Il crimine della delocalizzazione e l’inerzia dei governi

La criminale cecità dei governi e dell’Europa

sulla pratica suicida delle delocalizzazioni.

Lorenzo Matteoli

24 Marzo, 2014

 

 

Il fenomeno della delocalizzazione del manifatturiero italiano, come sub specie del manifatturiero Europeo, è sicuramente letale nel breve medio termine per l’economia italiana e per quella europea. Insieme alla importazione scontrollata di beni dalla Cina e dai paradisi salariali asiatici ed Est Europei porterà l’Italia e l’Europa alla bancarotta. Fino ad oggi è stato pericolosamente se non criminalmente trascurato sia a livello di governo italiano che a livello di Unione Europea, ma è clamorosamente evidente che senza un intervento urgente e drastico, eventualmente unilaterale del Governo italiano, la dinamica è mortale.

Ogni nave che entra in un porto italiano con diecimila container porta 10 milioni di ore di lavoro fatte in Cina (o in Asia) e non in Italia. A questi diecimilioni di ore si aggiungono le ore delle migliaia di TIR che arrivano in Italia dall’Est Europeo. Altri milioni di ore di lavoro sottratte al mercato del lavoro italiano.

Ma non sono solo le ore di lavoro che vengono sottratte all’economia italiana: con la delocalizzazione si sottraggono tecnologie, macchine utensili, manutenzione, aggiornamento strutturale, ammortamenti, innovazione tecnologica, formazione del personale e ricerca, capitali e potenzialità di investimento. Questi ultimi fattori strategicamente ancora più importanti della perdita di occupazione immediata.

Nel complesso un disastro economico strutturale con ricadute irreversibili in un futuro indefinito nel tempo. Per sempre.

Questa catastrofe è oramai in corso da oltre dieci anni e ha già massacrato il patrimonio industriale italiano.

Le grandi regioni industriali della pianura “meccatronica”, della economia adriatica, del Veneto, dell’Emilia e della Lombardia sono un deserto sempre più vasto di capannoni abbandonati, vandalizzati, semi crollati,  piazzali deserti invasi dall’erbaccia.

Alcuni noti commentatori e giornalisti si pongono domande assolutamente cretine come Gad Lerner che su la Repubblica del mese di settembre 2013 sotto il titolo I fantasmi della sinistra parla ”…. della malattia misteriosa che dal 2008 ha ridotto del 25% la produzione industriale , impoverito la maggioranza dei cittadini ……”. Nulla di misterioso: qualunque imbecille vede quello che sta succedendo da quasi venti anni a questa parte. Da una parte il massimalismo sindacale suicida incontrastato, anzi incoraggiato da una sinistra accecata dalla demagogia e dal calabraghismo irresponsabile, dall’altra la reazione di una classe imprenditoriale che in presenza di condizioni insostenibili abbandona l’Italia. Chi non lo fa soccombe come provano i fallimenti le procedure non fallimentari e liquidazioni volontarie che hanno “superato tutti i record negativi” (ANSA) e complessivamente si contano 111mila chiusure aziendali (+7,3% su base annua) nel solo 2012 ulteriormente aumentate nel 2013. Il fenomeno da una parte provoca l’arricchimento di pochi e dall’altra la miseria di molti: nel 2012 ben 127.000 (centoventisettemila) italiani sono diventati supermiliardari e più di 5.000.000 (5 milioni) sono invece diventati poveri.

Di fronte a questo dramma dalle dimensioni epocali abbiamo avuto governi inerti, sindacati arroccati su posizioni di conservazione suicida, la linea confindustriale solo rivendicativa e senza proposte. L’Europa, da tempo lontana dalle realtà dei paesi membri e avvolta nella sua “hubris” burocratica, impone norme inattuabili sulla vendita di erbe medicinali, oppure si trastulla con grotteschi Standard di Educazione Sessuale in Europa[1]. Al vertice di questo borbonico esercito burocratico latitante e autoreferenziale, i “turisti della democrazia”, quando Matteo Renzi chiede un attenzione realistica e urgente ai problemi effettivi italiani si è solo capaci di sorridere con futile supponenza: i compilatori dello Standard di Educazione Sessuale in Europa sorridono. Mai nella storia europea, dopo le brioche di Antonietta di Francia, i vertici di governo hanno tanto contribuito alla propria condanna. Sorridono!

 

Ma non è solo un problema di salari:

Il nostro Paese – osserva l’Eurispes nel 26esimo Rapporto Italia – si colloca al 42° posto per competitività, lontano da Germania, Stati Uniti e Regno Unito; il costo del lavoro è di 27 euro/ora contro i 35 della Svizzera e i 34 della Francia; il costo del credito alle imprese relativo al tasso medio annuo di interesse è di 4,4% contro la Svizzera, il Regno Unito e la Germania con il 2,9% e la Francia con il 2,2%.

Come se non bastasse, l’Italia si colloca al 142esimo posto per complessità della regolamentazione, mentre è al 116esimo posto per tempo medio all’adempimento delle procedure fiscali. (dal Magazine di Tecnè). É  ovvio che si tratta di un problema di governo sia nazionale che europeo.

 

Bisogna agire su molti fronti e con urgenza:

  1. ricostruire la convenienza a restare in Italia, agendo sui salari, sulla semplificazione normativa, sul cuneo fiscale e su tutte le possibili forme di incentivazione per fare impresa in Italia;
  2. aumentare l’imposizione fiscale sulle importazioni di prodotti provenienti da paesi dove i salari sono artificialmente compressi al di sotto dei livelli di dignità dei lavoratori;
  3. aumentare l’imposizione fiscale sulle importazioni di prodotti di aziende europee o italiane delocalizzate nei paradisi salariali e dai paesi dove le industrie sono avvantaggiate da norme ambientali irresponsabili e insostenibili;
  4. incentivare in modo convincente e autorevole il rientro in Italia del manifatturiero delocalizzato.

 

Se le regole del solo mercato comportano il massacro economico sicuro del paese non si può restare prigionieri di una fede ideologica suicida. Bisogna intervenire e se la strategia complessa dell’intervento non è fattibile in modo unilaterale da un solo paese della Comunità Europea, bisogna che la Comunità Europea si faccia carico del problema. Senza tanti sorrisetti.

Il caso recente Novartis/Roche è emblematico del disastro che consegue  alla disattenzione sui comportamenti di liberismo patologicamente deforme.

Non importa se la strategia delineata è contraria al pensiero economico corrente e dominante: questo pensiero ci sta portando alla rovina e insistere è semplicemente criminale.


[1] Dove si legge che ai bimbi dagli 0 ai 4 anni, «gli educatori dovranno trasmettere informazioni su masturbazione infantile precoce e scoperta del corpo e dei genitali, mettendoli in grado di esprimere i propri bisogni e desideri, ad esempio nel “gioco del dottore”»

Informazioni su matteolilorenzo

Architetto, Professore in Pensione (Politecnico di Torino, Tecnologia dell'Architettura), esperto in climatologia urbana ed edilizia, energia/ambiente/economia. Vivo in Australia dal 1993
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