Lorenzo Matteoli
21 Gennaio 2016
Tutti ricordiamo il generale lamento delle imprese quando a partire dal 1973 e dal primo cartello OPEC organizzato dall’ineffabile Oil Czar Ahmed Zaki Yamani il petrolio passò dagli storici 3.00$ al barile imposti dalle “7 Sorelle[1] prima a 27.00$ al barile e poi a 30.00$ per arrivare negli anni ‘90 e inizio 2000 ai 100.00$ al barile e oltre. Sembrava la fine del mondo e le previsioni di catastrofe energetica erano correnti nel doom writing di moda. Devo confessare che io stesso in molti miei scritti e saggi sull’energia ho partecipato alla sindrome. Il petrolio veniva considerato la struttura fondamentale della industrializzazione e il motore dell’economia del mondo. L’aumento del suo costo per un fattore 10 e poi 30 e più era per tutti gli analisti sconvolgente.
Così non fu: l’aumento venne assorbito dalla macroeconomia senza grandi sconvolgimenti. Tutte le analisi e le previsioni si rivelarono sbagliate. Ci furono però conseguenze e nei quaranta anni trascorsi dalla crisi del 1973 il macrosistema energetico mondiale è radicalmente cambiato. Una serie di fattori hanno modificato gli scenari dell’energia e senza approfondire le elenco solamente:
- Le industrie e le strutture di domanda petrolifera hanno investito sistematicamente in razionalizzazione dei loro processi e delle loro tecnologie eliminando sprechi e e innescando risparmi. In oltre quaranta anni di investimento si cominciano a vedere i risultati.
- Il costo del petrolio ha promosso investimenti e incentivazione nel campo delle rinnovabili che oggi in molti paesi coprono quote dal 10 al 20% della domanda e quando saranno assistite da adeguate tecnologie di accumulo saranno in grado di aumentare questa percentuale fino a punte che possono arrivare al 60-70%.
- Una pesante crisi finanziaria innescata dalla crisi dei sub-prime funds nel 2008 sta ancora oggi deprimendo la domanda e i mercati del mondo industrializzato.
- Recentemente la Cina, grande locomotiva economica e forte consumatrice di petrolio, ha ridotto il suo sviluppo e la domanda generale di materie prime e di petrolio in particolare.
- Sono comparsi, molto recentemente, sul mercato dell’offerta operatori “criminali” come il Daesh in Iraq, Boko Haram in Nigeria, e altri probabili in Libia che vendono petrolio “rubato” a cifre molto basse su mercati di contrabbando.
- Gli Stati Uniti e il Canada hanno messo a punto tecnologie estrattive per trattare gli scisti petroliferi e questo ha consentito ai due paesi di uscire dal mercato della domanda nel giro di pochi mesi mettendo in crisi i paesi tradizionalmente fornitori (Venezuela e Nigeria).
- Nuove tecniche di sfruttamento dei bacini esistenti ne hanno aumentato il rendimento per consistenti percentuali (horizontal directional drilling e fracking). Bacini che erano considerati esauriti sono tornati in produzione con previsioni di sfruttamento di medio e lungo termine).
Il combinato disposto dei punti elencati ha provocato un eccesso di offerta del greggio sui mercati e la attuale condizione di “oil glut” che non ha precedenti nella storia del greggio. Dal Collonello Drake in poi.
Alle sette tendenze elencate si associano anche alcune condizioni di matrice finanziaria e politica: la difesa dell’Arabia Saudita della sua offerta contro i produttori di petrolio da scisti bituminosi Americani e Canadesi e una ufficiosa alleanza di paesi occidentali contro la Russia di Putin.
Sono attuali altre condizioni che tenderanno a deprimere ulteriormente il prezzo del greggio e dell’energia fossile, importante fra queste la fine delle sanzioni contro l’Iran che ricomincerà a vendere petrolio sul mercato già “allagato”, e la scoperta del nuovo enorme bacino di gas naturale davanti alle coste egiziane del Mediterraneo (Zohr Field).
Le previsioni ufficiali delle agenzie di forecasting per il 2016 danno tutte il prezzo del barile in calo per il 2016 con quote fino a 23.00 e 24.00 $ al barile.
Ma se i costi di estrazione sono quelli di questo diagramma [2] è anche probabile che si arrivi a prezzi ancora più bassi per allinearsi ai costi di produzione dell’Arabia Saudita (10.00 $ al barile), con buona pace di Vladimir Putin.
C’è però anche un’altra lettura del collasso del prezzo del barile che è interessante tenere presente. La previsione del collasso è evidente da tempo ed è impossibile che operatori finanziari non l’abbiano chiaramente identificata nei loro modelli di analisi. Quando i grandi istituti della speculazione finanziaria individuano un trend così ovvio, evidente e sicuro ne approfittano giocando al ribasso (shorting) sui titoli petroliferi e sui fondi sostanzialmente basati sui titoli petroliferi. Al grande “short” di Wall Street, di Londra e Francoforte (Tokyo, Hong Kong in Asia) si associa la marea dei milioni di giocatori che quotidianamente muovono i loro soldi sulle scommesse delle binary options.
Un effetto non precisamente calcolabile. Ma è certo che i finanzieri arabi (o vicini al finanzieri arabi) che perdono denaro vendendo petrolio al costo di estrazione o quasi ne guadagnano molto di più giocando al ribasso sui mercati finanziari e vendendo “short” i titoli petroliferi.
L’effetto di questa marea di denaro sulla marea di petrolio è difficile da immaginare e da calcolare.
Come sempre quando un prezzo si muove al ribasso da qualche parte del mondo (caffè, soya, grano, oro, argento, petrolio, ferro, rame, uranio, carne…) da qualche altra parte del mondo, nelle segrete stanze della finanza, qualcuno ammucchia enormi fortune, grazie alla leva finanziario dei CDO e dei credit swaps.
Quando pochissimi si arricchiscono smodatamente, moltissimi diventano moderatamente più poveri.
[1] (Anglo-Persian Oil Company (now BP); Gulf Oil, Standard Oil of California (now Chevron), Texaco (later merged with Chevron); Royal Dutch Shell; Standard Oil of New Jersey (Esso/Exxon) and Standard Oil Company of New York (Socony) (d/b/a Mobil now part of ExxonMobil)
[2] fonte
http://marketrealist.com/2015/12/long-can-price-war-continue-crude-oil/
Robert Scott