Delocalizzazioni again:
Sul blog del Legno Storto Ci sono stati due commenti importanti al mio pezzo sulla delocalizzazione e sull’importazione dalla Cina. Di seguito riporto i commenti di Marco Cavallotti e di Michele Setnikar e la mia risposta.
Marco F. Cavallotti
Martedì, 25 Marzo 2014 14:56
Credo anch’io che sia ben difficile «opporsi» al processo di globalizzazione in atto, nel quale si inserisce anche la scelta delle delocalizzazioni, attraverso l’istituzione di dazi, gabelle e contingentamenti. La sfera della concorrenza si è allargata, le risposte date dai governi nazionali europei e dall’Unione sono del tutto inadeguati, e per questo stiamo assistendo al disastro dell’Unione e dell’euro. Ma un ritorno al passato mi pare davvero improponibile, oltre che impossibile. Alle concorrenze dei paesi a manodopera meno costosa si risponde trovando una nicchia ad alto valore aggiunto nel quale essere i migliori, difendendo e promuovendo i diritti dei lavoratori nei paesi in via di sviluppo, investendo massicciamente nella ricerca. Tutte cose che l’Europa fa troppo poco, e l’Italia non fa: credo che sarebbe ora di capire che cosa vogliamo fare da grandi tenendo conto di quello che sappiamo far meglio, delle risorse che abbiamo e di quello che possiamo attrezzarci per fare in futuro. Non possiamo ad esempio sperare di «vendere» contemporaneamente la valle dei templi di Agrigento e una batteria di generatori elettrici a vento collocata lì accanto – magari senza nemmeno aver fatto i conti dal punto di vista energetico…
setnikar
Martedì, 25 Marzo 2014 13:44
Ovviamente in pieno accordo sulla puntualizzazione del profondo scollamento tra il modo burocratico di Bruxelles dove si può discutere per mesi o anni sul calibro dei piselli con evidente piacere quasi onanistico (forse richiesto dallo Standard di educazione sessuale).
In profondo disaccordo con il resto.
Non essendo un esperto, potrei sicuramente sbagliare, ma ho l’impressione si mescolino cose molto lontane tra loro, i salari, i costi di cui i salari sono solo una parte spesso minoritaria, le non meglio precisate agevolazioni, la burocrazia…
Partiamo dai salari, a meno di includere la Germania, l’Austria, la Svizzera tra i paesi “con salari artificialmente compressi ..” mi si dovrebbe spiegare per quale ragione in Germania ci sia un riflusso di localizzazione con manifatture che tornano a produrre, ci siano industriali italiani che si stiano muovendo in Svizzera o in Austria.
Forse, il problema non è il salario e neppure il costo del lavoro, non le pare.
Quindi imporre dazi in entrata, forse, non è la soluzione, anzi, visto che siamo una nazione manufatturiera e che importiamo semilavorati, forse, non farebbe che peggiorare la situazione abbassando ulteriormente la nostra competitività.
Inoltre, non credo che mettere dazi, ovvero aumentare artificialmente il costo dei prodotti sia una strategia sensata per aiutare quei 5milioni di poveri di cui parla all’inizio, o pensa che siano solo i 127.000 super ricchi a comprare magliette made in China?
Quando sento questi discorsi ho sempre l’impressione che si pensi sia sufficiente chiedere a gran voce che il Governo nazionale, europeo o financo mondiale imponga per decreto che tutti si debba essere felici, ricchi e anche in buona salute per poterlo realizzare.
Ho sempre l’impressione che si creda che basti avere più Stato per risolvere ogni problema creato dallo Stato stesso.
Come ho detto, sbaglierò di certo, ma non mi pare che i paesi, vedi Venezuela, dove queste ricette protezionistiche sono state in vari modi applicate abbiano migliorato le loro condizioni.
Michele
La mia risposta:
matteoli
Martedì, 25 Marzo 2014 23:54
Certo i salari non sono la componente più importante, ma le norme sul lavoro italiane sono scoraggianti per chi vuole operare in questo paese, ho elencato una serie di fattori e non li ho “mescolati” perché la sommatoria è complessa e di efficacia superiore alla somma dei singoli agenti. I motivi della impossibilità di fare i presa in Italia sono molti e di diversa matrice, non si sommano fra di loro forse si moltiplicano i loro effetti attraverso una perversa associazione. Non sono al corrente di delocalizzazioni in Svizzera e in Germania, ma ritengo che siano casi eccezionali e legati a condizioni tecniche o commerciali specifiche: la maggior parte delle delocalizzazioni riguarda l’Europa dell’Est (Romania, Bulgaria, Slovenia) e l’Asia (Cina, Indonesia, Vietnam, Taiwan) e sono motivate dai regimi salariali e dalla scarsa protezione che caratterizza i lavoratori di quei paesi. Molte delocalizzazioni approfittano anche delle normative ambientali lasche e permissive.
È vero che non ci si può opporre al processo di globalizzazione, ma è anche vero che non se ne devono subire passivamente gli effetti quando questa non è conseguenza di competizione qualificata, ma conseguenza di politiche salariali al limite dello schiavismo e dello sfruttamento esasperato della manodopera, o spinta da politiche ambientali irresponsabili. Competere su quel terreno sarebbe suicida, ma tollerare è anche suicida. L’inerzia è suicida.
Un processo manifatturiero, una industria non appartiene solo ed esclusivamente all’imprenditore: appartiene al territorio fisico e sociale che l’ha fatta crescere. La FIAT è cresciuta a Torino non senza sacrificio sociale e fisico della città e del suo territorio, anzi con pesante sacrificio di generazioni di torinesi, compromissione ambientale e brutture urbane: una componente che non è rappresentata dal capitale investito e dai salari pagati e che purtroppo non ha riscontro contabile in questo sistema economico. Lo stesso valga per la conoscenza acquisita dal personale e dalle maestranze e per la potenzialità che questa conoscenza rappresenta. Sul lungo termine il vantaggio salariale che oggi è ancora un buon motivo di delocalizzazione si azzererà o comunque si ridurrà, ma gli altri motivi: normative, logistica, informazione, sicurezza, ambiente difficilmente perderanno efficacia senza una azione strategica dell’Europa e per noi dell’Italia. Sul lungo termine saremo tutti morti… La leva fiscale è retrograda e odiosa o inefficace? Si trovino altri strumenti di governo e di controllo del fenomeno, più illuminati e più intelligenti: è questo un preciso ambito e mandato della “politica”. Non fare nulla aspettando che i salari cinesi siano pari a quelli europei, non mi sembra una grande scelta, mentre il nostro sistema industriale e manifatturiero si impoverisce di strutture, competenza, conoscenze, progettualità e professionalità e il nostro debito con l’estero diventa insostenibile.
Qui trovate tutto:
http://lsblog.it/index.php/economia/1889-delocalizzazione-e-inerzia-europea
Buon giorno Lorenzo,
Appena letto con piacere commenti dei lettori e la tua risposta.
Due brevissime osservazioni.
Legno Storto ha dei lettori intelligenti.
Il problema del costo del lavoro esiste in tanti paesi, compresa l’Australia. La Germania mi sembra che sia riuscita a limitarlo. Quindi non e’ insormontabile.
A presto,
Antonio