ERA IL LONTANO 1983

 

Lorenzo Matteoli

7 Giugno 2013

Lo stock complessivo del debito pubblico ha superato i 360 mila miliardi (di Lire equivalenti a circa 180 miliardi di Euro rispetto agli attuali 2035,00) e rischia di andare con l’indebitamento del 1983 oltre i 450 mila miliardi (di Lire equivalenti a circa  225 miliardi di Euro) cioè l’80% del Prodotto Interno Lordo. Ciò determina un onere per interessi che costituisce la quota maggioritaria del disavanzo corrente.

è chiaro quali conseguenze questa situazione provoca sui prezzi, sulla produzione industriale, sugli investimenti, sull’occupazione, cioè sul processo economico reale, spegnendo le possibilità di ripresa.

Il secondo elemento di allarmante gravità è costituito dal continuo e accelerato decadimento dello Stato in tutte le sue funzioni e attività.

Il Parlamento si trova in uno stato di crisi sempre più preoccupante, anzi di semiparalisi, soprattutto per la condotta del governo  che riversa freneticamente sulle Camere provvedimenti improvvisati, confusi, contraddittori che determinano un groviglio inestricabile di leggi e decreti che non si capisce poi come possano essere intesi e applicati dai magistrati e dai funzionari dell’amministrazione statale e parastatale…

 

Questa analisi della situazione Italiana chiarissima e drammatica venne fatta da Enrico Berlinguer nel suo “Rapporto di Apertura del XVI Congresso del PCI” il 2 Marzo 1983. Una analisi che riletta oggi suona pericolosamente attuale.

 

Continua il rapporto di Enrico Berlinguer:

 

…Non è forse, questa, una situazione pregna di una miscela dirompente?

È una situazione, secondo noi, che può precipitare anche rapidamente verso esiti antidemocratici.

 

Solo il “rapidamente” sembra fuori luogo.

Dopo quel discorso sono passati trenta anni e ci sono stati altri 22 governi:

Fanfani V, Craxi 1, Craxi 2, Fanfani VI, Goria 1, De Mita 1, Andreotti VI, Andreotti VII, Amato 1, Ciampi 1, Berlusconi 1, Dini 1, Prodi 1, D’Alema 1, D’Alema 2, Amato 2, Berlusconi 2, Berlusconi 3,  Prodi 2, Berlusconi 4, Monti 1, Letta 1.

 

Dei quali governi solo gli ultimi tre, costretti da una congiuntura che non consentiva più evasione, si sono in qualche modo fatti carico della situazione critica della nostra economia e della contabilità dello Stato. Ma diciannove governi, 15 presidenti del consiglio dei ministri, 501 ministri e diverse centinaia di segretari e sottosegretari per 30 anni (duemila anni uomo mal contati) hanno tranquillamente continuato a spendere e a indebitare il Paese senza la minima preoccupazione. La Corte dei Conti segnalava sistematicamente la insostenibilità della situazione, il capo della Ragioneria Generale dello Stato mandava ogni anno rapporti drammatici ai ministri e ai Governi. Così come diversi Governatori della Banca d’Italia, uno dei quali divenne anche Primo ministro (Carlo Azeglio Ciampi). Tutto nell’assoluto disinteresse e nella più serena indifferenza di tutti. Compresa la stampa di regime e di opposizione.

Una intera classe dirigente politica di governo e di opposizione, una intera classe dirigente finanziaria, industriale e d’impresa, tutta la stampa e tutti i media per trenta anni, hanno vissuto nella più completa indifferenza mentre l’uragano si stava formando sulle generazioni future.

È inutile, o ridicolo, cercare responsabilità puntuali e specifiche: è più che evidente che si tratta di una responsabilità storica generazionale di una intera società e in particolare delle sue classi dirigenti. Forse non solo italiana. Quella politica prima di tutte, ma non sarebbe tollerabile l’evasione della finanza, degli industriali, dei banchieri, dei sindacati, dei giornali e delle televisioni.

Finalmente dopo trenta anni formato con irresponsabile ritardo l’unico governo possibile, quello votato da due terzi degli elettori, è necessario che adesso vada incalzato perché “faccia” superando antagonismi, settarismi, fazioni e mali di pancia personali. Il governo di emergenza deve essere visto come una entità unica nella quale le specifiche appartenenze a uno dei due partiti associati devono elidersi. Il continuo richiamo alle parti di origine è indice di isterica puerilità politica. Chi accusa Letta di subire Alfano o Alfano di subire Letta evidentemente non ha ancora capito la situazione nella quale si trova il Paese.

Ma anche Letta non sembra avere ancora assorbito la gravità della situazione: la proposta di legge per l’abolizione del finanziamento ai partiti è emblematica di una cultura di governo improntata a irritante furberia. La debolezza e la subalternità alle logiche di partito con la quale affronta il problema della riforma elettorale è un altro pessimo segnale. Il ricorso a pletoriche commissioni per la riforma della Carta Costituzionale un terzo sintomo di galleggiamento evasivo post democristiano. Nello stesso quadro negativo si può collocare il balletto sull’IMU e sull’IVA. Anche la presunzione di creare posti di lavoro detassando i nuovi contratti a tempo indeterminato è emblematica di una visione astratta del problema: se non ha lavoro nessun imprenditore assumerà lavoratori, il fatto che i contratti siano detassati è irrilevante.

L’intera società italiana, ma specialmente i suoi rappresentanti politici, sembra avere bisogno di un rude trattamento pragmatico: aprire gli occhi sul mondo reale e darsi da fare. Le alternative non sono accettabili.

Informazioni su matteolilorenzo

Architetto, Professore in Pensione (Politecnico di Torino, Tecnologia dell'Architettura), esperto in climatologia urbana ed edilizia, energia/ambiente/economia. Vivo in Australia dal 1993
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