Lorenzo Matteoli
20 Marzo, 2014
Che l’opinione pubblica italiana non sia mai stata “di sinistra” è un fatto che non ha bisogno di articolati e sofisticati sondaggi, polls e quanti altri strumenti di indagine siano oggi disponibili. Basta una rapida carrellata su 60 anni di risultati elettorali, ancorché deformati da una informazione artificiosa e coatta, per leggervi la tenace, quasi eroica, resistenza degli elettori italiani a cedere all’assalto di una sinistra incapace di abbandonare i moduli del massimalismo leninista, subalterna per trenta anni della scuola comunista stalinista, autoreferenziale, inerte rispetto alla evoluzione culturale e sociale della pubblica opinione italiana e del suo contesto economico. La stessa lettura consente di vedere l’incapacità delle altre forze politiche di costruire una credibile ed effettiva alternativa di governo, la destra persa in estremismi sterili e puerili, il centro diviso in fazioni e sette incapaci di superare il “particulare” per costruire una credibile rappresentazione della realtà elettorale italiana effettiva e in essere. Un vero tradimento storico.
Nonostante lo storico “stallo” elettorale la sinistra è stata però vincente nelle strategie di infiltrazione del potere istituzionale: ha occupato la magistratura, la scuola, la stampa, la burocrazia amministrativa, la “cultura” (importanti le virgolette) e ha usato questo vero sotto-potere in modo sistematico. Tanto da far credere in un fantasma di paese “di sinistra” e, illusione suicida, a crederci lei stessa.
In questa strategia di occupazione degli spazi di potere istituzionale la sinistra non è mai stata contrastata da forze politiche o sociali alternative, anzi è stata aiutata da sistematica connivenza del maggiore partito cattolico. Dividersi il sottopotere è sempre stato più comodo che conquistarlo. Ma mentre la strategia della sinistra era un progetto preciso teorizzato da Antonio Gramsci, il comportamento degli altri era “qualunque”, di comodo, affatto congiunturale. La nota sindrome del “Ma-chi-me-lo-fa-fare”.
L’opinione pubblica di centro/liberal, o anche liberale, sempre più marginale, mal rappresentata, ridotta a spazi di risulta nelle istituzioni (magistratura, scuola, stampa) è stata a poco a poco avvilita al punto da “vergognarsi” di se stessa. Affermare valori di centro o di matrice liberale provocava, e provoca ancora, irrisione, compatimento sufficiente, emarginazione dal dibattito. Una qualifica che non aiutava, e ancora oggi non aiuta, nella carriera universitaria, magistrale, nella stampa di regime. Il termine stesso “borghese” è diventato un termine di connotazione negativa: dimenticando il solido documento storico che tutte le grandi rivoluzioni europee (sociali, culturali, industriali, economiche) sono state concepite e condotte, vinte o perse, proprio dalla “borghesia”. Lo squallore di certi comportamenti della “destra” politica non ha certo contribuito a migliorare la situazione. Un fatto purtroppo ancora vero oggi.
Guardando l’attuale panorama della politica italiana la sensazione di tutti i commentatori è che “qualcosa” stia succedendo. Dopo 50 anni di sostanziale immobilità del paradigma conforme, la solida struttura dà chiari segni di cedimento. Pericolosi scricchiolii, piccole crepe, inizio di cedimento geotecnico nelle fondazioni. Oggetto al tempo stesso di preoccupazione e di speranza.
La domanda che tutti si pongono è cosa sia questo “qualcosa”. Come nasce, quali segni embrionali o esplicite manifestazioni, quali tendenze quali nuovi assetti potrà assumere il complesso edificio sociale e politico se la dinamica che oggi si percepisce dovesse diventare un effettivo movimento di fondamentale riassesto strutturale. Come collocarsi nella dinamica dell’interessante fenomeno. La domanda di sfere di cristallo nelle quali scrutare è improvvisamente aumentata e molti nuovi aruspici scrutano ansiosamente il cielo per interpretare l’oscuro linguaggio del volo di rondini e piccioni. Aquile poche.
Un modo per leggere la storia passata e quindi cercare di guardare al futuro è quello di studiare tre elementi strutturali del “cambiamento”: continuità, transizione, nuovo assetto (in inglese continuity, shift, change).
Quali sono gli elementi di continuità nell’assetto attuale, quali sono i segni embrionali della transizione, e quali i possibili nuovi assetti verso i quali il complesso sistema si sta muovendo. Un esercizio che ognuno può fare e che, ovviamente, è fortemente influenzato dal soggettivo punto di vista di ognuno, ma che può essere comunque utile svolgere.
La continuità di questo momento storico italiano credo sia rappresentata in modo monumentale dal “debito” pubblico italiano di 2100 miliardi di Euro circa (novembre 2013), dagli interessi correnti su questo debito (circa 100 miliardi di Euro all’anno) che abbracciano un periodo di venti o trenta anni (una o due generazioni di contribuenti) e dalla spesa pubblica corrente che lo struttura in ragione del 22.5% e che sembra inaggredibile da qualunque tentativo di razionalizzazione. Il debito pubblico italiano sarà la caratteristica determinante di qualunque bilancio dei prossimi 30-40 anni, con questo debito si dovranno confrontare governi, ministeri, partiti, sindacati, industrie, regioni, amministrazioni locali e alla fine dei conti i singoli cittadini. Qualunque progetto pubblico o privato dovrà fare i conti con la situazione di debito pubblico e la condizione che questa impone sul credito alle imprese e sulla capacità di investimento delle pubbliche amministrazioni. È obbligatorio prevedere tagli alla spesa per opere pubbliche, tagli alla spesa per “manutenzione” del territorio e delle infrastrutture, tagli alla spesa per il welfare, sanità, scuola, debito vitalizio dello Stato (i.e. pensioni). Con le relative conseguenze. La gestione di questi tagli sarà il luogo dei programmi di brevissimo e medio termine dei governi, centrale, e locali, e le scelte saranno determinanti per la vita della comunità sociale, delle imprese, delle famiglie e dei singoli. Queste semplici e banali considerazioni suggeriscono un termine per definire questa “continuità”: si tratta di una situazione di gravissima emergenza e come tale dovrebbe essere politicamente dichiarata perché la società ne prenda atto. Prenderne atto non vuol dire “subire” o farsi annichilire, ma significa prenderne atto responsabilmente e con atteggiamento positivo. In fondo ogni momento storico è stato condizionato dalle prospettive dei successivi 20, 30 o 40 anni. Quali che fossero e comunque fossero presenti alla coscienza sociale e alla sua rappresentanza politica.
La transizione, i segni della transizione che si possono leggere nella congiuntura sono di connotazione culturale, economica e di condotta sociale. Non tutti i segni sono concordi: ci sono nella congiuntura contraddizioni di tendenza e situazioni di evidente instabilità. Alcuni di questi segni sono di matrice internazionale o planetaria, altri sono tipicamente italiani.
Stanchezza e scetticismo: l’opinione pubblica italiana è stanca, provata da mezzo secolo (e forse molto più di mezzo secolo) di governi incapaci, incompetenti o inerti, condizionati da corruzione sistematica e diffusa sia ai vertici che nelle estreme ramificazioni locali. Questi sentimenti spesso vanno oltre lo scetticismo e diventano vera e propria insofferenza e antagonismo. Il governo e i rappresentanti delle istituzioni sono spesso oggetto di disprezzo e ostilità. Una conseguenza di questa tendenza è una forma di generale
Qualunquismo: siccome sono tutti corrotti e tutti incapaci …tanto vale. Da qui una forte
Rivalutazione dell’intimo e del privato: e della sua partecipazione quasi ossessiva attraverso i social network.
Sensibilità ambientale: emerge specialmente nelle generazioni più giovani una maggiore sensibilità ambientale: la dimensione “finita” dell’ambiente, specie nei contesti urbani è chiaramente percepita, l’inadeguatezza di una macroeconomia sostanzialmente strutturata sulla crescita è risentita, anche se non se ne vedono alternative. Questa maggiore sensibilità ambientale è in contraddizione con un emergente
Neo-consumismo: i giovani e giovanissimi sono un mercato facile e continuamente aggredito con successo dalla pubblicità dell’abbigliamento modaiolo e degli “smart-items” elettronici.
L’emergenza di un nuovo linguaggio politico è una conseguenza diretta o indiretta delle tendenze sopra elencate ed è forse il luogo di maggiore potenziale destabilizzazione del paradigma conforme o assetto vigente. Il nuovo linguaggio denuncia e abbandona le forme dialettiche abusate e predilige un approccio diretto, privo di schemi e di gabbie ideologiche. Il vecchio slogan che sinistra e destra sono termini privi di corrispondenza attuale sta diventando sempre più vero. La gente, e specialmente i giovani, si sono accorti che “l’imperatore è in mutande”.
La caratteristica di tutte queste tendenze o segni di transizione è di essere al contempo causa ed effetto degli altri segni di transizione. Sinergismi ineffabili che possono accelerare i fenomeni in modo difficilmente prevedibile. Vi sono poi alcuni indicatori di instabilità o segni di transizione di carattere economico ma di forte implicazione sovversiva potenziale.
L’importazione di manufatti dall’Asia e dalla Cina in Particolare e l’esportazione di processi manifatturieri (delocalizzazione industriale) dall’Europa (e dall’Italia) verso l’Asia è una tendenza conseguente alla globalizzazione dell’economia che nel medio termine è assolutamente insostenibile. Direi catastroficamente insostenibile. L’Italia non può continuare a perdere manifatturiero, occupazione, tecnologie associate e innovazione associata al manifatturiero senza rischiare il collasso economico. La struttura dell’economia, non bacata dalla finanziarizzazione speculativa, sarà ancora per molti anni (secoli) la produzione industriale e agricola, la trasformazione di risorse primarie (ambiente, minerali, humus, vegetali, energia, acqua, aria, tempo, pensiero, vite, lavoro e capitale) in prodotti, strutture, infrastrutture e servizi. L’equilibrio tra i diversi agenti non può essere deformato spostando tutta la produzione in una regione del pianeta e lasciando in altre regioni solo consumi pena il collasso di sistema più o meno rapido. Quello che all’inizio per alcuni può essere un bilancio attivo con forti profitti, alimentato dallo sfruttamento di manodopera quasi schiava, sul medio e lungo termine diventa una sciagura sociale.
Questa tendenza, fortemente destabilizzante dal punto di vista economico e sociale, è oggi totalmente disattesa a livello politico, sia nazionale, sia Europeo, che planetario, un fatto che non può non sollevare preoccupazione. Bisogna anche riconoscere che nell’attuale quadro normativo relativo agli scambi internazionali manca qualunque strumento di intervento e controllo. Il sistema di norme anzi incoraggia e premia la tendenza perversa.
Il cambiamento: i segni della transizione, gli elementi di fragilità dell’assetto in essere, i valori emergenti giocheranno in modo fortemente interattivo nella definizione dei prossimi assetti della continuità. A seconda di quali valori e di quali tendenze prevarranno, si potranno avere diverse dinamiche di svolgimento per la formazione di una uova continuità. È chiaro che questo gioco interattivo è l’oggetto e il luogo dell’azione di governo e della sensibilità culturale del complesso sistema sociale. La responsabilità dei governi: scegliere e privilegiare i segni di una transizione positiva, scoraggiare e contrastare i segni di una transizione negativa o i sintomi di fragile instabilità. Capire quali sono gli elementi determinanti, le leve più efficaci per guidare il sistema verso un obbiettivo voluto e farli capire e accettare dalla società che li deve operare.
Non si tratta solo di strumenti economici: forse gli elementi più determinanti sono le connotazioni progettuali, la volontà di futuro e la partecipazione sociale a questa volontà, la comunicazione e i linguaggi della comunicazione.
La coerenza tra comunicazione, linguaggi e contenuti del progetto e della volontà di futuro
mi pare interessante il tuo articolo ma troppo lungo x la mia piena attenzione. Stringati
Inviato da iPad
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…tipico: hai sempre studiato sul Bignami e non ti sai adattare ad analisi meno schematiche…comunque mi stringherò…
NON PAOLO BERTALOTTI Lorenzo Matteoli ha fatto la battuta: non riesco a manovrare questo sistema …scusa Paolo…
La transizione ci annienterà, a breve. Per il noto postulato di Carlo Maria Cipolla secondo cui in un gruppo sufficientemente ampio di persone la quota di stupidi, intelligenti, ec. è costante, allora nel processo di fabbricazione quello che fa differenza è solo il costo del lavoro. Perciò il punto di equilibrio è 1/4 del notro PIL (grossolanamente).
Già ora questo PIL è finto, frutto di spesa pubblica su tassazione. La produzione reale migrerà sempre più verso costi del lavoro più bassi lasciando solo PIL finto (fatto di spesa pubblica su tassazione) e declinante, fino al punto di equilibrio che, per le nostre abitudini e organizzazione a sopportare il declino, vuol dire miseria ingestibile.
Sorry, non sono ottimista… 🙂