche decina di teppisti prezzolati, sempre sconosciuti, per spaccare vetrine e incendiare automobili.

Mai prima nella storia della Repubblica si era verificato un rifiuto nei confronti della classe politica, la casta, come quello che oggi avvelena il Paese.

Ma oggi quel genere di rivoluzione non si fa più, per lo meno non in Europa e non in Italia: la sociologia che lo attesta e dimostra è un mare immane di carta accademica. Prendere il mitra, andare in montagna è una battuta ridicola. Impraticabile. Immaginiamoci il resto.

Ci provarono quaranta anni fa alcuni terroristi sprovveduti e puerili, ma sostanzialmente criminali. A parte le centinaia di inutili morti provocarono anche un danno ideologico non indifferente, umiliando il concetto stesso di rivoluzione di popolo con le loro farneticazioni elitarie,  sciocche per giustificare gli omicidi a sangue freddo e le condanne a morte dei loro folli tribunali. Compagni che sbagliano disse il PCI. Ma la storia non li assolve.

Ma se, meno male, non si fa più “quel genere” di rivoluzione è giusto chiedersi quale sia la cultura, l’ideologia, il pensiero, di rivoluzione concepibile e attuabile nella condizione presente del Paese. Quale potrà essere o sarà lo “sbocco” neo-rivoluzionario o para-rivoluzionario della pesante rabbia, cupa rassegnazione, che oggi opprime gli italiani? Dove sono i segni premonitori della svolta probabile, possibile, ineludibile, necessaria, urgente? Non si vedono ipotesi rivoluzionarie sulla scena politica, né a destra, né a sinistra. E ripeto meno male.  Come non si vede ancora nessun credibile, civile interprete della rabbia popolare. Sono tutti indignati, ma tutti aspettano di andare al potere sull’onda dell’indignazione. Messi sul trono non tanto dalla loro competenza, dignità o eroica virtù, quanto dalla vergognosa miseria degli attuali regnanti.

Seria e terribile invece è la collera della gente normale, di quelli che lavorano, che pagano le tasse, di quelli che si consumano nella disoccupazione e nella precarietà, di quelli che si avvelenano nelle fabbriche inquinate, della generazione giovane che pagherà il debito pubblico per tutta la vita. Di quelli che, nonostante tutto, mandano avanti il Paese. Una collera che esige risposte.

Chi saprà interpretare questa rabbia e la saprà rappresentare seriamente, senza strillare, senza dire “cazzo”, né “merda”, né “vaffanculo”, con competenza professionale e amministrativa e con passione italiana vera, con il dovuto civile rispetto, vincerà in modo travolgente, perché la gente non aspetta altro. Non vuole altro.  Questa è la sola rivoluzione possibile e auspicabile.

Se non ci sarà questo formidabile interprete aspetteremo ancora, e sarà sempre peggio: avremo gli smacchiatori di giaguari, i giustizieri con le scatole di scarpe piene di soldi, i vacanzieri a UFO, le indossatrici di bikini, er batman, qualche naufrago imprenditoriale “de sinistra”, pasticcioni soi-disant tecnici, ex professionisti furbi (100 Euro senza 150 con l’IVA), spocchiosi manager consunti che aprono tavoli infiniti senza mai chiuderli, professori con il congiuntivo corretto e … con il congiuntivo corretto…

Aspetteremo: il giorno dopo  l’unica possibile rivoluzione dei moderati.

Ci sarà e durerà a lungo.

Post scriptum.

Ma tu che vuoi? chiedono gli amici, le amiche … discorri, scrivi, protesti, denunci, ma alla fine che fai?

Non ho risposte. Non saprei che altro fare. Solo auspicare, sperare, promuovere, a parole dette e scritte, la possibile rivoluzione dei moderati.

Potrei citare, con la dovuta umiltà, il mio poeta civile preferito Eugenio Montale:

 

Non Chiederci La Parola


Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

 Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

 Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Informazioni su matteolilorenzo

Architetto, Professore in Pensione (Politecnico di Torino, Tecnologia dell'Architettura), esperto in climatologia urbana ed edilizia, energia/ambiente/economia. Vivo in Australia dal 1993
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3 risposte a Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo

  1. matteolilorenzo ha detto:

    Ho riletto la rivoluzione del giorno dopo e richiamato all’ordine da autorevole intervento ho riscritto la riflessione aggiungendo una importante citazione, con la dovuta umiltà LM

  2. Massimo Pugliese ha detto:

    Fresco della lettura di Armi, Acciaio e Malattie di Jared Diamond in una figura vedo la rappresentazione degli assi principali dei continenti riferiti allo sviluppo delle civiltà sotto molteplici aspetti che sarebbe lungo elencare se non leggendone i contenuti nel libro. Le Americhe molto più lunghe che larghe (N/S), idem l’Africa (N/S) mentre l’Eurasia preso come unico continente è orientato lungo l’asse E/O . Questo con conseguenze sul clima ed a caduta sulla rapidità dello sviluppo della civiltà, oltre a numerose altre implicazioni. Non da scartare un raffronto col nostro Paese, ben separato dagli altri Paesi da Alpi e mari, con un asse E/O nel settentrione ed un asse N/S nel centro sud. Un Jared Diamond nostrano potrebbe trarne interessanti sviluppi di riflessione sotto gli aspetti antropologico, geografico, ecologico,territoriale, culturale, linguistico, archeologico,genetico e quant’altro.
    Ma cadrebbe nell’analisi sul piano etico e morale in quanto si troverebbe disarmato di fronte ad una realtà ubiqua su ambo gli assi (N/S o E/O) a riprova che quello che stiamo vivendo (malvolentieri, con disgusto, con rassegnazione e purtroppo senza indignazione, reazione, sommovimento e spariamo pure la parola che non vorremmo sentire, rivoluzione) è ormai al di sopra di ogni concetto di possibile miglioramento derivante da un solo buon esempio trainante per eliminare o quanto meno ridurre quelli cattivi. Tipo: da dove cominciare?

    Bella domanda, no?

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