In memoria del “fire bombing” di Tokyo 9 Marzo 1945

Lorenzo Matteoli 11 Marzo, 2015

Il 9 Marzo 1945, 70 anni fa, l’Aviazione Americana bombardava con bombe incendiarie (Napalm, Fosforo e gelatina di Petrolio) 40 kilometri quadrati del settore ovest della città di Tokyo. Tokyo era gia stata pesantemente bombardata in tre precedenti raids il 30 Dicembre 1943, il 15 Aprile 1944 e il 23 Maggio 1944.

L’obbiettivo dell’azione era di costringere con il terrore il Giappone alla resa. Solo sei mesi dopo e dopo le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki (rispettivamente il 6 Agosto e il 9 Agosto 1945) il ministro degli Esteri Giapponese Mamoru Shigemitsu per conto dell’Imperatore Hiro Hito firmava la resa incondizionata del Giappone (annunciata il 15 Agosto e firmata il 2 Settembre 1945 sulla corazzata USS Missouri) e con questa firma finiva ufficialmente la Seconda Guerra Mondiale.

I morti del 9 Marzo 45 a Tokyo furono circa 135.000 le due bombe di Hiroshima e Nagasaki provocarono circa 129.000 morti.

Le vittime solo civili per la maggior parte donne e bambini.

L’America ha sempre sostenuto che le azioni su Tokyo, Hiroshima e Nagasaki avevano consentito di abbreviare la guerra di almeno sei mesi evitando altre decine se non centinaia di migliaia di morti.

I bombardamenti su obbiettivi civili furono una caratteristica della Seconda Guerra Mondiale, praticati da Tedeschi, Inglesi, Americani e Giapponesi. La logica di queste azioni era che terrorizzando la popolazione civile si sarebbe stroncato il morale delle nazioni e accelerata la capitolazione degli eserciti.

Così vennero spianate Londra, Coventry, Brema, Amburgo, Chongqing con milioni di morti civili, donne e bambini in prevalenza. Non si trattava di “collateral damage” era l’obbiettivo della specifica tattica bellica.

Il generale Curtis LeMay americano che ordinò il “fire bombing” su Tokyo dichiarò in seguito che “if he had been on the losing side, he would be charged with war crimes” (se fosse stato dalla parte sconfitta, sarebbe stato accusato di crimini di guerra.) Nel 2007, 112 membri della Associazione delle Famiglie delle Vittime dei Bombardamenti di Tokyo ha fatto causa al Governo Giapponese chiedendo 1.232 milioni di yen di compensazione sull’assunto di una responsabilità del Governo stesso perchè non avendo capitolato prima fu corresponsabile dei bombardamenti. Una interessante interpretazione della responsabilità per i danni provocati da una guerra.

La ferocia dell’antagonismo fra nazismo dell’Asse e Democrazia degli Stati Uniti e del Regno Unito e la “non negoziabilità” dei valori contrapposti portò a quelle decisioni. Dopo 70 anni, annebbiato il ricordo della provocazione nazista, guardiamo con orrore a quegli episodi, ma a quel tempo, nè Harry Truman che ordinò le bombe di Hiroshima e Nagasaki, né Curtis LeMay che ordinò i raid incendiari su Tokyo ebbero dubbi. Se li ebbero li superarono.

Come 374 anni prima (1571) Andrea Doria prima della battaglia di Lepanto disse al Principe Colonna e aveva dubbi sull’affrontare la flotta del Sultano: “El xe necesario e no se pol far da manco!” (25.000 morti Turchi e 7.500 morti Cristiani).

I 264.000 Giapponesi morti sotto i bombardamenti di Tokyo, Hiroshima e Nagasaki del 1945 sono, sotto questo punto di vista, vittime cadute per gli ideali delle democrazie occidentali. Vittime cadute anche per la nostra libertà. Non sono vittime civili, non sono collateral damage, non sono vittime solo giapponesi.

Per riflettere su questi episodi e sulle loro più ampie generali e attuali implicazioni è utile la lettura del pensiero di Isaiah Berlin:

“Alcuni profeti armati cercano di salvare tutta l’umanità, altri invece soltanto la propria razza in nome delle sue qualità superiori; ma quale che sia la motivazione, i milioni di persone massacrate nelle guerre o nelle rivoluzioni – camere a gas, Gulag, genocidi, tutte le mostruosità per le quali sarà ricordato il nostro secolo – sono il prezzo da pagare per la felicità delle generazioni future. Se il vostro desiderio di salvare l’umanità è serio e sincero, dovete indurire il cuore e non tener conto dei costi.”

Isaiah Berlin “Sulla ricerca dell’Ideale” Traduzione Gilberto Forti, orazione in occasione del conferimento del Premio Internazionale Senatore Giovanni Agnelli – Torino, Teatro Regio, 15 febbraio 1988.

Nel saggio Isaiah Berlin prosegue invocando sistematicamente e con insistenza la ricerca del compromesso e del negoziato come unica civile soluzione dello scontro fra i valori (etici, esistenziali). Nella riflessione di Berlin non si trova una risposta all’ipotesi che una delle due parti in conflitto non sia interessata al negoziato e tantomeno al compromesso, ma abbia come scopo ultimo e assoluto l’annientamento dell’altra parte. Con tutti i mezzi e comunque.

L’Occidente si trova oggi di nuovo di fronte a una sfida mortale portata dalla interpretazione estrema dell’Islam da parte di Al Baghdadi e dei suoi adepti. La minaccia, che oggi può sembrare grottesca e dettata da puerile fanatismo, trova nel mondo arabo musulmano molte più simpatie e complicità di quanto la sua allucinata visione (per i nostri valori) giustificherebbe. Questo per interessi congiunturali e strumentalizzazione interaraba locale diffusa. La provocazione da parte del “califfo” è caratterizzata da una escalation sistematica, da gesti mostruosi e, per i valori delle democrazie occidentali, incomprensibili e inaccettabili.

Il silenzio e l’inerzia delle maggioranze musulmane moderate le rende non solo irrilevanti ma oggettivamente corresponsabili così come furono oggettivamente corresponsabili dei campi di sterminio le maggioranze dei moderati tedeschi e delle leggi razziali le magggioranze dei moderati italiani.

Non è facile oggi individuare un percorso futuro dello scontro (clash of civilisations di Huntigton), ma quando l’espansione aggressiva dell’IS (Islamic State) metterà in pericolo strutture essenziali alla sopravvivenza delle democrazie occidentali è certo che queste saranno costrette a …” non tenere conto dei costi…” della ineludibile reazione.

Un pensiero che sembra per ora ancora lontano dalla mente del califfo e dei suoi seguaci sgozzatori. Per questo il ricordo del “fire bombing” di Tokyo il 9 Marzo del 1945 si presenta come un precedente terribile.

Informazioni su matteolilorenzo

Architetto, Professore in Pensione (Politecnico di Torino, Tecnologia dell'Architettura), esperto in climatologia urbana ed edilizia, energia/ambiente/economia. Vivo in Australia dal 1993
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2 risposte a In memoria del “fire bombing” di Tokyo 9 Marzo 1945

  1. Mario Fezzi ha detto:

    Grazie. Molto interessante. Mario

    >

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