Stiamo assistendo, vivendo, partecipando alla fine di un regime. Un regime durato 70 anni. Non i venti di Berlusconi, non i 40 della consociazione DC/PCI. I 70 dalla fine della seconda Guerra Mondiale che per l’Italia data dall’8 settembre 1943. La fine dell’Italia nata dalla catastrofe della Seconda Guerra mondiale, dal disastro del regime fascista, dalla Guerra Civile. Tre generazioni di Italiani, quasi quattro, sono in qualche modo responsabili, coscienti o incoscienti, di quello che oggi sta succedendo: la generazione del fascismo, quella del dopoguerra, quella del regime DC/PCI. Il Paese che lasciamo ai figli trentenni e quarantenni è peggiore di quello che abbiamo ereditato dai nostri vecchi, che a sua volta era peggiore di quello che loro avevano ereditato dai loro vecchi. Una lunga decadenza. La storia ne definirà le ragioni e i motivi. Non è facile individuare una sintesi. Ma se va trovata una categoria generale direi che la lunga lotta fra capitalismo occidentale e comunismo sovietico è la matrice più importante della decadenza. Una lotta polarizzata, settaria, radicale, che ha impedito di vedere altri valori, altre priorità, altri pericoli. Siamo stati distratti. Non abbiamo saputo apprezzare e difendere la democrazia che gli eserciti di liberazione ci hanno regalato nel 1945, l’abbiamo sottovalutata, presunta come conquistata e l’abbiamo violata, sbracata, sporcata. Forse oltre il limite del possibile riscatto. Si possono avere due atteggiamenti di fronte allo sfascio in corso: salutarlo come necessaria premessa di rinascita o subirlo come fase transitoria, premessa di ulteriori disastri. Un momento del percorso verso gli inferi. Non ci vuole un genio della previsione politica per vedere nell’attuale miseria del PdL/FI la fine irrecuperabile della capacità di rappresentare un centro moderato di quella indefinibile aggregazione di soggetti, privi di visione politica, di una qualunque cultura o visione sociale, di qualunque capacità di elaborazione ideologica. Un insieme di soggetti schizzati da isterismi personali che, anche se vittime di accanimento giuridico e mediatico, lo sono per forte responsabilità personale e per incapacità di reazione dignitosa. Non si salva nessuno: falchi, colombe, anatre, oche, conigli o tonni. Saranno tutti travolti nella loro arrogante insipienza: nove milioni di voti saranno alla deriva elettorale disponibili per la scheda bianca o per chi saprà meglio interpretare la loro frustrazione. O peggio per la protesta qualunquista. A sinistra, o a quella parte che ancora oggi si autodefinisce tale, si assiste a un altro modello di disfacimento: cinquanta anni di immobilità ideologica, di disprezzo per la visione socialdemocratica del mondo (la puzza sotto il naso), di negazione delle elementari realtà storiche e sociali, di irresponsabile, complice incapacità di denunciare il fallimento del vetero-comunismo sovietico, di occupazione del potere per il potere, hanno prodotto l’attuale indefinibile ectoplasma ideologico dove la conservazione cattolica si associa allo stalinismo nostalgico, dove il massimalismo sindacale si allinea con l’archeologia sconfitta della lotta di classe, dove la velleità demagogica solletica il più deleterio populismo, dove “la verità in tasca” uccide l’umiltà necessaria per affrontare i problemi. Altri nove milioni di voti che cercheranno disperatamente qualcuno che li rappresenti. Di fronte a questo scenario di disgregazione troviamo due voci che sono “fuori dal coro” o che non parlano il linguaggio consunto dei personaggi antichi: Matteo Renzi e Beppe Grillo. Piaccia o non piaccia. Una analisi accurata dei discorsi, delle parole, degli atteggiamenti e delle storie di Berlusconi, Epifani, Dalema, Bindi, Cicchitto, Santanché, Alfano, Letta, Gasparri, Fini, Civati, Cuperlo, Vendola, Ingroia, Dipietro, Capezzone, Bonino, Prodi, Rodotà, Casini, Monti, Fini… rivela senza possibilità di equivoco che tutto, o grandissima parte, del loro bagaglio comportamentale, verbale, ideologico e culturale appartiene al passato: sono i rappresentanti residuali o sopravvissuti dei 70 anni di storia fallimentare della nostra Repubblica. Indipendentemente dalle loro differenze ideologiche, minime, confuse, vere o presunte. Questi personaggi sono incontestabilmente il passato e da quel passato non hanno possibilità di uscire o di riscattarsi tanto profonda è la loro “marca”. Se sopravvivrà un bipolarismo in Italia i due poli saranno Renzi e Grillo. Tutti e due devono ancora percorrere un lungo tratto di strada e devono confrontarsi con una realtà che sarà punitiva: non ci sarà spazio per leggerezze, demagogia incompetente, pasticci ideologici, avventurismo grossolano. C’è un Paese da ricostruire, valori da restaurare, volontà progettuale da ridefinire, visione di lungo termine da ridisegnare, volontà di futuro da rifondare. Una sfida storica senza precedenti, un progetto pluri-generazionale da affrontare. I personaggi dovranno essere all’altezza. Potranno promettere solo sacrifici. Ci si può chiedere cosa conta di più in questa ipotesi: la rabbia della frustrazione di Beppe Grillo o l’entusiasmo e l’energia di Matteo Renzi? La mia risposta è evidente. Così come è forte la paura per una nuova devastante delusione.
-
Articoli recenti
Commenti recenti
Lorenzo Matteoli su IL COMICO BALLETTO SUL PNRR: I… Jose Perfetto su IL COMICO BALLETTO SUL PNRR: I… matteolilorenzo su IL RITRATTO DELL’ARROGAN… Erica Giacosa su IL RITRATTO DELL’ARROGAN… Claudia Caramanti su LA TRUFFA DI CARLO MARIA … Archivi
- Maggio 2023
- aprile 2023
- marzo 2023
- febbraio 2023
- gennaio 2023
- dicembre 2022
- novembre 2022
- ottobre 2022
- settembre 2022
- agosto 2022
- luglio 2022
- giugno 2022
- Maggio 2022
- aprile 2022
- marzo 2022
- febbraio 2022
- gennaio 2022
- dicembre 2021
- novembre 2021
- ottobre 2021
- settembre 2021
- agosto 2021
- luglio 2021
- giugno 2021
- Maggio 2021
- aprile 2021
- marzo 2021
- febbraio 2021
- gennaio 2021
- dicembre 2020
- novembre 2020
- ottobre 2020
- settembre 2020
- agosto 2020
- luglio 2020
- giugno 2020
- Maggio 2020
- aprile 2020
- marzo 2020
- febbraio 2020
- gennaio 2020
- dicembre 2019
- novembre 2019
- ottobre 2019
- settembre 2019
- agosto 2019
- luglio 2019
- giugno 2019
- Maggio 2019
- aprile 2019
- marzo 2019
- febbraio 2019
- gennaio 2019
- dicembre 2018
- novembre 2018
- ottobre 2018
- settembre 2018
- agosto 2018
- luglio 2018
- giugno 2018
- Maggio 2018
- aprile 2018
- marzo 2018
- febbraio 2018
- gennaio 2018
- dicembre 2017
- novembre 2017
- ottobre 2017
- agosto 2017
- giugno 2017
- Maggio 2017
- aprile 2017
- marzo 2017
- febbraio 2017
- gennaio 2017
- dicembre 2016
- novembre 2016
- ottobre 2016
- agosto 2016
- luglio 2016
- giugno 2016
- Maggio 2016
- aprile 2016
- marzo 2016
- febbraio 2016
- gennaio 2016
- dicembre 2015
- novembre 2015
- ottobre 2015
- agosto 2015
- luglio 2015
- giugno 2015
- Maggio 2015
- aprile 2015
- marzo 2015
- febbraio 2015
- gennaio 2015
- dicembre 2014
- novembre 2014
- ottobre 2014
- settembre 2014
- agosto 2014
- luglio 2014
- Maggio 2014
- aprile 2014
- marzo 2014
- febbraio 2014
- gennaio 2014
- dicembre 2013
- novembre 2013
- ottobre 2013
- settembre 2013
- agosto 2013
- luglio 2013
- giugno 2013
- Maggio 2013
- aprile 2013
- marzo 2013
- febbraio 2013
- gennaio 2013
- dicembre 2012
- novembre 2012
- ottobre 2012
- settembre 2012
- agosto 2012
- luglio 2012
Categorie
Meta
Caro Matteo, ogni tanto ricado nella tentazione di non rimanere zitto e di continuare ad esprimere il mio parere su quello che tu scrivi con giusta indignazione.
Ripeto: l’unità d’Italia è stato un errore senza rimedio (l’unificazione sarebbe stata diversa e non voglio trattenermi oltre sulla differenza abissale tra i due concetti).
Fai i nomi dei politici attuali ma pensa a quelli che hanno lavorato oltre 150 anni fa per unificare il Paese:
– Garibaldi Giuseppe, grassatore
– Mazzini Giuseppe: idealista senza programmi concreti
– Cavour Camillo: mestatore impenitente e supporter della vulva d’oro del Risorgimento, Oldoini Virginia contessa di Castiglione
– Crispi Francesco: spese cifre assurde per conquistare i resti sfigati dei territori africani lasciati dagli altri, invece che cercare di tirare su il Mezzogiorno lasciato morire dopo la cacciata dei Borboni
– i Mille bergamaschi che hanno conquistato la terra di mafia e poi vanno a Pontida a lamentarsi dei terroni
– Savoia: montanari sottoculturati e donnaioli
Pur essendo difficile peggiorare la situazione nata dall’unità d’Italia vedi che i nostri reggitori ci sono riusciti in tutti questi anni ed ancora non è finita: abbiamo ancora ampi margini di peggioramento e sono sicuro che le nuove leve sono già pronte per entrare in lizza.
Massimo