Il gioco di Matteo Renzi
Lorenzo Matteoli
Primo Luglio 2013-07-01
Lo spettacolo del PD con le contorsioni delle ventidue sette interne sul “congresso lungo” è surreale. Il giocone della tattica, pretattica, controtattica, sottotattica, intertattica, multipla incrociata diagonale, con doppia controastuzia, finta contromossa, sottintesa, implicita di rimando è affascinante anche per un paese che da un paio di millenni è abituato a tutte le sottigliezze cattovaticanomachiavelliche possibili e ancora di più. Anche gli analisti più sofisticati e consumati hanno abbandonato ogni tentativo di interpretazione e si stanno chiudendo in un dignitoso umiliante silenzio.
Tutta questa divertente e grottesca sceneggiata, che gli ex compagni e i nuovi compagni recitano con ridicola serietà e ancora più ridicola convinzione, avrà un finale semplice e pacchiano: il popolo del PD, i resti sfrangiati dello zoccolo duro oramai spappolato a budino, i cattolici profughi della defunta, ma sempre attiva e velenosa democrazia cristiana, si logoreranno fra di loro fino all’azzeramento. Alla fine i fantasmi stanchi di Bersani, Dalema, Bindi, Cuperlo, Civati, Veltroni et al. vagheranno recitando formule astruse e incomprensibili nella loro fitta nebbia verbale e ideologica, personaggi tristi di un passato tragico di logorrea e polpette.
L’unico sopravvissuto, o dentro i resti fumosi delle macerie della vecchia fortezza o in qualche strano imprevedibile modo libero e fuori, con una immagine ancora identificabile e spendibile, se non la brucia prima, sarà Matteo Renzi che vincerà quello che resterà da vincere per default. Degli altri non resterà traccia storica: i vecchi consumati da 25-30 anni di saponosa carriera consociativa e i giovani per la leggerezza di contenuti.