Lorenzo Matteoli
12 Gennaio, 2014
A cinque anni dall’inizio (ufficiale) della GCF (Grande Crisi Finanziaria) siamo in grado di capire qualcosa di più sulle sue cause e sulle relative responsabilità, possiamo fare valutazioni comparative sulle strategie di intervento seguite dalle diverse regioni geopolitiche (USA, Giappone, Europa) per controllarla e risolverla, e possiamo fare qualche previsione più precisa sul futuro svolgimento nelle diverse situazioni geopolitiche.
Possiamo inoltre svolgere qualche considerazione specifica sull’Italia dove la GFC si è sovrapposta a una grave crisi di governo del Paese aggravandone le conseguenze e rendendo più difficile la gestione dell’uscita dal tunnel.
Le cause.
Viene correntemente indicata dagli analisti come causa scatenante della GCF la grande truffa allestita dalla banche USA con i prestiti ipotecari “subprime”, cioè concessi a soggetti notoriamente non in grado di pagarne la restituzione e gli interessi. Questi crediti ipotecari (inesigibili o difficilmente esigibili) sono stati poi raccolti, confezionati e venduti come fondi di investimento esportando il disastro in tutto il mondo. Banche Francesi, Tedesche, Giapponesi, Italiane, Norvegesi e Svedesi sono state indotte, con informazioni manipolate, a comperare i fondi “tossici” che hanno poi collocato presso i loro clienti, piccoli e grandi risparmiatori o investitori. Quando i titolari delle ipoteche non hanno più rispettato l’impegno di pagare interessi e capitale i risparmiatori si sono resi conto di avere in mano carta straccia pagata con denaro buono. Uno scandalo Parmalat moltiplicato per centomila. In altre parole il mondo intero è stato coinvolto e ha pagato i truffatori USA. Quello che rende la truffa Americana incredibile e unica nella storia della finanza mondiale è la dimensione: migliaia di migliaia di miliardi di dollari. Ancora oggi non sono disponibili valutazioni definitive: molte banche non vogliono dichiarare per quanto sono state imbrogliate e quanti fondi tossici sono ancora in giro nascosti nei portafogli della varie banche e in attesa di provocare altri danni. La truffa pensata, elaborata e attuata dagli istituti finanziari di Wall Street non sarebbe stata possibile senza una complice e criminale connivenza delle Agenzie di Rating (Moody’s, Standard & Poor’s) che qualificarono i fondi tossici con rating AAA. Da notare che i servizi delle agenzie di rating erano pagati proprio dagli istituti finanziari e dalle banche di Wall Street. Su tutta la vicenda grava la pesante responsabilità degli enti di controllo federali che non hanno denunciato le pratiche di “predatory lending” e la truffaldina confezione delle ipoteche in fondi di investimento “tossici” che sono poi stati collocati sui mercati finanziari di tutto il mondo esportando la più grande truffa della storia dell’economia planetaria facendola pagare a milioni di piccoli risparmiatori.
Ma se la truffa dei fondi tossici è stata la causa scatenante della crisi nel 2008 le condizioni che ne hanno determinato le indispensabili premesse vengono da più lontano. Da più di venti anni era in corso negli Stati Uniti un processo detto di finanziarizzazione dell’economia reale: il volume dei movimenti monetari relativo allo scambio di merci e servizi che quaranta anni fa rappresentava praticamente il 100% degli scambi sui mercati mondiali era diventato una quota minima rispetto al volume dei movimenti relativi a transazioni finanziarie. Ovvero denaro che viene scambiato per comprare e vendere denaro o titoli sulle diverse piazze nel giro di poche ore o pochi minuti. La disponibilità di servizi elettronici per comprare e vendere denaro o titoli ha reso nel corso degli anni sempre più facile e rapido questo genere di transazione e la recente introduzione dello “speed trading” ha portato a limiti impensabili la pratica tanto che oggi è possibile effettuare speculazioni miliardarie comunicando un ordine di acquisto per miliardi di dollari, far scattare sul mercato gli aumenti conseguenti per i titoli interessati, realizzare il margine e quindi annullare l’ordine di acquisto un nano secondo prima della sua scadenza esecutiva. Sui mercati deformati da queste pratiche le conseguenze della “bolla immobiliare” e dei fondi confezionati con “subprime mortgages” sono state moltiplicate per fattori. Sono fallite banche, ma il guaio più grave delle banche fallite sono stati i grandi Istituti Finanziari che sono stati “salvati” dalla bancarotta con l’immissione di enormi quantità di liquido da parte delle Banche Centrali (negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Germania e in Francia).
La crisi del credito conseguente ha determinato la crisi industriale, la disoccupazione, l’aumento dei prezzi e il crollo del potere di acquisto delle monete e quindi la Grande Crisi Finanziaria che dal 2008 sta soffocando tutte le economie del Pianeta.
Le strategie di controllo e uscita dalla crisi.
Per uscire dalla crisi gli Stati Uniti con Obama e Ben Bernanke a capo della Federal Bank hanno immesso una enorme quantità di denaro nel sistema. La Banca Federale ha stampato moneta e comprato titoli di stato per centinaia di miliardi di dollari, le banche americane si sono trovate in condizioni di enorme liquidità e hanno ripreso l’erogazione di mutui e prestiti alle imprese rimettendo in moto l’economia che oggi è tornata a un tasso di crescita del 4%. A partire dal 2014 Bernanke ha annunciato la fine della pratica di immissione di liquidità nel sistema. Si tratterà di vedere se il motore dell’economia americana, avviato artificiosamente dalla Banca Federale, continuerà a girare o se non sarà in grado di riattivare la dinamica canonica: produzione di reddito e di profitti, investimenti, crescita, produzione di reddito, profitti, investimenti, crescita … Il 2014 si presenta quindi come un anno critico per l’economia USA e sapremo se la scuola keynesiana avrà avuto ragione o meno. Il fallimento potrebbe comportare una nuova ricaduta della crisi e questa volta molto più grave della precedente. Non pochi stanno con il fiato sospeso.
Analoga è stata la strategia del Giappone ovviamente su scala molto ridotta rispetto agli Stati Uniti.
L’Europa, sotto la forte condizione dettata dalla Germania, invece non ha seguito la via keynesiana dell’immissione di liquidità nel sistema e ha scelto una complessa strategia di austerità, contenimento della spesa pubblica, tagli, riduzione degli investimenti, tasse. La BCE (Banca Centrale Europea) nei ristretti limiti della sua autonomia istituzionale ha cercato di fare il possibile per sostenere il debito pubblico dei Paesi più esposti (Francia, Italia, Grecia, Spagna, Irlanda e Portogallo) sulla base della famosa dichiarazione di Mario Draghi “We will do whatever it takes to save the Euro.” Il risultato della sfaccettata strategia europea è che mentre in alcuni paesi si sentono i primi sintomi di ripresa in altri questi segni sono ancora impercettibili. Nel complesso i numeri europei sono molto lontani da quelli dell’America e restano nell’area dello zero virgola rispetto al 4,1% USA.
L’andamento della crisi europea ha però messo in evidenza la sua “diffusione”: la credibilità complessiva dell’Eurozona per gli investitori mondiali è ai minimi storici e questo vale anche per la locomotiva tedesca. Fatto questo dimostrato dalla recente caduta dello spread fra i “Bund” tedeschi e i Buoni del Tesoro italiani: una caduta che non è tanto dovuta al miglioramento della situazione italiana dove i fondamentali non sono affatto cambiati nemmeno in tendenza, ma proprio alla caduta di credibilità della Germania che i mercati non vedono distinta dai destini del resto dell’Europa nonostante gli sforzi di Angela Merkel. Con buona pace per le ottimistiche e un po’ patetiche dichiarazioni del capo del Governo Enrico Letta che si è ingenuamente accreditato il merito del nuovo ridotto spread.
Si spera che questo fatto oramai evidente possa convincere i sostenitori dell’austerità a tutti i costi che forse certi costi sono troppo alti e che sarebbe opportuno rivedere la strategia e dare più spazio politico e strumenti finanziari alla BCE perché imposti una vigorosa strategia di sostegno della moneta comune. Da questa strategia dovrebbero venire di nuovo incentivati gli investimenti dei mercati finanziari e quindi potrebbe essere messo di nuovo in moto il ciclo canonico dell’economia.
L’Italia
L’Italia è particolarmente mal messa perché la crisi economica viene affrontata da cinque anni a questa parte da governi ingessati dalle contraddizioni interne e da ministri “tecnici” incapaci di mettere in campo una qualunque strategia che non sia quella facile e suicida dell’aumento del carico fiscale, depressivo e soffocante.
Osservare l’azione dei governi Berlusconi, Monti e Letta nel quinquennio 2008-2013 è deprimente: non una riforma, non un taglio di sprechi o della spesa corrente improduttiva, nessun taglio dei costi della politica, nessuna strategia di breve, medio o lungo termine per affrontare il dato sistemico della crisi. Nessuna “visione” politica responsabile e coerente con la gravità della situazione. Alcuni fallimenti sono stati clamorosi come l’umiliante tormentone dell’articolo 18 (della legge 20 maggio 1970, n. 300, Statuto dei Lavoratori), oppure l’assurda pretesa di creare posti di lavoro detassando per pochi mesi le nuove assunzioni: è ovvio che nessun imprenditore assume a tempo indeterminato personale se non ha lavoro e questo anche in presenza di detassazione temporanea. Il lavoro è una variabile che dipende dalla “domanda” di beni e servizi: una banalità. Per creare “lavoro” bisogna quindi innescare “domanda”. La domanda è una variabile che dipende dalla disponibilità di denaro attuale o prevedibile in tempi noti. La disponibilità di denaro attuale o prevedibile in tempi noti è una variabile che dipende dalla “fiducia” che i consumatori hanno sul loro futuro. Niente fiducia, niente spesa.
Una dinamica delicata: in Italia il denaro nelle tasche del pubblico c’è (sono aumentati i risparmi sui cc postali negli ultimi 5 anni). Manca la fiducia. Come si può pretendere fiducia in un governo ingessato sui problemi fondamentali da 5 anni? Economicamente e finanziariamente irresponsabile per i precedenti 40 anni?
Tutti i governi italiani, di centro, di centrodestra e di centrosinistra e di sinistra su economia e su lavoro sono bloccati da mostruosi lacci e bavagli ideologici. Ci hanno provato Massimo d’Antona, Marco Biagi, e ci provano Ichino, Alesina, Giavazzi, Marchionne, a smantellare la tomba di granito ideologica che impedisce una visione libera del mercato del lavoro e dell’economia. Senza successo, Biagi e d’Antona hanno anche pagato con la vita l’impegno. Mentre l’opinione pubblica è matura e disponibile la setta della politica è asserragliata nel fortino del suo luogo comune, sotto la guardia feroce del sindacalismo più reazionario d’Europa. Tutti aspettiamo Godot.
Una via d’uscita.
Non ci sono scorciatoie.
La Grande Crisi Finanziaria (GCF) in corso ha caratteristiche eccezionali e diverse dai precedenti storici e può anche darsi che sia le ricette keynesiane che quelle dell’austerità così come attualmente concepite e implementate non servano e che ci vogliano un visione e una strumentazione affatto diverse. Sicuramente ci vuole azione. Ma la condizione preliminare a qualunque strategia o prassi è la fiducia della gente che deve recuperare una dignitosa di visione del futuro. Questa è la sostanziale responsabilità politica che oggi è penosamente inevasa da una casta politica e burocratica che ha occupato il potere grazie a una legge elettorale assurda.
Esiste e si sta facendo spazio anche l’ipotesi che la Crisi non sia nemmeno strutturale, ma sia ancora più fondamentale e che riguardi la natura aberrante del sistema stesso delle trasformazioni ambientali e industriali e dei relativi scambi di lavoro e capitale. Una ipotesi che ha molti sostenitori, ma che manca oggi di indicazioni risolventi pacificamente praticabili. Un cambiamento che in ogni caso richiederà strategie e supporto finanziario multi generazionale, oggi difficilmente inquadrabile progettualmente o politicamente.
Per ricostruire la fiducia della gente è necessaria una visione politica e programmatica chiara e la capacità di comunicarla con altrettanta chiarezza: oggi mancano l’una e l’altra. Tagliare lo spreco sistematico e da inefficienza, investire nell’educazione e nella formazione, investire nelle riforme di sistema (giustizia, burocrazia, welfare), richiamare in Italia le industrie delocalizzate, promuovere la domanda qualificata di beni e servizi, investire nella riqualificazione e nella tutela ambientale. È anche necessario essere credibili per storia e competenza quando si fanno queste affermazioni.
Sul versante ideale vanno ricostruiti valori di sobrietà e di decenza civile, la guerra alla mafia va condotta senza quartiere, è urgente ripulire burocrazia e quadri politici e amministrativi da corruzione e connivenze clientelari.
Si tratta di un progetto multi generazionale: 50 anni di impegno civile alla fine dei quali forse i figli dei nostri figli avranno un’Italia diversa nella quale varrà la pena di nascere, crescere, studiare, lavorare, vivere e morire.
Caro compagno, devo dire che le tue amare riflessioni sulla GCF, pur velando la serenita’ di una tranquilla domenica casalinga, mi sono sembrate chiare e profonde. Grazie. Carlo
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Caro Prof., quanto tempo, ti ricordi di me ? Commento e proposta al tuo scritto ? Rivolta fiscale, smettere di pagare le tasse. Proseguo ponendo io una domanda: ma quando diciamo che la FED stampa moneta, vogliamo dire che tira fuori i clichè e mette in moto le rotative o semplicemente digita su di una tastiera di PC un numero con molti zeri preceduto dal segno ” + ” ? Qual’è l’effetto meccanico della stampa di 10 miliardi di dollari ? Che il debito pubblico U.S.A. è aumentato di 10 miliardi ? Qualcuno li dovrà pur pagare questi verdoni, no ? Non credo che la FED lavori “aggratis”, è pur sempre un’istituto privato.
Cari saluti