Lorenzo Matteoli
19 Giugno, 2015-06-19
Le idee, anche quelle sballate, generano sempre altre idee. Una mia lettrice quasi mia omonima infatti (Lorenza Matteoli) dopo aver letto il mio articolo utopico mi ha dato un suggerimento.
Ci sono in Italia secondo la letteratura corrente oltre 6000 paesi abbandonati. Tutto l’Appennino italiano al di sopra dei 700 metri è un deserto dove una volta era territorio di diecimila paesi, abitato, coltivato e che dava reddito a centinaia di migliaia di abitanti se non a milioni. Questi abitanti oltre a vivere sulla rendita del territorio (frumento, segale, frutta, canapa e lino, latte, polli e conigli) manutenevano le coste montane e bloccavano con questa manutenzione i fenomeni di erosione e di instabilità idro-geologica.
Dagli anni ‘20 del secolo scorso in poi è avvenuto l’abbandono con la progressiva urbanizzazione. Un patrimonio territoriale, una risorsa, uno spazio di residenza, una economia da recuperare che invece resta inutilizzata, abbandonata al degrado con conseguente pericolo ambientale non indifferente.
Conviene anche ricordare che molti di questi paesi sono stati in origine fondati da gente che fuggiva, disertori di eserciti mercenari, perseguitati, galeotti, rematori di galere corsare in fuga. Alcuni venivano dal Nord dell’Europa e alcuni dal bacino del Mediterraneo, i documenti restano nella memoria dei nomi e nel DNA degli ultimi superstiti. Cito solo due esempi che conosco per personale esperienza. Il paese di Rochemolles nell’Alta Val di Susa fondato da rematori-forzati marocchini o magrebini fuggiti dalle navi di corsari berberi e abitato fino a poche decine di anni fa dai loro successori: gli abitanti di Bardonecchia conoscono bene la storia e fra di loro ci sono ancora i superstiti di molte generazioni con i tratti somatici dell’origine riconoscibilissimi sui volti abbronzati. In Lombardia nell’Alta Valsassina i paesi con nomi di origine teutonica (Mornico, Sanico: chiara derivazione da Mond-neck e San-neck angolo della luna e angolo del sole) fondati da disertori di bande di lanzichenecchi o semplicemente di mercenari che non avevano voglia di tornare al freddo in Normandia o in Svevia.
Costruiti i villaggi avevano poi trasformato le coste ripide delle Alpi o Prealpi con gradoni sostenuti da muri a secco per ottenere fasce a pendenza ridotta (in dialetto della Valsassina “scìese”) che consentivano la coltivazione della segale del frumento o semplicemente del fieno per gli animali. La manutenzione delle coste montane era svolta mediante “corvée” obbligatorie alle quali ogni famiglia doveva partecipare. Il capo del villaggio o il consiglio degli anziani chiamava le “corvée” ogni volta che si rendeva necessario un intervento di interesse comune (pulizia dei canali di gronda, ricostruzione dei muri a secco …) chi non partecipava con manodopera doveva pagare una tassa di compensazione. Tutta questa economia, queste risorse, queste opere di prevenzione del dissesto idrogeologico con l’intensa urbanizzazione de secolo scorso sono andate perdute.
Ci sono ancora strutture residenziali abitabili o ristrutturabili per la residenza, ci sono ancora infrastrutture (strade, tratturi, mulattiere): mancano gli uomini, le donne, gli abitanti.
Ma manca anche la cosa più importante: la visione politica, l’iniziativa di governo, la progettualità di programma…le idee.
Forse il deserto di idee è il vuoto più grave di questo momento italiano.
Dall’altra parte abbiamo migliaia o decine di migliaia di migranti che arrivano disperati, fuggono, abbandonano paesi invivibili per miseria, guerra, dittature, o fanatismo religioso che adesso facciamo fatica ad accogliere e ad accettare, che collochiamo forzosamente in strutture costose a costi di manutenzione a carico della collettività. Condannandoli alla nulla-facenza, a un ozio pericoloso, ed esponendoli alla tentazione della piccola criminalità, furti, scippi, droga, prostituzione. E in generale all’abbrutimento marginale metropolitano.
Abbiamo splendide competenze universitarie di sociologi, geometri, architetti, geologi, tecnici agrari, medici, maestri che combattono per avere lavoro, contratti, finanziamenti per l’istituzione universitaria recentemente esposta a drastici tagli dai vari governi schiavi degli incredibili insostenibili e talvolta impudichi “diritti acquisiti” di ricchi signori con pensioni da diecimila, ventimila e oltre Euro al mese. Tutelati da sentenze magistrali di assurdo stampo borbonico.
Ci sono fondi europei inutilizzati per la ristrutturazione di patrimonio territoriale, per opere di consolidamento idrogeologico.
All’Europa che ci nega il civile sostegno di solidarietà per l’opera di accoglienza che svolgiamo potremmo chiedere una attenzione speciale per programmi di visione strategica meno gretta delle attuali ipotesi di durezza e barbarie: respingiamo chi non merita, chi non ha diritto, chi è pericoloso socialmente o militarmente, con la fermezza dovuta e giusta, ma accogliamo chi merita e chi ha diritto.
Ma accogliamolo in modo costruttivo e positivo negli spazi territoriali, residenziali, ambientali e di risorse potenziali disponibili, con i soldi che adesso si spendono per organizzazioni semi-mafiose e per garantire ozi pericolosi, con i soldi che l’Europa ci potrebbe dare per programmi di recupero ambientale opportuno, necessario, dovuto, utile.
Ripopoliamo il deserto italiano creato dall’urbanizzazione del secolo scorso, recuperiamo strutture territoriali e risorse ambientali ed economiche fino ad oggi trascurate e lasciate al degrado, recuperiamo le competenze universitarie oggi latenti nei dipartimenti in affanno e agonizzanti per eccesso di “riforme”, esigiamo i soldi che l’Europa ci deve e che spesso lasciamo inutilizzati per mancanza di idee.
Sulla destinazione potenziale delle opere e dei territori recuperati si aprirebbe un altro capitolo interessante di progetto e di impresa. Non era l’Italia il luogo della imprenditorialità innovatrice e creativa?
Per chiudere vorrei citare quello che stanno facendo alcuni comuni della bassa veronese (Nogara, Sorgà) dopo aver lottato con la burocrazia internazionale per impiegare i migranti in lavori di manutenzione e cura del territorio: un esempio da seguire di iniziativa e imprenditorialità di amministratori locali con idee e con i piedi per terra.
Le norme internazionali vietano di impiegare migranti per più di tre ore al giorno e per più 20 giorni al mese. Il comune di Nogara impiega circa 40 migranti ospitati per “l’avviamento a lavori socialmente utili.” I 40 migranti ospitati a Nogara sono suddivisi in squadre di cinque operatori e svolgono lavori di pulizia stradale, giardinaggio nelle case di riposo e piccola manutenzione. L’operazione si svolge con l’approvazione delle popolazioni locali che apprezzano l’impegno dei migranti e con soddisfazione dei migranti che trovano una dignità nel lavoro e sfuggono alla condanna di un ozio umiliante.
Un quadro normativo e di assistenza da parte del governo consentirebbe di generalizzare l’iniziativa di Nogara e di estenderla ad altri comuni italiani.
Ma c’è lo spazio per una visione di strategie e imprese molto più importanti: governo se ci sei batti un colpo.
http://siviaggia.it/viaggi/europa/paesi-abbandonati-in-italia/4399/
http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2014/07/15/ARgKVFDB-italia_paesi_fantasma.shtml
Caro Lorenzo detto Nicchio,
anche questa volta hai fatto centro! Bellarticolo, bella proposta forse neanche troppo utopica. Anchio conosco un villaggio in Val Vigezzo
dove gli abitanti, antichi mercenari tedeschi, parlano un dialetto incomprensibile. Si potrebbe ripopolare mezza Italia e salvarla dal degrado
idrogeologico dando ospitalità a chi ne ha bisogno.
Comincia a venire qual che giorno questestate a Santa Caterina Valfurva e andiamo insieme a cercare villaggi da ripopolare ..Ciao, fatti vivo
Carlo
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Grazie Carlo!
il tuo apprezzamento è per me sempre motivo di grande lusinga!
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