Spostare il punto di vista
Lorenzo Matteoli
4 Ottobre, 2013
Dopo la frenesia della “fiducia” teatrale rappresentata al Senato il 2 ottobre 2013 tutti si interrogano su cosa succederà “dopo”. Si spacca il PdL/FI? Si formano nuovi gruppi di centristi deberlusconizzati? Quale sarà il rapporto “politico” di Alfano con Letta? Berlusconi ha vinto o ha perso? Che fine faranno i falchi beffati dallo sgambetto del “capo”? Cosa cambia nel programma politico che non è più di larghe intese ma di coalizione Alfano/Letta? Riuscirà la nuova coalizione a fare le riforme? A fare una legge elettorale decente? Quali saranno gli echi nel PD dello sconquasso nelle file ex berlusconiane? Tutte domande senza molta risposta o con troppe risposte.
Forse conviene spostare il punto di vista: un capovolgimento copernicano. Invece di guardare la crisi e il tourbillon dalla parte dei partiti (o ex partiti, bande, congreghe, associazioni, movimenti) e dei loro “capi” (caporali, padroni, signori della guerra, capi-piazza, demagoghi,…) bisognerebbe provare a guardarla dalla parte della gente.
La “gente” è profondamente diversa dalla figura decomposta degli ex partiti che presumono di rappresentarla. L’opinione pubblica è certamente informalmente articolata in aree che, con qualche approssimazione, si possono definire di sinistra, centro e destra. Aree oggi dai confini sfumati contorti e confusi, ma comunque effettive e reali fortemente aggregate intorno ai baricentri ideali che definiscono le tre visioni del mondo che continuiamo a chiamare sinistra, centro e destra. Sempre affermando l’attuale carenza semantica dei tre termini, che però non sappiamo sostituire.
Tutto l’arco è comunque stanco e insoddisfatto e tutto l’arco non è rappresentato politicamente dall’attuale assetto presente nel Parlamento romano e nelle altre stanze del potere.
La domanda quindi è quando l’esercito dei guerrieri delle tangenziali, l’esercito dei pendolari ferroviari delle 5.30 del mattino, delle affollate aule universitarie, insomma l’esercito dei milioni di persone che, nonostante tutto, nonostante i governi, le clientele, i privilegi, le evasioni fiscali, l’inefficienza delle burocrazie, la mafia, e le altre forme di criminalità organizzata o legalizzata, fanno funzionare il Paese, o si preparano a farlo funzionare: le scuole, gli ospedali, le fabbriche, i treni, i tram…quando questo esercito troverà una organizzazione della politica che lo rappresenti.
Oggi la distanza è lunare, due mondi diversi, lontani quasi sempre antagonisti. Da una parte la gente legata alla prassi quotidiana, ai figli da educare, ai malati da curare, la terra da lavorare, le bestie da “governare”, al lavoro da mandare avanti, all’affitto da pagare, alle tasse da pagare. Dall’altra i cupi fantasmi privilegiati della politica avvolti nelle strategie oscure, nelle tattiche ambigue nei linguaggi diagonali, nel gioco perverso del potere dei corridoi, alcuni. Altri, accecati di rabbia storditi dalla dialettica urlata nelle piazze o negli assurdi teatri televisivi dove si confrontano con slogan consumati, verità imposte, numeri improbabili. L’unica dialettica urlare, interrompere, impedire lo svolgimento di qualunque discorso degli altri urlatori.
Ci si chiede cosa deve cambiare, chi deve cambiare perché i due mondi dei non rappresentati e dei non rappresentanti si riconfigurino e torni ad esserci una qualche analogia fra le due parti. Se non speculare riscontro.
Quanto tempo ci vorrà perché la generazione politica decomposta e consumata che occupa il potere, i partiti devastati dal degrado clientelare, dalle parrocchie di caporali e dall’arroganza dei capi/padroni, i “poteri forti” ufficiosi delle lobby mediatiche, bancarie, finanziarie o mafiose, vengano definitivamente metabolizzati dalla storia e si ricostruisca una logica tra rappresentanti e rappresentati non inquinata, diretta, leggibile, autentica ed efficace? Onesta.
Sarà una transizione lenta, rapida, rivoluzionaria, pacifica o sanguinaria? Quali costi e quali sacrifici? Se mai avverrà.
Quanto tempo ci vorrà perché si riformi un linguaggio capace di rappresentare la necessità di comunicazione della gente? Perché si istruisca una cultura politica capace di esprimere quel linguaggio. Quanto tempo ci vorrà perché la dis-cultura dei media e di chi li possiede e comanda si accorga dei danni che ha prodotto? Parole diverse, comportamenti diversi, pensieri diversi. Ascolto diverso. Un’altra cultura. Altri uomini e altre donne.
La visione di lungo termine deve tornare ad essere il riferimento per l’azione tattica congiunturale e per le strategie, che siano di matrice liberale o di matrice socialista. Si deve recuperare la competenza sugli strumenti economici, finanziari, sulle tecnologie, la comprensione del sociale senza inquinamento demagogico. L’area della decisione politica deve essere libera da ricatti e da incursioni della magistratura politicamente versata. Il rapporto tra eletti ed elettori non deve più essere filtrato dal potere delle segreterie dei partiti, le regole elettorali devono garantire il diritto di scelta degli elettori senza interferenze delle burocrazie.
Una trasformazione epocale e una visione probabilmente intrisa di utopia al limite dell’ingenuità, un processo che richiederà generazioni politiche, un impegno che oggi è culturale prima che politico. L’alternativa è cupa ma, in fondo, sono le Utopie che hanno sempre cambiato il mondo. Evocarle non è mai completamente inutile.