Colpettino di Stato soffice, soffice.
Lorenzo Matteoli
17 Marzo, 2013
Se passasse la tesi che Bersani ricevuto il mandato esplorativo da Napolitano, presentandosi allo stesso con un governo di minoranza, venisse autorizzato da Napolitano stesso a presentarsi per la fiducia al Parlamento, confermato alla Camera e bocciato al Senato, sarebbe comunque il Premier dimissionario in carica. Manderebbe a casa Monti, gestirebbe l’ordinaria amministrazione controllando come Primo Ministro l’elezione del nuovo presidente della repubblica portando il Paese alle nuove elezioni.
Questa tesi comporta la specifica interpretazione del ruolo di semplice notaio del Presidente della Repubblica. Tesi che fino a ieri veniva ferocemente avversata dal PD bersaniano che voleva invece un Presidente con il potere di controllare le tentazioni autocratiche del Premier. Ma le interpretazioni cambiano con le situazioni congiunturali. Quasi un colpo di stato costituzionale.
Questo è il percorso che Bersani sta cercando di istruire: se lo avesse fatto Berlusconi le piazze italiane sarebbero già alle barricate. Ammesso che il Napolitano di turno glielo avesse lasciato fare.
Uno dei tanti “colpi di stato” più o meno morbidi che la nostra Carta Costituzionale consente a causa delle numerose lacune.
La fase confusa che stiamo attraversando è di fatto molto pericolosa per le istituzioni della Repubblica e i personaggi che vi si muovono non invitano alla tranquillità. Bersani assatanato dalla sconfitta cerca una affermazione “a tutti i costi”. Anche a costo della manipolazione della Carta Costituzionale. Berlusconi aspetta le condizioni per una sua personale vendetta nei confronti della Magistratura e del PD che ritiene responsabile della persecuzione giudiziaria. Monti, invelenito dalla delusione elettorale, ha perso tutte le occasioni per conservare la sua immagine di soggetto credibile e super partes. Negli ultimi giorni ha chiaramente mostrato il profilo aggressivo e arrogante che si nasconde nel vuoto politico della sua cultura minima, lo scarso rispetto per gli Istituti della democrazia e la scontrollata frenesia di potere che lo tormenta. Grillo deve solo continuare a consolidare la sua roccaforte di indisponibile per ottenere il massimo risultato di scardinamento del “sistema”. Più Bersani lo insegue, più esalta la potenza di scasso del movimento cinque stelle, più compromette la dignità sua e del suo partito. Ma dietro l’apparente furia c’è un disegno preciso.
Ci si chiede come abbiano fatto gli “intellettuali” organici (Barbara Spinelli et al) a invocare la disponibilità di Grillo: gli intellettuali italiani hanno firmato di tutto (l’esaltazione di Pol Pot, i carri armati a Budapest etc.) ma una lettura più goffa e ingenua della situazione come quella dell’appello spinelliano non la ricordo. L’unica spiegazione è quella di una insostenibile pressione dal parte del Grande Partito alla quale hanno volentieri ceduto. Non per nulla sono “organici”.
I quindici o venti scilipottini 5S che hanno votato Grasso autorizzano la speranza bersaniana di un governo di minoranza e in qualche trasversale modo gli danno un ambiguo biglietto per tentare il colpo che ho descritto all’inizio.
Boldrini ha vissuto la sua ora di gloria: per anni è stata un interprete eccezionale della classica sindrome servile italiota per cui per compiacere il contesto internazionale bisogna aggredire e denigrare l’Italia. Il suo intervento in Parlamento un lamentoso concentrato di demagogia e luoghi comuni di basso profilo. Per uno strano contorcimento del caso l’unica speranza di mettere le cose, relativamente, a posto è nelle mani del Presidente Napolitano. O no?
Su Grasso penso non ci siano dubbi sulla sua lealtà al Paese. Sulla Boldrini attendo notizie di prima mano da chi la conosce bene professionalmente: in poche ore non si può improvvisare un discorso sui massimi sistemi. L’aria da menagramo di Berlusconi con gli occhiali scuri non commuove nessuno: gli manca il bastone bianco per indurre alla commiserazione quelli che non riesce più a convincere con la menzogna. Ricordo con orrore l’accoppiata Pivetti Scognamiglio: mi auguro che questa sia semplicemente meno insulsa e penosa. Di forte, oggi, non rimangono che le preoccupazioni e le incertezze: rimetterle nelle mani del volenteroso partenopeo mi sembra un’attestazione di stima ma sicuramente non un rimedio alle scellerataggini di questo secondo infausto ventennio.
Il momento è potenzialmente intenso e forse non tutti in Italia se ne rendono conto: Scognamiglio/Pivetti sono un buon termine di riferimento per valutare l’importanza delle due cariche. Fini/Schifani anche. In realtà è un esercizio celibe dal punto di vista delle ricadute sul processo legislativo. L’unica cosa importante sono i quindici scilipottini. Ammesso e non concesso che siano stati autorizzati da Grillo (la scena successiva è solo per incantare i grulli). Io credo.
Diciamo che Matteoli la giornata politica di ieri l’ha presa piuttosto bene 🙂