Austerità: saltate le basi teoriche.
Come recuperare l’errore.
Lorenzo Matteoli
27 Aprile 2013
Atto primo: Carmen Reinhard e Ken Rogoff, professori di economia a Harvard pubblicano il 7 gennaio del 2010 un documento (Growth in a time of Debt), nel quale sulla base di dati e complesse ipotesi elaborano con Excel la teoria che quando il debito pubblico di un Paese supera il 90% del PNL la crescita economica di quel paese diventa problematica o si ferma.
Il documento dei due economisti harvardiani cade in un momento particolarmente favorevole al suo accoglimento: la politica dell’Austerità si addice sia al rigore protestante nordico che al senso di colpa cattolico meridionale, ma aveva bisogno di una base teorica e Reinhart e Rogoff la forniscono.
È così che sulla base di quel documento si scatena l’ondata di austerità sia negli Stati Uniti che in Europa. Angela Merkel e il suo vate economico Jeroen Dijsselbloem dal 2011 la impongono ferocemente come politica economica europea.
L’Italia, dove regna Mario Monti, segue acriticamente, possibilmente aumentando la dose tanto per far vedere come è bravo lui più tedesco dei tedeschi. Alberto Alesina e Silvia Ardagna cercano di resistere, ma non sono ascoltati: difficile in Italia contrastare Mario Monti nel pieno del suo supponente potere andando contro il peana della stampa di regime.
Ora che il debito pubblico non vada molto d’accordo con la crescita è cosa che si comprende “a senso” se non altro perché il denaro che serve per pagare l’interesse sul debito viene sottratto a investimenti più qualificati e produttivi.
Ma si tratta solo di una “correlazione” non di una condizione vincolante e imprescindibile. La crescita lenta è la causa più probabile dell’aumento del debito e non il contrario. Questo non ferma il sacro furore degli “austeriani” che trasformano la semplice correlazione in un “mostro sacro”, in un “fatto” indiscutibile. Ridicolizzando tutti quelli che azzardano un dubbio. Aggredito anche il premio Nobel Paul Krugman noto “keynesiano”.
Ricordate la polemica fra i “post keynesiani” fautori dell’aumento della spesa pubblica e i fautori dell’austerità: Paul Krugman contro John Taylor.
Atto secondo: Solo che non è vero: Reinhart e Rogoff hanno sbagliato. Uno studente di Amherst (Massachussetts) Thomas Herndon che aveva scelto come tesi di verificare con altri dati la teoria di Reinhart e Rogoff si accorge di diversi errori e lacune nella metodologia di calcolo e nell’imputazione dei dati. Errori che sovvertono completamente la feroce conclusione dei due economisti harvardiani: il limite del 90% del PNL non esiste. Quasi sempre, se non sempre, storicamente la ripresa dalla depressione economica è legata a politiche di forte e strategica spesa pubblica.
Con lo studio di Herndon, accuratamente verificato in seguito da molti ricercatori ed economisti, l’Austerità torna ad essere una politica senza alcuna giustificazione teorica. Paul Krugman ovviamente ci sguazza cantando la vendetta di John Maynard Keynes: Keynes was right! “The boom, not the slump, is the right time for austerity at the Treasury.”
Ovviamente dopo la denuncia dell’errore di Reinhart e Rogoff si scatena una nuova bagarre: i due vengono “accademicamente” lapidati. Con la consueta eleganza dei professori.
La tesi fallita voleva l’austerità come misura dolorosa sul breve termine ma benefica sul lungo termine. Soffrire ora per avere la ripresa poi. Falso.
No: bisogna spendere per innescare la ripresa. E il debito va ridotto ma con strategie macroeconomiche non depressive, molto diverse dalle tasse.
Atto terzo: Il pericolo è che adesso si scateni un’altra sciocchezza: quella della spesa a vanvera.
Il messaggio invece è che vanno tagliati gli sprechi, le spese improduttive e parassitarie e i margini recuperati da questi tagli, fortemente integrati, vanno investiti in servizi e infrastrutture per l’assistenza alle imprese, oltre che in credito per investimenti di innovazione e di aggiornamento tecnologico del sistema industriale produttivo. Aumentare l’accesso delle imprese al credito e non strozzarlo. Meno tasse invece che più tasse. Incrementare i consumi qualificati. Investire in misiure strategiche di protezione ambientale: manutenzione del territorio e in efficienza delle grandi conurbazioni.
Si tratta di vedere adesso in quale modo Mario Monti e i suoi fans salveranno la faccia[1] nel mettere in atto manovre completamente diverse da quelle imposte e predicate con supponente arroganza nel 2011 manovre che non solo non hanno innescato la via “austera alla crescita” ma che hanno contribuito ad aggravare la crisi già pesante provocando fallimenti e chiusure di strutture industriali e spingendo tragicamente alla disperazione quelli che non hanno retto alla mazzata.
Questo ammesso che il messaggio sia arrivato anche agli ambienti che governano le decisioni macroeconomiche e monetarie in Italia. In Europa qualcosa sembra sia cambiato vista la dichiarazione di Barroso che ha inaugurato la lenta virata:
“Mentre l’austerità è fondamentalmente corretta penso che abbia raggiunto i suoi limiti sotto molti aspetti. Una linea politica per avere successo non deve solo essere definita correttamente. Deve anche avere un minimo di supporto politico e sociale.”
Un po’ poco ancora. Ma siamo all’inizio di un percorso diverso.
Qualche conclusione la si può trarre: attenzione agli strumenti informatici troppo facili da usare come Excel, attenzione ai professori che li usano senza avere la necessaria competenza.
Attenzione ai professori.
Ma l’idea che Excel abbia dato una mazzata quasi letale all’economia globale sembra quasi una barzelletta.
[1] Avete notato il cambiamento di Monti sulla questione IMU: ora possibilista, mesi fa assolutamente intoccabile.
Molto bello e forse anche giusto. Ciao Laura
Inviato da iPad
che dire……ho capito io che non sono neppure laureata…..condivido-Ciao fernanda