La rimozione del futuro di lungo termine
Lorenzo Matteoli
24, Settembre, 2013
C’ê una fondamentale sindrome nella situazione italiana che definirei come rimozione del futuro di lungo termine. Tutto ci distrae e ci impedisce la visione di lungo termine. L’attenzione sui dettagli della congiuntura attuale: le beghe preagoniche del PD, le faide del PDL, le dichiarazioni di Berlusconi, le reazioni isteriche da andropausa di Epifani, i duelli dei colonnelli e dei luogotenenti fuchi, i vaneggiamenti senili e irresponsabili di Rodotà, le battute adolescenziali (terza media) di Letta/condor, l’esasperazione dei bisticci da cortile di Travaglio-Santanchè, il tormentone dello scongresso del pd, il ridicolo tira e molla su imu, iva, service tax, tutto insomma quello che occupa le pagine dei giornali ampiamente condito da altri pettegolezzi minimi, o dalla malinconica gloria del “raddrizzamento”, ci distrae dalla visione di lungo termine. È chiaro che distrae anche i responsabili della guida della nazione anche loro impegnati e completamente assorbiti, protagonisti se non registi, sceneggiatori e promotori del balletto contingente. Nessuno sembra pensare alla scala storica delle strategie: i venti, i trenta e magari i quaranta anni a venire. È infatti a quella dimensione temporale che si dovrebbe impegnare la guida del presente. Una dimensione che sembra completamente rimossa, sia dagli attori sul palcoscenico del teatro politico, che in sala.
Il nostro megadebito pubblico verrà pagato nel giro di venti anni e forse nel giro di trenta anni…se mai, ed è quindi per questo arco di tempo che vorremmo vedere un disegno di governo.
Una azione informata sul presente per quella visione temporale. Ecco la sindrome di rimozione del futuro. Il pubblico la subisce il governo la istruisce. I media di servizio la confezionano per l’inclito.
Ci si chiede una ragione di questo comportamento irresponsabile.
Il debito pubblico italiano rappresenta, nelle mani di chi lo possiede, una gallina dalle uova d’oro: per la maggior parte dei titoli una rendita del 6 per cento sicura e garantita per i prossimi dieci o venti anni non è una opzione finanziaria facile da organizzare per i mercati di investimento. Mentre il default della Grecia, dopo aver arricchito per un breve periodo gli speculatori è diventato un rischio sicuro e certificato, il default dell’Italia è un rischio accettabile per la dimensione del paese e per la sua struttura industriale residua e potenziale. In altre parole nesssuno degli enti o paesi che detengono i nostri titoli ci fará mai fallire mettendoli di colpo sul mercato: è troppo conveniente tenere viva e vegeta la gallina dalle uova d’oro. Ci faranno sopravvivere, indebitati con una economia marginale incapace di crescere, ma capace di pagare il debito e i suoi interessi per i prossimi concepibili venti, trenta, quaranta anni. In questo periodo il Paese verrà lentamente spogliato, prima l’argenteria, poi i gioielli e alla fine gli stracci.
Questo l’hanno capito i nostri politici di governo e di opposiziome. Perchè dovrebbero farsi carico di misure drastiche e impopolari se le possono rinviare a future generazioni di italiani? Restare al potere è l’imperativo fondamentale e il galleggiamento congiunturale infinito è la strategia risolvente. Quindi niente nuova legge elettorale, niente riforme costituzionali, nessuna riforma della giustizia, nesssun taglio strutturale della spesa, ma tasse e balzelli per garantire il pagamento del debito eterno che è la garanzia della loro permanenza al potere o all’opposizione. Che sempre potere è.
Per non parlare di misure strategiche radicali per far scattare l’iniziativa economica e di impresa come la semplificazione della pesante coltre burocratica, l’investimento in ricerca, la effettiva promozione del merito e scoraggiamento del parassitismo. Mercato del lavoro asfissiato da leggi che massacrano l’impresa senza proteggere i lavoratori, infrastruttura informatica nel caos della non gestione, telecomuncazioni nelle mani del monopolio selvaggio degli amici degli amici o capitani coraggiosi come si chiamano oggi.
Nessun investimento strategico e, peggio, ostacoli a chi vorrebbe investire.
Come spiegare in altro modo il fatto che dopo sei mesi il governo detto delle larghe intese i cui ministri continuano a cantare la canzone dei tagli alla struttura della spesa pubblica non ne abbiano approvato nemmeno uno? Elefanti burocratici assurdi come le provincie dopo grandi annunci sono rimasti nella fangosa palude delle finte intenzioni, l’eliminazione del finanziamento ai partiti praticamente affossata, enti inutili eliminati zero. Quale giustificazione: parole vuote, ridicole teorie dei piccoli passi. La barzelletta della insulsa spending review. Fatti niente. Anzi fatti che vanno esattamente nella direzione opposta, demagogia e spesa clientelare come la recente legge per spendere 400 milioni di Euro sulla scuola per assumere altre migliaia di addetti quando la scuola italiana è quella che ha il maggior numero di insegnanti rispetto al numero di studenti in Europa e forse nel mondo. Un’altra occasione persa per pagare meglio, selezionare e qualificare gli organici attuali, aggiornare le strutture, eliminare il superfluo. Oppure le infantili proposte di togliere l’imu sostituendola con altre tasse di nomi diversi o di bloccare l’aumento dll’IVA, ritardando ulteriormente il pagamento dei crediti alle aziende: vergognosi esempi di truffa della pubblica opinione. Certo, vanno mandati in pensione decine di migliaia di dipendenti delle pubbliche amministrazioni, non il luogo della massima efficienza produttiva e organizzativa, ed è vero che tagliando burocrazie si aumenta il debito vitalizio dello Stato, ma sono bilanci che vanno fatti sul lungo termine: sul lungo termine anche i pensionati muoiono.
Questo governo senza idee e senza coraggio continua a nascondere ai cittadini la realtà economica rinviando per voluto cinismo politico l’azione radicale necessaria e inderogabile e aumentando il debito che future generazioni dovrannno pagare: una vergogna etica e politica.
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