Il “Potere”
come sistema-rete complesso
e la palude italiana
Lorenzo Matteoli
15 Novembre 2012
Pubblicato su Legno Storto il 19 Novembre
Definizione
Il “potere” in una società civile è il sistema-rete di rapporti, funzioni e interazioni che ne progettano, organizzano, dirigono, informano le attività secondo finalità specifiche esplicitamente, implicitamente o accidentalmente definite da soggetti che ne facciano parte o che vi siano in qualche modo coinvolti.
Rapporti, funzioni e interazioni che possono essere di svariata natura: ufficiali, ufficiosi, istituzionali e non, politici, gerarchici, giuridici, economici, finanziari, sindacali, religiosi, fisici, sessuali, di forza, affettivi, sociali, culturali, commerciali, di impresa, mediatici, logistici, comportamentali, antropologici, intuitivi, poetici, sentimentali, accidentali, espliciti o impliciti… e ancora, variamente combinati e interagenti nel tempo e nello spazio (storia e geografia), a scala nazionale e internazionale.
Il “potere” comprende il Governo e Opposizione, ma non coincide necessariamente né con l’uno né coll’altra, può identificarsi, sovrapporsi, essere sinergico, neutrale o antagonista rispetto al Governo e all’Opposizione.
Parti del potere, parti del Governo, parti dell’Opposizione, a tempo, a tempo.
Le regole sono variabili, congiunturali ed effettive.
Mentre le specifiche parti del sistema-rete hanno in genere scopi e obbiettivi precisi e coerenti con i motivi della loro istituzione o formazione la disorganica mutualità fra di loro rende lo scopo dell’intero sistema molto meno chiaro se non del tutto oscuro e incomprensibile e comunque fuori, in genere, da una logica controllabile se non da una improbabile logica interdittiva, ma anche questa senza connotazione teleologica.
In letteratura si trovano molte definizioni del potere, ma quasi sempre molto sintetiche, non consentono la comprensione del concetto complesso e una sua analisi funzionale articolata. Quasi tutte assumono l’ipotesi di una “figura” identificabile come soggetto detentore del potere: individuo o associazione di individui, organismo istituzionale eletto o meno. Una ipotesi che tradisce l’essenza vera del “potere” che, a mio avviso, oggi, nel degrado della democrazia, non ha più una identità specifica e definibile, ma è diffuso, dotato di struttura informale continuamente variabile oppure, con un aggettivo di moda: liquido. Tutte le definizioni e le ipotesi di configurazione oggettuale formalizzata del potere, di sua collocazione identificabile nella struttura sociale, sono pericolose perché portano, in sede di gestione e confronto politico, a errori che possono avere tragiche conseguenze, ma comunque sempre a inefficacia. Un errore che ha caratterizzato sia la critica marxista che quella liberale e tutte le numerose correnti di pensiero che da quei filoni sono derivate, fino alle più attuali e moderne. Non Antonio Gramsci che invece, molto lucidamente e con lungimiranza, aveva individuato nell’ egemonia culturale il concetto che indica le varie forme di dominio culturale e/o di direzione intellettuale e morale da parte di un gruppo o di una classe che «sia in grado di imporre ad altri gruppi, attraverso pratiche quotidiane e credenze condivise, i propri punti di vista fino alla loro interiorizzazione, creando i presupposti per un complesso sistema di controllo». Un concetto molto moderno e attuale forse incomprensibile dalla cultura dominante quando venne espresso. O, forse più probabilmente, rifiutato per la matrice “comunista”. O ancora per la implicita, pericolosa, orwelliana minaccia. Applicato con sistematica disciplina e grande successo specialmente dal PCI in Italia. Il Partito attento agli insegnamenti del Maestro.
Questo concetto e la sua estensione ha portato alla attuale formazione del sistema-rete di potere in Italia e alle sue negative implicazioni e potrebbe essere, invece, opportunamente interpretato e gestito, lo strumento risolvente per uscire dalla attuale palude. .
La definizione del potere che propongo mette in evidenza la diffusione, la complessità improbabile e la forte condizione interattiva del potere inteso come sistema-rete e la conseguente impossibilità di individuarne un centro privilegiato o una definibile titolarità. Ogni forma di accentramento, coagulazione e privilegio richiede necessariamente uno spostamento degli equilibri nel sistema dal quale può conseguire la sua qualificazione, democratica, liberale, partecipata, civile, oppure dequalificazione totalitaria, settaria, oppressiva.
La complessità e la diffusione sono anche le caratteristiche che rendono il sistema-rete di potere soggetto a deviazioni e deformazioni fisiologiche o patologiche che ne esaltano la capacità di interdizione dell’azione dei governi e che, in casi estremi, ne possono provocare il collasso o il blocco funzionale completo.
La definizione, nella sua più ampia accezione, si applica ai vasti sistemi politici e corporativi (corporate bodies) nazionali e internazionali, ma anche ai micro-sistemi aziendali o ai micro-sistemi delle comunità sociali, fino alla cellula familiare.
La letteratura sul “potere” è monumentale: se ne sono occupati e se ne occupano da sempre e continuamente, filosofi, storici, sociologi, politologi, politici, burocrati, magistrati, re, presidenti, papi, giornalisti e normali cittadini, ma è sempre utile riflettere su come è fatto e come funziona il sistema-rete del “potere” in una società moderna e complessa, per capire, se mai fosse possibile, come lo si possa gestire, controllare, cambiare, conquistare, squalificare, usare, abusare, corrompere o riportare dentro gli argini della decenza e della civile liberale convivenza, in un regime democratico, senza forconi e senza ghigliottine, polizia, galere, gulag, torture, propaganda o altre malversazioni più o meno interessanti, subdole, crudeli, odiose, criminali.
Breve storia
Per migliaia, decine di migliaia di anni il potere è stato monocratico. Nella società dei cacciatori era il cacciatore più forte della famiglia-tribù che aveva il comando. L’alfa-uomo comandava, gestiva la giustizia, organizzava la caccia, divideva gli animali uccisi, sceglieva le sue donne, puniva e premiava secondo il suo personale arbitrio o saggezza. Il suo strumento di comando era il rispetto della sua forza e della necessità della sua azione sul terreno di caccia. Poteva avere assistenti deputati a qualche funzione accessoria. Quante migliaia di anni ci siano voluti perché il potere dell’alfa-uomo venisse moderato o associato da altri soggetti della comunità, famiglia, tribù è luogo di ipotesi, leggende e fiabe, ma non di storia. È probabile che la prima associazione al potere monocratico personale dell’alfa-uomo sia stata quella del sacerdote-stregone quando questa figura riuscì a distinguersi da quella dell’alfa-uomo.
Nei molti secoli, millenni, successivi e nelle diverse geografie si formarono poi organi collegiali. Prima in embrione: i consiglieri del re, la famiglia allargata, la sua guardia scelta, poi sempre più formalizzati i consigli, le assemblee del popolo. La necessità di regolare il funzionamento di questi organi produsse le prime “regole”. La tradizione e i costumi dettati dal contesto ambientale formarono a poco a poco un “corpo” di norme, regole, tradizioni di condotta e di comportamento. Lo strumento di comando diventò gradualmente il rispetto delle norme amministrato dal “capo”. Non più il capo come soggetto individuale.
La responsabilità del “capo” era quella di garantire la sopravvivenza della famiglia-tribù: la sopravvivenza dei suoi soggetti e del “capo” era il “progetto” del sistema di potere. La migliore sopravvivenza del gruppo sociale era anche lo scopo delle “regole”.
Dal potere monocratico del “capo tribù” si è passati alle oligarchie, alle monarchie assistite da consigli e poi parlamenti e quindi alle repubbliche parlamentari di connotazione democratica, sostanziale o meramente formale. Le società si sono complessificate e si sono formati i sistemi-rete interattivi, diffusi, liquidi, di relazioni e funzioni che oggi ospitano e che si identificano con “il potere”, secondo dinamiche continuamente variabili che sfuggono a una rappresentazione oggettuale.
Con queste reti si confrontano oggi, in modo raramente vincente, i governi eletti delle democrazie.
Il progetto.
La condizione prima per qualunque struttura di potere è il “progetto”: la dichiarazione, definizione, oppure la assunzione, degli obbiettivi di una società e delle modalità per raggiungerli.
Indipendentemente dal tipo di società, di organizzazione politica, di contesto antropologico, geografico, storico, culturale ed economico il progetto ufficiale dichiarato, esplicito o storico implicito, presunto o assunto, vero o falso, del potere è sempre quello della ottimazione, oggettiva o soggettiva, della condizione ambientale, economica, sociale e individuale dei membri di quella società.
Secondo una convinzione molto popolare oggi, anche in ambiti sociali e culturali sofisticati, ci sono segrete cupole o elites chiuse depositarie del potere planetario globale (Bilderbeg, Davos, Aspen). Si tratta di una semplificazione ingenua e affascinante, ma è di nuovo l’errore di identificazione oggettuale di una entità che non può essere contenuta in un organismo esistente e reale. I fautori di questa interpretazione spesso si confondono con l’altra credenza popolare: quella che tutto avvenga come conseguenza di un “complotto” ordito e organizzato dalla fantastica “cupola”.
La realtà è molto più vaga, complessa e interessante. Il sistema-rete del potere è soggetto a controllo, ma questo non è nelle mani di individui o gruppi di individui, istituti o associazioni più o meno formalizzate, ma è nella struttura stessa del sistema, che è autoreferenziale (sistemi la cui struttura è lo stesso sistema sono definiti auto-referenziali cfr Niklas Luhmann)
È vero che il “progetto” sociale complessivo e implicito propone sempre una società più giusta, eguale, e coerente con le condizioni ambientali, ma è anche vero che questo progetto viene affrontato dalla interazione di una miriade di operatori e soggetti con diverse competenze e funzioni che, sulle modalità e sugli strumenti per realizzarlo, hanno interessi e idee diverse, vaghe, spesso oscure, contraddittorie, o peggio. Tutte non documentabili, improbabili e quindi sostenibili solo attraverso assunti ideologici, atti di fede, convinzioni soggettive e pregiudiziali, imposizioni spesso chiamate “politiche”. Di qui la generale conflittualità della dialettica politica e sociale che sottendono.
Anche una autorità gerarchica del massimo livello all’interno del sistema-rete, quale ad esempio il Governo, non ha mai la capacità di intervenire in modo esecutivo, finale, determinante, ma è sempre mediata da funzioni operative intermedie che modificano, interpretano, deformano l’oggetto secondo le loro intenzioni, la loro specifica volontà e competenza.
Il risultato finale, se mai esiste un risultato finale, è il prodotto del potere secondo il processo che il sistema-rete, nella situazione contingente, ha determinato con le improbabili, ma forti dinamiche che lo caratterizzano.
Alcune caratteristiche del sistema-rete
La visione del potere come ineffabile, diffuso e liquido ectoplasma non deve ingannare: in specifiche situazioni di contesto storico il sistema-rete può acquisire connotazioni che possono essere più precise quando una delle interazioni o funzioni prende particolare vigore. Talvolta anche troppo precise. Può essere la componente politica in uno dei suoi segni, oppure la componente religiosa, o quella imprenditoriale, finanziaria nazionale o internazionale, economica, militare, sociale. Il potere cambierà assumendo il profilo più coerente con la funzione dominante e quindi avrà una identità meno vaga. La eccessiva semplificazione del sistema di potere è in genere una caratteristica negativa e corrisponde a qualche forma di gestione totalitaria del sistema. Un sistema eccessivamente complesso, per numero di fattori interagenti, per importanza e forza dei singoli fattori, per numero di input nel tempo, tende invece alla ingovernabilitá, e può nascondere altri pericoli perché nella rete complessa si possono insediare linee di controllo non percepite, deformate, più o meno legittime, che agiscono approfittando della o coperte dalla complessità e sempre nel suo ambito. Un problema particolarmente attuale.
Al sistema-rete di potere non si applicano le regole che valgono per altri sistemi complessi, che non consentono modellazione o studio mediante simulazioni. Questo per l’eccesso di variabili e per la aleatorietà della loro variabilità (qualità ed estensione) oltre che per la forte stocasticità degli eventi caratteristici. Il sistema atmosfera/oceani, un esempio di sistema complesso ad elevata variabilità, può essere osservato in tempo reale con i satelliti: la modellazione avviene sulla realtà che viene interpretata mediante il confronto con sequenze storiche o statisticamente ricostruite.
Non ci sono invece satelliti che consentano di osservare una società civile e le variabili che ne caratterizzano lo svolgimento per effetto del sistema di governo o del sistema-rete di potere. Il sogno della sociologia.
Le indagini di opinione, in genere troppo specifiche o troppo generiche, non possono rappresentare l’elemento dinamico che caratterizza l’evoluzione storica delle società civili complesse dove si sia formato un sistema-rete di potere come quello tentativamente definito all’inizio di questo esercizio. Il grande numero di operatori e delle variabili possono significare relativa stabilità del modello generale, ma non essendo disponibile una misura delle condizioni critiche, come per l’atmosfera, è impossibile conoscere la resilienza o la fragilità del sistema. Una minima variazione del fattore ennesimo può essere catastrofica. Per simmetrica analogia è possibile ipotizzare che sistemi-reti di potere deboli per la molteplicità e per i mutui antagonismi degli operatori, non siano in grado di produrre una guida efficace per il raggiungimento degli obbiettivi di progetto e questo nonostante la chiarezza, la necessità o urgenza dei medesimi.
Questa difficoltà o impossibilità sembra confermata dalla situazione attuale in Italia dove un governo tecnico di emergenza non riesce a implementare misure urgenti e necessarie per il recupero della situazione economica e finanziaria del Paese. Da molti mesi il Paese si domanda per quale ragione Mario Monti non riesce a fare approvare le misure che sarebbe urgente e necessario applicare per fare uscire l’Italia dall’avvitamento economico negativo. Il problema non è la competenza, non è la credibilità, non è l’autorevolezza e non è l’economia (come diceva Clinton). Il problema è la cultura. Ma non quella di Monti. La cultura della gente. (Cfr. Habla con ellos su Legno Storto). Quando Franklin Delano Roosevelt nel 1929 si trovò ad affrontare una crisi economica simile a quella di oggi, anche se strutturalmente diversa, comprese immediatamente che aveva bisogno della partecipazione della gente comune.
La gente non partecipa se non capisce. Per spiegare alla gente non basta l’autorevolezza, non basta la competenza, non basta la chiarezza del linguaggio. Tutte condizioni necessarie, ma non sufficienti. Per convincere bisogna saper comunicare con affetto, con passione e con umiltà. Come fece FDR con i suoi famosi fire-side chats. Con la comprensione della gente Monti potrebbe superare tutte le difficoltà che oggi inchiodano il suo governo alla marginalità inefficace. Oggi la comunicazione è controllata da altre componenti del sistema-rete di potere (sindacati, confindustria, stampa, TV, banche) il segnale che arriva alla gente è settario, confuso, contraddittorio, incomprensibile, irritante, inutile se non pericoloso. Molto spesso inquinato da moralismo urlato, sciocco, travestito da sensibilità etica. Purtroppo demagogicamente efficace. Sembra dunque che la cultura sia la chiave risolvente dell’impasse: secondo l’intuizione che fu a suo tempo di Antonio Gramsci, di nuovo attuale e forse oggi ascoltata con più attenzione. Quale cultura ci si deve chiedere, una domanda che trova scarna risposta nell’opera del filosofo critico caposcuola della critica marxista italiana. La cultura è un concetto quanto mai vago disastrosamente tradito dalla democrazia degradata. Infatti una interpretazione sfortunata e una applicazione ancora più infelice del concetto di democrazia ha portato al potere del popolo senza che questo sia in alcun modo associato alla competenza del popolo e ancor meno a quella dei delegati eletti e costantemente rinnegati e svuotati di delega. L’unica cultura dominante è oggi quella prodotta dalla demagogia dei talk-show e dell’informazione di consumo quotidiano, assolutamente dissociata da qualunque competenza. È proprio questa democrazia mal concepita, male applicata e male gestita, sostanzialmente tradita, che ha creato il sistema-rete di potere liquido che sta soffocando la politica e la governabilità, lo stesso che uccide la possibilità di comunicare tra la gente e il governo.
La cultura che deve esse recuperata oggi è quella che definirei la cultura della comprensione competente.
Il problema è colmare in pochi mesi lo spaventoso vuoto da disinteresse e rifiuto provocato e voluto da cinquanta anni di appiattimento DC/PCI e venti anni di Berlusconi/antiberlusconi. Un Paese con una opinione pubblica correttamente informata e attrezzata culturalmente per comprendere i problemi sconfigge il sistema-rete liquido, lo emargina e consente la linea di governo necessaria senza pericolose, patologiche semplificazioni. La cultura della comprensione. È in questo snodo che il potere liquido si associa con la democrazia degradata che ne moltiplica per fattori la viscosa, letale efficacia. Infatti la patologica moltiplicazione degli operatori inutili, incompetenti, settari e spesso corrotti e delle variabili sociali che sono caratteristiche della decadenza e del degrado partitocratico dei regimi democratici rende il sistema-rete ancora più inafferrabile e, per controintuitiva conseguenza, molto più facilmente strumentalizzabile da operatori in grado di organizzarsi al suo interno per trarne profitto. Gruppi non necessariamente formalizzati, nazionali, non “La Cupola”.
E allora?
Ecco una fotografia pessimistica, ma non molto lontana dalla realtà, della situazione italiana dopo dodici mesi di governo tecnico di emergenza 16 Novembre 2011 – 16 Novembre 2012:
Il mercato del lavoro non si riforma, la scuola non si riforma, la giustizia non si riforma, il sistema fiscale non si riforma, l’Università non si riforma, non si controllano le spese delle amministrazioni decentrate (regioni, provincie, comuni), il sistema del credito non si riforma, la massiccia, ridondante burocrazia della macchina statale è intoccabile, gli stipendi e le vergognose liquidazioni dei vescovi conti del parastato non si toccano, liberalizzazioni zero, privatizzazioni zero, dismissione beni demaniali zero, investimenti per il rilancio zero.
È chiaro che l’interdizione suicida del sistema-rete di potere in Italia è solida e più che mai aggressiva ed efficace. Il governo è prigioniero, avvolto dalla rete al punto che non riesce nemmeno a denunciare la situazione che risente, ma non vede. Crede di negoziare, concertare, ma in realtà subisce.
Il governo non riesce a fare nulla se non a gravare di tasse la popolazione e le imprese, tasse che pesano maggiormente sui redditi bassi. l’IVA oltre al venti per cento soffoca le famiglie e gli artigiani e incoraggia l’evasione.
Il debito pubblico aumenta e si dice sia già andato oltre la soglia della sostenibilità. Il pareggio di bilancio senza tagli agli sprechi è impossibile.
Non ci vuole un grande acume politico per vedere che in questo modo non solo non si esce dalla crisi, ma ci si affonda sempre di più.
Lo scenario a breve medio termine non può che derivare da questo quadro.
In qualche modo si dovrà bloccare il sistema-rete o con un crescita culturale della opinione pubblica, oppure per l’intervento di una leadership illuminata, Oppure con un governo di salute pubblica.
Tutti percorsi difficili e rischiosi. Senza una probabile realistica prospettiva oggi in Italia.
Questi sono alcuni possibili scenari fantapolitici:
More of the same.
Le elezioni del 2013 non fanno emergere una maggioranza in grado di governare. Monti viene richiamato al governo e non riesce a schiodare il sistema-rete di potere. Tutto procede come prima e l’Italia si avvia al collasso. Bruxelles cerca di imporre la medicina greca senza successo. Casini, Rutelli, Dipietro, Bersani, Fini, continuano a negare di avere mai saputo cosa facessero i loro camerieri contabili Lusi, Penati, Muccia, Polverini e continuano a sabotare Monti sostenendo il loro diritto di farlo in nome di una “politica” che hanno sempre praticato al livello della più volgare clientela.
More of the same con un Monti più deciso
Il nuovo Monti riesce solo in parte a schiodare il sistema-rete il collasso sembra rinviato, ma è solo una agonia più lunga.
Supponiamo invece che intervenga la “politica”:
Bersani primo ministro con Vendola alle finanze.
Governo di coalizione di sinistra-sinistra. La forma peggiore di sistema-rete al controllo. Questo governo sarà dominato da tutti i sindacati e da tutte le lobbies imprenditoriali della sinistra (cooperative, banche, assicurazioni) e non sarà mai in grado di prendere le iniziative drastiche necessarie per controllare e forse uscire dalla crisi. Dopo qualche mese di demagogia selvaggia inizia il collasso. Bruxelles non riesce nemmeno a intervenire per l’ostilità dichiarata del governo di cultura vendoliana.
Coalizione Bersani-Casini-resti del PdL
Dalema agli esteri. Un governo sostanzialmente impegnato nella verbalità inconcludente. Galleggiamento demagogico prolungato trattative estenuanti con Bruxelles e Francoforte, lunga agonia e quindi collasso. Vendita rovinosa di beni demaniali a gruppi finanziari legati al sistema-rete (Colaninno, Debenedetti, Caltagirone, Geronzi, Capitalia…): inutile. Utilissima per i capitani coraggiosi.
Grande coalizione d’emergenza.
Dalema primo ministro, Piero Fassino agli Affari Esteri, Casini alle finanze, Bersani all’Industria, Tabacci al bilancio, Dipietro alla Giustizia, Vendola alle politiche sociali e al nuovo dicastero alla poesia. Governo impegnato a tempo pieno a risolvere e a impostare la feroce suicida litigiosità interna. Vendita rovinosa e inutile di beni demaniali ai soliti noti, patrimoniale pesante inutile, galleggiamento demagogico, medicina greca imposta da Bruxelles inutile. Collasso.
Governo di centro o centro destra.
Anche se avesse i numeri, cosa poco probabile, non avrebbe nessuna possibilità di operare sistematicamente ingessato dal sistema-rete e da estenuanti cicli negoziali. Piazze mobilitate in continuità (cfr l’attuale governo Monti).
Governo di salute pubblica
Primo ministro Mario Draghi. Oscar Giannino alle Finanze, Boldrin alla programmazione economica. Gabinetto di tecnici e militari. Nessuno degli attuali teatranti partecipa. Azzeramento sistema-rete. Istituzione di tribunali speciali che non condannano ma neutralizzano. L’Italia commissariata da un consorzio di banche Internazionali coordinate da Christine Lagarde. Al trust partecipa la Bank of China e HSBC. Pesante rifinanziamento delle banche italiane da parte dell’FMI. Vendita del sistema produttivo parastatale, delle autostrade e delle Ferrovie, a consorzi finanziari internazionali. Liquidazione Alitalia. Vendita demanio pubblico. Vendita del Parco dell’Uccellina, del delta del Po e delle coste adriatiche molisane a un consorzio di operatori turistici cinese-svedese-finnico (Svenska-Suomi-Xinhua Tourist Company) Privatizzazione e vendita acquedotti delle grandi città, vendita dell’ENEL e della quota ENI, AGIP e Saipem a un consorzio di banche americane coordinato da J.P. Morgan. Taglio del cinquanta per cento del debito vitalizio dello Stato con una proporzionalità esponenziale che parta del dieci per cento per le pensioni di 4000,00 Euro e arrivi all’ottanta-novanta per cento per le pensioni massime. Ordine pubblico garantito da esercito e carabinieri con l’ausilio di corpi militari internazionali. Risanamento economia con programma ventennale controllato da Francoforte (BCE). Si evita il collasso, si esce dalla crisi in sei anni. Restano venti anni per portare il debito pubblico nei limiti della sostenibilità (sotto la soglia del 30 per cento del PNL).
……oppure?
La rivoluzione della cultura della comprensione.
Tempi interessanti.
“Nessuno degli attuali teatranti partecipa”. D’accordo: io intendo che occorrerebbe eliminarli fisicamente e che fossero ovviamente abolite anche le pensioni di reversibilità alle vedove ed ai figli. Diversamente ce li troveremmo sempre tra i piedi – non in forma di liquido ma di liquame – a recitare, provocare, attuare e godersi queste ormai non più sopportabili sciagurataggini. Basta, basta e basta. Il mio dubbio è se procedere scientificamente per anzianità, stipendio, statura, imbecillità o ordine alfabetico, prima che ci pensi – e non ci vorrà troppo tempo, temo – il furore popolare che porterebbe purtroppo al sacrificio di qualche innocente.