Dopo le primarie il diluvio
4 Dicembre 2012
Lorenzo Matteoli
Pubblicato su Legno Storto
Non è vero che le primarie hanno chiarito il settore a sinistra del quadro politico italiano. Non è vero che il PD è adesso un Partito con un segretario e un manifesto chiaro e leggibile, in grado di affrontare con questo manifesto la situazione sociale, finanziaria, economica dell’Italia e dei suoi rapporti Europei nei prossimi 4 anni. Il partito è profondamente diviso tra rinnovamento e conservazione, senza manifesto ideologico, senza programma di breve-medio termine, il segretario bloccato nella mediazione impossibile tra estremi ideologicamente inconciliabili e tra personaggi armati di antica solida arroganza.
Il PD è stato affidato dagli elettori delle primarie, invischiati nel pantano della conformità, della paura, dell’ipocrisia e di un mal riposto affetto, ai suoi vecchi moduli e mentori politici: Bindi, Dalema, Camusso. I quali hanno celebrato in TV (grave errore di immagine!) l’allegro funerale che per loro è stata la vittoria contro Matteo Renzi. Una celebrazione rivelatrice del vero significato di questa vittoria. Bersani infatti è il loro rappresentante preciso, ancorché protetto e nascosto da una strana cosmesi di bonhommerie emiliana e di contraddizioni programmatiche. Non è l’usato sicuro. È l’usato e basta.
Non è neanche vero quello che si strilla a destra e in qualche margine del centro: che “sono tornati i comunisti”. Questi infatti non sono comunisti: sono una brutta copia del pastone consociativo cattolico, sindacale, ex democristiano, nel quale si era immorfato il PCI dopo aver vagato per qualche anno come DS, PdS, PD in una marginalità di presunta sinistra. Senza abbandonare la memoria nostalgica di qualche residuo zoccolodurista, ma specialmente senza avere tratto conclusioni dai 50 anni di errori massimalisti e intimamente togliattiani che avevano tenuto il partito fuori dal governo, ma dentro il potere liquido e diffuso della decotta democrazia italiana.
Nella minestra si aggiunge oggi un nuovo/vecchio ingrediente rappresentato da Nichi Vendola, demagogico affabulatore e abile venditore di inconcludenti moralismi, peraltro razzolati malissimo.
Ci si chiede, con giusta preoccupazione, come farà lo smacchiatore di giaguari a tenere insieme i cattolici fondamentalisti bindiani, con i sindacalisti arrabbiati della Camusso, lo zoccolo duro della inconfessata, ma intimamente solida, nostalgia ingraiana/togliattiana, e, casononvolessemai, con l’ectoplasma moderato soi disant centrista e in realtà dappertuttistapurchèconvenga di Casini. Lasciando perdere il due percento di quelli che non hanno ancora capito chi non è veramente Montezemolo: liberi e belli, ma assolutamente irrilevanti, e attrezzati con una sola granitica convinzione che bisogna “fare sistema” per risolvere tutto. Quale sistema? Il proprio.
L’altro, e forse il più difficile problema, del vittorioso segretario, è il 40% di popolo del PD che si è schierato con Matteo Renzi e che probabilmente in una “conta” nazionale non manimpippata varrebbe un buon 50% e forse più di elettori nazionali, stufi di minestre riscaldate e di vecchi supponenti ras d’apparato. I cacicchi delle segreterie con i quali Bersani non riuscirà a fare i conti.
Molti autorevoli osservatori ritengono che Renzi debba rompere subito per dare vita a una figura politica che rappresenti la sua linea al di fuori della dialettica interna del PD.
Io non sarei così sicuro.
Oggi la confusione interna al PD è grande, contrariamente a quanto si vuol fare apparire, ed è destinata ad aggravarsi fino alle prossime elezioni: il balletto delle alleanze non dichiarate, dichiarate, finte, vere, sottintese, furbesche è destinato a continuare fino alle elezioni. Invece di consolidare la vittoria alle primarie di Bersani la logorerà esponendo il segretario alle diverse inconciliabili contraddizioni e aggressioni. Un quadro completamente diverso da quello che oggi ci viene proposto forzosamente sarà evidente e chiaro all’opinione pubblica. Invece del Grande Partito Unito e Compatto avremo il caravanserraglio di una sinistra divisa fra massimalismi, ideologismi, velleità, arroganze e supponenze, cattoliche, sindacali, zoccoloduriste, vendoliane e quant’altro.
Basterà solo stare a guardare il prossimo teatro di litigi, bisticci, contraddizioni che la equivoca miscela Bersani/Vendola/Forsecasini/cimancherebbealtro
anchedipietro riuscirà a impostare prima di venire di nuovo commissariata da un Monti2 per affondare in un nuovo ciclo di inefficace grigio-crazia. Ogni decisione a breve per l’improbabile coalizione è potenzialmente letale: riforma della giustizia, riforma del lavoro, riforma del welfare, tagli agli sprechi, riforma della struttura amministrativa dello Stato, riforma della scuola, risposte a Bruxelles, risposte a Francoforte. Troveranno sicuramente accordi sotto la pressione dell’urgenza. Ma saranno accordi talmente annacquati che svuoteranno di qualunque efficacia ogni tentativo di azione e spingeranno l’Italia più avanti verso il collasso. Monti docet.
Da una parte.
Dall’altra parte avremo la definitiva decomposizione della destra soffocata dal patetico velleitarismo di Berlusconi, dalla vacuità delle schiere di Alfano e della Santanchè, del grigiore degli altri minions. Oltre ancora, nel silenzio, la fine di Fini e dei colonnelli di AN. Al margine il rumore di Grillo, che rischia di logorare se stesso per l’incapacità propositiva che è la marca del suo successo.
Su questo quadro l’incubo della crisi finanziaria internazionale e del sistema produttivo italiano, la disoccupazione, il morso del peso fiscale imposto da Monti & C., la disperazione delle piccole e medie imprese, la delocalizzazione dei capitani coraggiosi (stile Della Valle) e l’evasione fiscale incontrollata, la pressione incalzante di Bruxelles e di Francoforte.
Ecco lo scenario nel quale collocare una proposta nuova, nuovi personaggi, un leader giovane, competente, responsabile.
Per questo scenario è opportuno predisporre lo strumento organizzativo e la “figura” politica adatta e coerente, ed è a questo progetto che, secondo me, deve lavorare Matteo Renzi tenendosi il più possibile lontano dalla bagarre della palude interna al PD nella quale verrebbe sicuramente “mascariato”.
Non è necessario che Matteo Renzi “rompa”: romperanno gli “altri” e hanno già cominciato a farlo.
condivido totalente, bravo Lorenzo, tu da Perth hai le idee più chiare di noi!