Le urne deserte e l’elettore “normale”

 

Lorenzo Matteoli

10 Giugno, 2013

Tutti i commentatori considerano la bassissima affluenza alle urne per i ballottaggi delle amministrative come il segnale di una catastrofe politica epocale. Viene letta come agonia terminale della democrazia, rifiuto della politica, denuncia del fallimento delle istituzioni e comunque sintomo di una gravissima patologia incerta e di impossibile o confusa diagnosi. Mi chiedo: ma veramente?

È possibile che ci siano tutte queste cose, ma la mia sensazione è che la componente sostanziale e determinante del fenomeno sia una solida e sana “normalità”.

È normale che in una società complessa dove i valori sono oggi fortemente incentrati sullo specifico individuale del vivere questa mia vita l’interesse per la “politica politicata” sia secondario se non relegato al terzo e quarto o ennesimo posto nell’elenco delle priorità: i soldi, la famiglia, i figli, la casa, il lavoro, il calcio, il divertimento, l’affitto … le tasse … ”quella roba là”… “l’altro coso lì” … la politica…Letta, Grillo, Renzi, Berlusconi, Napolitano …

È normale che ai ballottaggi delle amministrative per il sindaco di Terontola (o Roma) un sacco di gente se ne stia a casa: hanno già detto chi volevano al primo turno, se i loro candidati non sono in ballottaggio non gli interessa  validare né l’uno né l’altro dei finalisti, e non si vede perché dovrebbero. Se hanno votato per uno dei due forse andranno a confermare la loro scelta, ma non necessariamente. Il numero degli elettori al ballottaggio dovrebbe quindi (s.e.od o.)corrispondere grosso modo alla somma degli elettori dei due candidati finalisti al primo turno. Difficile che chi non è andato a votare al primo turno ci vada al secondo.

È quindi normale e fisiologico che al secondo turno ci siano meno elettori che al primo ed è anche normale che, anche al primo turno, l’affluenza alle urne tenda a diminuire rispetto alle percentuali degli scorsi decenni.  Il lamento dei catastrofisti è fuori luogo. L’Italia era comunque una eccezione rispetto a molti altri paesi occidentali, primi fra tutti gli Stati Uniti d’America dove la percentuale di votanti del 60% è considerata la norma.

La bassa percentuale di votanti è anche segno di una certa maturità politica degli elettori: votano quelli che sono interessati e quindi informati, non vota chi non è interessato e quindi presumibilmente poco informato. In questo senso la bassa percentuale di votanti è anche segno di un voto più qualificato e critico. Se l’assenza dalle urne sia un vantaggio per una parte o per l’altra dello spettro ideologico politico è materia di dibattito e di sondaggi, ma con la graduale attenuazione della discriminante destra/sinistra è logico pensare che l’assenza dalle urne sia neutra rispetto ai due schieramenti caratterizzati tutti e due da una base di forte militanza e da una larga fascia di adesioni relativamente tiepide. Non è più il tempo di Peppone e Don Camillo.

Che la bassa percentuale di votanti non sia per nulla una manifestazione di disinteresse degli italiani nei confronti della politica politicata è più che solidamente provato dai numerosi e forse troppi programmi televisivi dedicati all’attualità politica (Servizio Pubblico, L’Infedele, Piazza Pulita, 8 e mezzo, Ballarò, Quinta Colonna). Tutti caratterizzati da elevati indici di ascolto, evidentemente, perché se non lo fossero i padroni televisivi non li passerebbero.

Sono i politici politicanti che si ritengono al centro dell’universo e nel cuore della nazione ed è lì che sbagliano, insieme ad alcuni intellettuali, romanticamente utopici, e alla pletora di giornalisti che sul racconto della politica-politicata si guadagnano il pane.

Il fatto che la “politica politicata”  occupi l’ennesimo posto nella scala delle priorità dell’italiano normale (il 98% della popolazione) ha invece un’altra subdola conseguenza che dovrebbe veramente preoccupare i politici politicanti: delle cose delle quali non ci si preoccupa molto ci si può occupare con relativo distacco e leggerezza. Conseguenza? La grande mobilità dell’elettorato moderno italiano: cambiare idea non è un gran dramma per l’elettore “normale”. Berlusconi ha stancato? Non lo si vota più. Grillo è invadente e scarsamente propositivo? Non lo si vota più. Bersani è un avanzo di vecchio PCI? Non lo si vota più ….etc.

Il problema/dramma per i professionisti della previsione politica (e non) è sapere “come” voteranno gli elettori “normali” dopo aver cambiato idea.

Un argomento interessante.

Informazioni su matteolilorenzo

Architetto, Professore in Pensione (Politecnico di Torino, Tecnologia dell'Architettura), esperto in climatologia urbana ed edilizia, energia/ambiente/economia. Vivo in Australia dal 1993
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2 risposte a Le urne deserte e l’elettore “normale”

  1. laura.operti@libero.it ha detto:

    sempre con quel tocco di cinismo che ti è abituale laura operti

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