Aspettando Antonio (Michele) Ghislieri
Lorenzo Matteoli 18 novembre 2015
Come sempre dopo episodi tragici e clamorosi si scatena il dibattito in genere dominato da posizioni estreme e inconciliabili, quelle provocate “a caldo” dalla tragedia in soggetti già fortemente orientati politicamente o ideologicamente.
La lettura dei commenti dei lettori sui maggiori organi di stampa (Repubblica, Corriere, Stampa, Giornale) fornisce un quadro che sarebbe molto preoccupante, se fosse effettivamente rappresentativo dell’opinione pubblica italiana. Poche, pochissime voci equilibrate, molti facinorosi incazzati. Pochi buonisti ad oltranza difendono l’indifendibile e invocano accoglienza, comprensione, chiedono di distinguere tra islam e islam, si appellano a una ineffabile figura di “islamismo moderato” per tentare una disperata conciliazione, per costruire un dialogo reso impossibile dall’ottuso dogma religioso e da qualche secolo di storia di efferatezze compiute sui due fronti: dall’Islam e dall’Occidente, cristiano, imperiale, petrolifero e liberale.
Nell’orrore della tragedia di Parigi, nel frastuono delle immediate reazioni, oltre l’offesa straziante delle famiglie e il dolore insanabile, è necessario recuperare la ratio culturale, politica e storica della situazione per gestirne le conseguenze e guardare avanti.
La prima operazione da fare è metabolizzare la rabbia, il disgusto e il dolore: distillare alla dimensione storica e di filosofia. Tutti i sentimenti sono filtri deformanti che impediscono la valutazione pragmatica dei fatti e provocano reazioni appassionate, ma pericolose. Qualche volta anche sciocche. Questo vale sia per l’efferato “buonismo” al limite della irresponsabile stupidità, quanto per “l’ammazziamoli tutti”, assurdo, infattibile e comunque inutile.
Il terrorismo non si è mai vinto con la guerra, nella storia è stato, se mai, sempre vero il contrario.
Come la Francia ha imparato in Algeria, e l’Inghilterra in Irlanda e, a suo tempo, in Israele.
Un fantasma, nel campo dei vari atteggiamenti, che va smascherato è quello dell’”islam moderato” al quale teoricamente bisognerebbe affidarsi per emarginare e sconfiggere i massacratori fanatici del Daesh.
L’”islam moderato” è una figura retorica (in effetti un ossimoro) di una realtà che se esiste non serve a nulla. Se fosse mai esistito come realtà vitale, efficace riconosciuta e autorevole le manifestazioni estreme non si sarebbero mai nemmeno verificate. Gli islamici moderati sono inerti e silenziosi, se parlano non sono credibili e sono le prime vittime e i primi responsabili del fanatismo estremo. Vittime perché vengono immediatamente puniti come traditori se si azzardano ad esprimere riserve o critiche nei confronti del fanatismo shariatico. Responsabili perché con il loro silenzio/assenso hanno di fatto lasciato crescere se non costruito l’ala estrema, violenta, fanatica alla quale ha fornito il terreno nel quale radicarsi. Pensare che questa maggioranza, a sua volta terrorizzata, che non è solo silenziosa, ma addirittura priva di corde vocali, possa diventare un’autorità capace di denunciare, contenere, punire la linea fanatica estrema è un’illusione che solo l’ignoranza dei più elementari dettati dell’islam e delle sue culture può suggerire.
Qualcuno ha paragonato il rapporto del fanatismo terrorista islamico con il mainstream musulmano con il rapporto che ci fu tra il PCI e le Brigate Rosse: PCI e Brigate Rosse condividevano, a distanza, una dialettica che ammetteva, a fatica in molti casi, analisi, autocritica, ammissione degli errori, censura e revisione delle strategie. Tutti concetti che sono lontani dalla ideologia dell’islam, sia quello impegnato nella Guerra di Terrore, che quello presunto “moderato”, che valuta giudica e si comporta secondo un codice coranico del quale non è ammessa la discussione. Per il pensiero islamico fondamentalista ortodosso i moderati sono come gli infedeli e come tali vanno trattati. Auguro lunga vita a Hocine Drouiche, imam di Nimes.
Qualunque strategia di contrasto del terrorismo Daesh deve quindi ignorare l’ipotesi di essere assistita da un islam moderato, il quale va invece affrancato e liberato lui stesso (spesso suo malgrado) dalla condizione di paura e di totale subalternità. Da soli non ce la faranno mai: le prime vittime del “terrore”.
L’altra sicurezza che va denunciata è quella della “guerra”: il terrorismo di matrice fanatica islamica è come un virus dalla struttura complessa e variabile. La cura mediante antibiotici sotto forma di bombardamenti non avrà successo perché rischia di creare molti più focolai aggressivi di quanti non riesca a distruggerne. I fautori della guerra subito non hanno risposte per la semplice ma fondamentale domanda: finita la guerra a Raqqa che si fa in Europa? Quante volte l’Occidente ha vinto le guerre e perso le paci?
Solo in presenza di metastasi concentrate e chiaramente identificabili si può intervenire con la chirurgia delle bombe, ma queste situazioni sono rare e il Daesh è attento a non fornirne. Dove vengono individuate centrali e strutture organizzative l’eliminazione deve essere puntuale e radicale. E comunque costa enormi sacrifici di collateral damage proprio per la strategica e criminale scelta del Califfo e dei suoi di nascondersi fra i civili.
Ma per il terrorismo diffuso va individuata una metodologia di contrasto diffusa diversa dalle bombe: è necessario inserire nel sociale musulmano in Europa e nel Medio Oriente una miscela antivirale, una contro-informazione selettiva, associata a una metodologia di isolamento. Si diceva una volta togliere l’acqua ai pesci.
Informazione e contro-informazione sono plausibilità, infiltrazione, eliminazione di “nutrients” e dei tessuti fisiologici sociali di sostegno. L’islam moderato è passivamente o attivamente uno di questi tessuti.
Ricordo che in Italia il nucleo duro delle Bierre alla Fiat di Torino venne identificato, isolato e disfatto dai questionari inventati e imposti da Giuliano Ferrara. Le Bierre italiane vennero sconfitte dai “pentiti” della strategia del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Ci si chiede cosa abbiano fatto i Servizi Francesi dopo l’attacco a Charlie Hebdo:
Come abbiano fatto a non identificare e prevenire il pericolo del Bataclan: c’è un video su internet che registra un gruppo di islamici (8 o 9 personaggi) con il volto coperto da kefiah che qualche settimana prima del venerdì 13 novembre ha minacciato davanti al locale interventi punitivi se il Bataclan non avesse cessato di organizzare manifestazioni filo-israeliane. Così il capo del gruppo concludeva l’intervento: “Quando torneremo non sarà per parlare!…on viendrà pas pour parler!”
Ci si chiede cosa sia stato fatto per rispondere a questa minaccia specifica, esplicita e firmata da parte di un gruppo che si registra in video e posta su internet la intera registrazione della spedizione e il suo commento finale. I soggetti dovevano essere identificati, arrestati e interrogati. Tutti i loro contatti e aventi causa fermati e interrogati. Invece ignoti, liberi e impuniti. Ci si chiede quale servizio di “intelligence” degno della qualifica non sia in grado di farlo. Una colpevole negligenza costata 129 morti: un sacrificio insopportabile in quella che forse è la più importante capitale “morale” d’Europa. Una ferita che non si rimarginerà. Dispiace scriverlo ma i servizi francesi non escono bene da questa tragedia.
L’altro fronte sul quale è necessario costruire una unità politica di intenti e di azione adesso quanto meno equivoca è quello militare dove la sincerità degli alleati affoga in un groviglio di contraddizioni e di veri e propri tradimenti e doppi giochi.
La Turchia di Erdogan, il secondo esercito della NATO, utilizza la sua associazione alla guerra contro il Califfato per massacrare le popolazioni Curde in Turchia, Siria e Iraq. Quando i Curdi sono gli unici che fino ad ora hanno condotto con enormi sacrifici la guerra sul terreno contro il Daesh (cfr. liberazione di Kobane). Ci si chiede quale possa essere la lealtà dell’Arabia Saudita armata dagli Stati Uniti e del Qatar armato dalla Francia impegnati in una guerra civile nello Yemen contro la ribellione sciita al dittatore sunnita locale: alleata di Qatar e Arabia Saudita nello Yemen troviamo la locale frangia di al-Qaeda che ha formato nello Yemen orientale un Califfato fondamentalista sunnita. Ancora: quale credibilità può avere Obama che non riesce a chiedere con fermezza ai suoi alleati Sauditi di interrompere i finanziamenti dei diversi rami della famiglia reale ad al-Nusra (al-Qaeda) e allo stesso Califfato di Raqqa. Oppure con quale dignità l’America interrompe, su richiesta di Erdogan, l’invio di armi leggere ai peshmerga Curdi con i quali si era peraltro impegnata: un altro capitolo nella storia vergognosa dei tradimenti degli Stati Uniti nei confronti della battaglia dei Curdi per ottenere un riconoscimento della loro nazione e dei loro territori. Equivoca anche la posizione di Israele, alleato storico degli Stati Uniti, che contrasta gli heisbollah sciiti appoggiati dall’Iran e in teoria alleati degli Stati Uniti contro i macellai sunniti del Daesh.
Su questo intrico di ambiguità e di equivoci, solo in parte illustrato qui sopra, si è svolta la riunione di Vienna dalla quale sarebbe emersa l’“unità di intenti” per una azione militare coordinata contro il Califfato.
Sullo sfondo di una Europa politicamente inesistente guidata dalla granitica autorevolezza di Federica Mogherini dove Angela Merkel è ostaggio della destra democristiana ferocemente contraria all’accoglienza di rifugiati Siriani alla quale si era impegnata e dove la reazione impitoyable di François Hollande, travolto dall’attacco di venerdì scorso, è sostanzialmente dettata dalla necessità di prevenire una vittoria di Marine Le Pen alle prossime elezioni.
L’Italia, divisa tra i tamburi di guerra, armiamoci e partite, di Salvini e il tremebondo impegno per il Giubileo, galleggia verbalmente cercando, da una parte, di evitare schieramenti troppo evidenti e marcati e dall’altra di salvare la faccia con l’opinione pubblica internazionale. Un modesto balletto fra quaqquaraqquà e fanfaronaggine che ci varrà ancora una volta l’esplicito disprezzo della platea mondiale. Visione e pensiero strategico zero, silenzio di Gentiloni.
Nel grande quadro confuso emerge come chiara la decisione di Vladimir Vladimirovich Putin che ha preferito un orribile dittatore, responsabile dopo suo padre e suo zio di delitti orrendi contro la sua stessa gente, a un Califfo fanatico e sanguinario con l’ipotesi, confermata a Vienna, di gestire politicamente la fine della dittatura di Assad una volta risolti i conti con al Baghdadi e i suoi sgozzatori.
Conclusione
Il quadro complessivo sembra quello di una tragica danza tra falsi alleati e di scelte tra traditori e doppiogiochisti per combattere uno pseudo-stato criminale di fanatici killers religiosi sgozzatori e squartatori. Una trama che nemmeno il più pazzo autore di cult movie avrebbe potuto pensare.
Siamo sicuri che la divisione sia semplicemente fra pessimisti e ottimisti?
Dov’è l’Antonio Michele Ghislieri** capace di richiamare all’ordine i capi incerti e sbandati della civiltà Occidentale?
Interesting times ahead.
** Pio V il Papa che organizzò la Lega Santa per affrontare e vincere a Lepanto (7 ottobre 1571) la Flotta Ottomana del Sultano Mehmet III
Da qualche tempo l’economia è sfuggita dalle mani degli addetti ufficiali ai lavori, consentendo ai barbari di accumulare ricchezze illimitate con le quali possono disporre di mezzi ai quali nessuna organizzazione sociale militare e civile di qualsiasi Paese (USA, Russia in primis) può opporsi. Come al solito con i soldi si può fare tutto e purtroppo siamo solo agli inizi (penso andando in auto che la benzina del mio serbatoio venduta di contrabbando dai barbari ad Esso, Agip, Mobil, ecc. contribuisce a questi massacri, insieme ai collezionisti di opere d’arte orientale ed altro