Ma che fai Pier Luigi?
Lorenzo Matteoli
25 Marzo 2013
È difficile capire cosa stia facendo Bersani. Una difficoltà che non riguarda solo me che osservo dall’Australia, ma sembra essere problema comune di tutti i commentatori politici italiani. Almeno a giudicare dalla prime pagine dei quotidiani di oggi: i titoli indicano infatti interpretazioni molto diverse. Chi ritiene stia cercando i voti dei grillini, chi invece pensa che stia cercando un ambiguo approccio a Berlusconi (senza farlo capire alla base del suo partito), alcuni pensano che stia semplicemente guadagnando tempo trastullandosi con la insopportabile e vuota liturgia della consultazione delle “parti sociali”, in attesa di una virtuale scomparsa di Napolitano dall’area delle decisioni. Le sue dichiarazioni giustificano tutte le interpretazioni.
Dalle sue parole, fonte assolutamente certa di verità, sembra che Bersani stia preparando una proposta che si rivolge “a tutte le forze politiche del Parlamento”. Una proposta “alla quale ognuno potrà aderire in tutto o in parte, uno schema che rende possibile a ogni forza parlamentare di riconoscersi in tutto o per un aspetto particolare”. Questo secondo Bersani metterà ognuno di fronte alle sue responsabilità: come dire chi non ci sta è un irresponsabile perché rifiuta la urgente ineludibile necessità di fare un governo che affronti la drammatica emergenza del paese. Questo pensiero bersaniano è apertamente in contrasto con il senso dell’incarico esplorativo ricevuto dal Presidente Napolitano di cercare una maggioranza con “numeri certi prima di andare in Parlamento”. Nessuno lo dice, ma si sta preparando uno scontro aperto tra Bersani e Napolitano. La strana logica della linea possibilista di Bersani è analoga alla proposta di un menù a base di filetto ai ferri, rifiuti organici, pesche melba, e uova marce. Ognuno può accettare la parte che gli piace di più, ma nei fatti non potrà rifiutarsi di mangiare il resto. Una proposta fatta con il tono e l’accento della massima concretezza, come se fosse la più banale e semplice delle soluzioni. Ti propongo tutto e il suo contrario e quindi non vedo come tu possa rifiutare. Non si vede invece come si possa pensare di contrabbandare questa minestra in Parlamento. Un governo che pesca via via i voti nelle varie parti interessate allo spezzatino programmatico è un governo che non avrà mai una maggioranza per la rigorosa logica dei numeri che domina la situazione parlamentare. Quindi un governo destinato al sicuro fallimento. Una irresponsabile perdita di tempo data la situazione corrente. La cosa che irrita è la sua mistificazione di soluzione concreta e pragmatica.
Mentre fa questa proposta, condita con slogan sul “cambiamento”, e sulla impostazione di “un binario per le riforme istituzionali”, assicura anche che la prima cosa che farà sarà un decreto legge sulla ineleggibilità (ovviamente di Berlusconi non certo di Vendola). Una canzone con la quale spera di catturare qualche scilipotino di Grillo. O con la quale pensa di poter coartare in futuro lo stesso Berlusconi con qualche equivoco contro cambio.
L’esplorazione di Bersani si svolge in un contesto nel quale Grillo continua a certificare la totale indisponibilità nei confronti di qualunque cosa, Berlusconi continua a dichiarare la sua disponibilità condizionata a un uomo “moderato” o di centrodestra al Quirinale, Monti, oramai privo di dignità politica, traccheggia sperando di finire con qualche incarico, uno qualunque. Penosamente ignorato da tutti compreso il Presidente Napolitano che probabilmente si chiede per quali strani motivi lo ha fatto senatore a vita e gli ha dato un incarico che si è rivelato una sciagura. Solo pochi delusi bocconiani lo credono ancora il salvatore della patria, peraltro con qualche difficoltà. I suoi ministri tecnici infilano errori a sistema: l’ultima tragedia è la farsa amatoriale, la vergogna, con la quale è stata gestita la tragedia dei due Marò con l’India. Una vicenda con pesanti responsabilità dirette dello stesso Monti. Senza che a nessuno venga in mente di dare le dimissioni e, peggio, senza che a nessuno dei politici del regime venga in mente di chiederle.
Sempre parte del contesto sono le faide all’interno del Partito Democratico dove tutti dichiarano tutto e il suo contrario: mai con Berlusconi è il tema ricorrente che sembra partecipato dalla stesso Bersani, ma una parte relativamente ragionevole della base comincia ad avere dubbi sull’opportunità della mostrificazione sistematica del Berlusconi. Mai dire mai è sempre stata una buona regola della politica italiana che in questa occasione è stata ampiamente violata dal PD, e ora ci sono problemi per rimangiarsi la pluriennale campagna giustizialista e mediatica. Questo se si vogliono evitare elezioni a breve termine. Elezioni che con 16 milioni di Italiani disponibili a cambiare idea avranno risultati di totale imprevedibilità, e rischiosi per tutti. Ma specialmente per il PD.
Sorprende l’attuale rigore pregiudiziale del PD/PdS/DS/PCI: un partito che è sempre stato capace di distinguere tra gli ideali della grande rivoluzione e la grettezza congiunturale delle stragi di mugik, dei Gulag per gli oppositori, delle torture della polizia di Beria, dei carri armati a Budapest e dei killing fields di Pol Pot, oggi non riesce a distinguere tra gli ideali socialdemocratici del centro moderato dell’opinione pubblica italiana e le avventure erotiche e le miserie personali di Berlusconi. Tutti impresentabili.
Il terrore della base dei duri e puri di “perdere identità” qualora si facesse un governo di programma PD/PdL a me sembra una confessione di identità incerta, o debole, o poco convinta. Nella situazione attuale, di drammatica urgenza pragmatica, relativamente priva di marca ideologica, dove gli appelli alla “concretezza” e al “buon senso pragmatico” sono luogo comune corrente e continuo, l’attaccamento a un fantasma di “diversità” dei compagni e della storia del Partito è fiabesco. In un’ottica di “cambiamento”, così gagliardamente ribadita da Bersani, una delle prime cose da cambiare sarebbe proprio la solidità di questa leggenda. I compagni dovrebbero finalmente capire la oramai inderogabile necessità di una apertura dichiarata alla odiatissima “socialdemocrazia”: i 3.641.823 voti che Bersani ha perso nelle ultime elezioni dovrebbero essere un messaggio chiaro, insieme ai milioni di voti per Grillo e al recupero assolutamente imprevedibile di un Berlusconi dimezzato, che l’Italia moderata è geneticamente socialdemocratica e non marxista e nemmeno per una sinistra al burro vendoliano. Sull’impervio improbabile territorio del “que se vayan todos” Grillo sarà sempre molto più bravo di Bersani. Per batterlo bisogna pensare e organizzare un “que se vayan todos” credibile e vero, praticato, governabile e non solo parlato o strillato. Anche se alcuni aspetti applicativi possono essere dolorosi, come la cancellazione dell’appropriazione indebita di denaro pubblico dei partiti, la riduzione degli organici della macchina celibe della burocrazia statale, regionale, provinciale, comunale. Il recupero di una magistratura al di sopra dei sospetti/evidenze di strumentalità politica.
Bersani deve superare l’ipocrisia di una proposta aperta a tutte le forze Parlamentari che contiene come primo impegno la derattizzazione giudiziaria del capo del maggiore partito di opposizione, o di ipotetica collaborazione governativa, e non dovrebbe avere molta difficoltà a convincere la sua base della ineludibilità della opzione. A meno che l’obbiettivo non siano proprio nuove elezioni a breve termine, dopo aver controllato la nomina del prossimo Presidente della Repubblica.