Energia elettrica in Italia luci ed ombre
dietro il boom delle rinnovabili
Lorenzio Matteoli
22 Ottobre 2013
Secondo l’ultimo rapporto TERNA il bilancio della produzione energetica in Italia per il periodo dal Gennaio 2013 al Settembre 2013 si articola nelle seguenti voci:
idroelettrica 40.695 GWH
termoelettrica 135.816 GWH
geotermoelettrica 3.962 GWH
Eolica 11.447 GWH
Fotovoltaica 18.772 GWH
Quindi sul totale dell’energia erogata si ha che il 64,46% è di origine termoelettrica (gas, carbone, petrolio) e il 35,54% è di origine fluente (idroelettrica, geotermoelettrica, eolica, fotovoltaica).
Il 35,54% di energia da fonti rinnovabili è una percentuale elevata e superiore per un fattore 2 alle previsioni fatte solo tre anni fa quando si prevedeva come obbiettivo per il 2020 una percentuale di energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili del 17%. Questo risultato, che in apparenza potrebbe sembrare un grande successo, nasconde una realtà complessiva, economica e di sistema che è invece drammatica e che graverà pesantemente sui consumatori di energia elettrica italiani per i prossimi venti anni.
Il problema è caratterizzato da una notevole complessità sia per gli aspetti tecnici connessi con il sistema energetico e la sua articolazione industriale e territoriale (generazione, trasporto, dispacciamento, distribuzione) sia per gli aspetti normativi e fiscali (leggi, tariffe, incentivi, normativa della commercializzazione dell’energia). In questo esercizio cercherò di semplificare allo scopo di facilitare la comprensione a un pubblico “laico” rinviando il lettore interessato a documenti che trattano i diversi aspetti in modo più specifico e approfondito.
La ragione nodale del dramma in corso e prossimo venturo è che sono stati dati incentivi e privilegi alle Fonti di Energia Rinnovabile (FER) decisamente eccessivi. Gli incentivi non sono finanziati dallo Stato, ma sono coperti attraverso incrementi sulle bollette dei consumatori di energia attuali e futuri dei prossimi venti anni. L’aspetto che rende più opinabile tutta l’architettura tariffaria e fiscale è che per proteggere i piccoli consumatori si sono puniti i consumatori medi e intermedi, cioè la piccola e media industria. Per fare un esempio, che traggo dalla comunicazione al Senato del Presidente Assoelettrica Chicco Testa, un’utenza domestica con potenza impegnata di 3 kW il cui consumo non supera i 3-4000 kWh annui paga il kilowattora 19 centesimi tutto compreso mentre lo stesso consumatore che chiede un servizio a 6 kW e che consuma la stessa quantità di energia paga, sempre tutto compreso, quasi 30 centesimi al kWh, una maggiorazione del 63% circa, (fonte Assoelettrica-GSE).[1]
Nel diagramma che riporto (fonte Assoelettrica-Gestore Servizi Energetici) sono indicati gli incentivi per le diverse forme di intervento:
FV fotovoltaico
CV certificati verdi
TO tariffa onnicomprensiva
DM FER aste Decreto Ministeriale Aste
DM FER amministrativi
La somma complessiva che l’utenza italiana dovrà pagare nei prossimi venti anni è di circa 220 miliardi di Euro
Il complesso degli incentivi ha deformato il mercato dell’energia in Italia con penalizzazione punitiva della generazione termoelettrica che in molti casi è costretta a operare in perdita. La situazione è stata ulteriormente peggiorata dalla diminuzione della domanda di energia causata della crisi finanziaria che ha caratterizzato il mercato italiano dal 2009. La ridotta domanda ha diminuito lo spazio di mercato per collocare le rinnovabili e la generazione termoelettrica (carbone e gas) rendendo ancora più fragile il sistema di dispacciamento e più punitivo il privilegio dato alle rinnovabili per ovviare alla mancanza di sistemi di accumulo alternativi alla rete.
La differenza fondamentale tra le diverse forme di energia è quella della “modulabilità”. Mentre idroelettrica, termoelettrica di origine turbogas, geotermoelettrica sono conversioni “modulabili” per bilanciare domanda e offerta, la fotovoltaica e l’eolica, non sono modulabili. Nel senso che se c’è domanda si possono mettere in rete quando arrivano sole e vento, se non c’è domanda o si dispone di tecnologie di accumulo oppure devono essere rifiutate (in qualche modo) o trasferite verso territori dove c’è domanda.
Per questa ragione, insieme agli incentivi governativi per favorire le energie rinnovabili, le norme italiane danno al fotovoltaico e al vento una priorità di “dispacciamento”. Un privilegio che si rende necessario per la mancanza di tecnologie di accumulo. Questo privilegio consente di mettere direttamente in rete l’energia di origine solare fotovoltaica ed eolica obbligando la generazione termoelettrica a “cedere il passo”. Un meccanismo che ha messo in grave difficoltà la generazione di energia elettrica mediante impianti turbogas o termoelettrici di ultima generazione. Impianti[2] che oggi sono costretti ad operare in condizioni antieconomiche per poche ore al giorno. Condizioni che non consentono di recuperare l’onere degli investimenti effettuati e in molti casi non recuperano nemmeno il costo del combustibile.
Alle difficoltà provocate dalla politica di incentivazione forzosa si sono aggiunti altri problemi di matrice “non energetica” ma più tipicamente “italiana”. Sul business delle rinnovabili, fotovoltaico ed eolico, che consente rendite del 15% – 20% sugli investimenti in pale eoliche e collettori FV, si sono scaraventati soggetti più avventurieri che di impresa. In molte regioni le rinnovabili sono un campo di ambigue connivenze politiche finanziarie tra amministratori locali e “sviluppatori” dove il controllo delle licenze per collocare campi FV e pale eoliche è spesso luogo di sospetto. Fuori dall’ambiguità ipocrita stiamo parlando di ombre mafiose sull’intreccio di interessi.
Tutta la azione congiunturale della promozione delle fonti di energia rinnovabile vede inoltre la completa assenza di una attenzione alla qualità delle tecnologie e altrettanto vuoto progettuale sulle implicazioni a medio lungo termine della obsolescenza delle stesse. Infatti un problema che va impostato strategicamente nelle sue implicazioni economiche e ambientali, è quello del riciclaggio dei collettori fotovoltaici obsoleti. Una condizione che fra 10 anni richiederà consistenti investimenti e adeguate strutture industriali e che finora non ha avuto molta considerazione progettuale.
La vigorosa promozione delle rinnovabili iniziata negli anni 2006-2008 da motivazione più ideologica che obbiettivamente imprenditoriale ed economica sotto il governo della XV legislatura (Ministro per lo Sviluppo Economico Luigi Bersani) e continuata con incentivi sconsiderati con il governo Berlusconi (ministri dello Sviluppo Scajola, Berlusconi e Romani con la partecipazione del Ministro per l’Ambiente Prestigiacomo) ha bruciato la capacità dell’industria nazionale italiana di produrre le tecnologie necessarie per la implementazione delle strategie promuovendo in modo quasi obbligato l’importazione di tecnologie dalla Cina (collettori FV e inverters, pale eoliche e generatori relativi) per decine di milioni di Euro. Non sempre di accertata qualità. Come conseguenza i costi di manutenzione attuali del parco di pale eolico italiano sono superiori per fattori ai costi di manutenzione dei parchi tedeschi e danesi.
A queste difficoltà si è aggiunta la scarsa preparazione del pubblico e delle istituzioni italiane (soprintendenze) ad accettare le tecnologie delle rinnovabili e le relative implicazioni ambientali e paesaggistiche. In molte situazioni l’obiezione degli ambientalisti può essere giustificata:
ma spesso la motivazione è più passionale che obbiettiva. In molti casi eccitata da operatori e media di sentimento chiaramente reazionario, come sono molte piattaforme verdi non solo in Italia. Mentre gli ambientalisti italiani fotografano ammirati i mulini a vento olandesi si inferociscono di fronte alle pale eoliche del 2013: una resistenza chiaramente retrò. Nessuno ha mai fatto obiezioni ambientali per i tralicci dell’alta tensione sulla ovvia indispensabile necessità dei quali non intervengono critiche paesaggistiche. E i tralicci dell’alta tensione sono sicuramente più brutti delle pale eoliche. Nella storia della tecnologia i problemi di accettazione da parte del pubblico dei nuovi “mostri” sono sempre esistiti: una maggiore attenzione nella scelta dei luoghi e nelle autorizzazioni avrebbe evitato i casi più offensivi. Insostenibili le resistenze sul “rumore” delle pale eoliche che è praticamente al di sotto della soglia di udibilità per l’utente a 50 metri di distanza. Ma la nevrosi e la sindrome da intolleranza culturale possono essere più convincenti delle misure acustiche.
Cosa è successo in Germania
Dall’Economist del 12 Ottobre 2013
Se Sparta piange Atene non ride: anche in Germania l’eccesso di rinnovabili e la carenza di accumulo creano problemi come riporta un recente articolo sull’Economist.
Come perdere 500 miliardi di Euro, i fornitori di energia europei di fronte a una minaccia letale.
Il 16 Giugno 2013 qualcosa di molto strano è successo sul mercato dell’elettricità in Germania. Il prezzo all’ingrosso dell’elettricità è crollato a meno €100 per MWh. Cioè le società produttrici si sono trovate a dover pagare i dirigenti della rete di distribuzione perché prendessero la loro elettricità. Era una domenica serena e caratterizzata da leggera brezza. La domanda di energia era bassa. Fra le 14.00 e le 15.00 i generatori eolici e fotovoltaici generavano 28.9 GW di Potenza, più della metà della domanda totale. In quel momento la rete non poteva gestire più di 45 GW senza diventare instabile. Al picco, la Potenza totale generata era di oltre 51 GW; i prezzi sono quindi diventati negativi per incoraggiare tagli di generazione e proteggere la rete dal sovraccarico.
Il problema è che le centrali nucleari e a carbone sono progettate per funzionare al massimo della potenza di progetto e non possono ridurre la produzione facilmente, mentre l’energia solare FV ed eolica gratuita viene immessa in rete con privilegio non potendo essere accumulata. Quindi la riduzione del carico in rete è responsabilità delle centrali a gas e delle centrali a carbone la cui produzione scese al 10% della potenza installata.
Riflessione conclusiva
A fronte dell’attuale effettivo vantaggio di aver coperto in meno di dieci anni una percentuale di oltre un terzo della produzione di energia elettrica con energie rinnovabili ci sono seri problemi che dovranno impegnare la gestione futura del sistema energetico italiano a brevissimo e medio termine.
Non ho idea di come si possa rimediare all’errore di avere imposto una strategia di incentivazione eccessiva il cui costo graverà su tutti gli utenti per il vantaggio di pochi operatori per i prossimi venti anni. Una revisione degli incentivi è impugnabile contrattualmente, ma qualcosa si dovrà inventare per ridurre l’ingiustizia che quella strategia comporta. Un bell’esempio di come scelte tecniche fortemente informate da passione ideologica possono comportare seri errori e ingiustizie. In particolare quando la motivazione “ideologica” si associa a prepotente spinta economica e di speculazione.
La depurazione da fenomeni corruttivi o devianti indotta dal complesso quadro decisionale per l’implementazione delle strategie energetiche basate sulle rinnovabili non è un problema tecnologico, ma squisitamente politico e normativo, certamente andrà affrontato con vigore. E nel merito ci sono ragioni di pessimismo nell’Italia di oggi.
Gli investimenti sulle rinnovabili devono venire inquadrati in una strategia per la loro corretta integrazione nel sistema distributivo: senza la disponibilità di accumuli diversi dalla rete l’aumento di generazione fotovoltaica o eolica provocherà più sprechi che risparmi.
Una ipotesi transitoria che potrebbe essere efficace nel breve medio termine è quella di aggiungere accumulatori (batterie) agli impianti fotovoltaici individuali: secondo uno studio ANIE questo potrebbe essere vantaggioso anche per piccoli impianti. Se questa pratica prendesse campo renderebbe più semplice il problema di dispacciamento privilegiato in rete dell’energia di origine solare FV. Nel merito va riscontrato il forte interesse dell’ENEL e di altri produttori di esplorare l’accumulo in batterie su varie scale associato alla promozione dell’intelligenza delle reti (smart grids) e delle tecnologie utenti.
Sul medio lungo termine l’ipotesi che oggi sembra più fattibile per attrezzare il territorio e il sistema che lo serve con una forte capacità di accumulo elettrico è quella di associare la produzione di energia fotovoltaica ed eolica a un parco di automobili ibride o elettriche.
Altre tecnologie di accumulo sono disponibili, ma comportano tutte costi notevoli, forti difficoltà strutturali, bassi rendimenti di sistema e potenziale inquinamento (volani meccanici, batterie). Il pompaggio nei bacini montani, anche se basso come rendimento di secondo ordine, resta una potenzialità di non facile operazione. Questo perché la disponibilità di energia fotovoltaica coincide in genere con i picchi di domanda elettrica che, guarda caso, vengono proprio coperti dall’idroelettrico. Non è un problema di facile soluzione, ma una sofisticata modellazione dei turni operativi delle centrali idroelettriche potrebbe fornire risposte (cfr smart grids).
Un insegnamento che si può trarre dalla diminuita domanda elettrica degli ultimi anni, dovuta alla crisi finanziaria, è che il trend negativo della domanda diventerà caratteristica fisiologica per molti anni a venire per effetto dell’aumento dell’efficienza dei sistemi di utenza e della riduzione degli sprechi tecnologici (o aumento dei rendimenti di secondo ordine).
Un ultima riflessione: il costoso errore[3] commesso con l’eccesso di incentivazione delle rinnovabili è in parte compensato dal fatto che la vistosa, anche se disordinata e inorganica, crescita della generazione di energia rinnovabile degli ultimi quattro anni, ha dimostrato la sua “fattibilità” e consente di guardare con maggiore obbiettività alla rinuncia al nucleare come attualmente possibile.
Non è molto consolante la riflessione, peraltro giusta, che : “…Abbiamo pagato e paghiamo ben di più per sostenere petrolio, carbone e gas di quanto stiamo pagando per qualcosa che può farci sopravvivere.”[4]
[1] Non tutti sono d’accordo con l’esempio fornito da Chicco Testa, il prof. Federico Butera mi cita una sua esperienza personale diversa:…” ho un contratto da 6 kW e pago a quel prezzo solo i kWh consumati oltre i 4000 l’anno (riportati a bimestre) se consumo di meno, pago il kWh di meno. Tanto vero che, avendo installato un impianto fotovoltaico sul tetto (senza incentivi), con lo stesso contratto pago i kWh che l’Enel mi fornisce a circa 20 centesimi di euro.
[2] Il parco impianti italiano ampiamente convertito a turbogas a partire dalla fine degli anni ’90 è considerato tra i più efficienti nel mondo.
[3] chi_ha_ucciso_le_rinnoabili_08_03_2013[1]pdf
[4] Prof. Federico Butera comunicazione personale condivisa dall’autore