La rivoluzione francese:
Una storia intellettuale dai Diritti dell’uomo a Robespierre
Jonathan Israel
Einaudi, 2016
“Per molto tempo gli storici hanno dato per scontato ciò che era evidente ai testimoni dell’epoca: che la rivoluzione francese fu causata dalle idee radicali dell’Illuminismo. Negli ultimi decenni gli studiosi hanno invece cominciato a sostenere che la rivoluzione venne portata avanti dalle forze sociali, dalla politica, dall’economia o dalla cultura; da quasi tutto insomma, escludendo però i concetti astratti di libertà e uguaglianza. In questo libro, uno dei maggiori storici dell’età dell’Illuminismo restituisce alla storia intellettuale della Rivoluzione la sua legittima centralità.
Israel ri-scrive la storia della Rivoluzione Francese sovvertendo canoni che ne hanno fino ad oggi istruito la narrazione. Non più rivoluzione innescata da motivi e cause sociali ed economiche, ma rivoluzione nata e mossa dal suo inizio alla sua involuzione giacobina dalla dialettica dell’illuminismo e dei suoi maestri primo fra tutti Jean-Jacques Rousseau, (nato il 28 giugno, 1712, a Ginevra—morto il 2 luglio, 1778, Ermenonville, Francia). Dialettica spesso feroce e intollerante, fra i suoi “partiti”, rappresentanti, circoli, sette e scuole.
Interessanti le critiche al libro: severe e spesso apertamente negative da parte della sinistra letteraria “marxiana” che non apprezza la denuncia del paradigma economico-sociale più o meno diretta dell’impostazione di Israel; positive e curiose quelle degli esegeti “liberal” che invece riconoscono la validità e attualità della critica impostata sulla “filosofia” proposta da Jonathan Israel. Ricordo bene nelle battaglie dialettiche del 1968 io rappresentavo una linea “liberal” e venivo regolarmente qualificato come “illuminista” dalla maggioranza dominante PCI/UGI. Il termine era pesantemente derogativo.
Per me la lettura è stata una sorpresa avendo a suo tempo studiato la Rivoluzione Francese al Liceo Classico Italiano negli anni ‘50 e su testi a dir poco schematici, più che altro cronologie acritiche. Nei licei italiani “La Rivoluzione Francese (1788-1792)” di Gaetano Salvemini (prima edizione 1905 editore L.F. Pallestrini & C.) negli anni ‘50 non era arrivata se non indirettamente negli schemi e nelle cronologie. Forse una fortuna per molte generazioni di liceali italiani: meglio lo schematismo dei “bignamini” che una storiografia deviante.
Oggi il testo di Salvemini è disponibile gratuitamente in edizione digitale curata da Google per la biblioteca della Harvard University, nell’edizione fiorentina del 1905 scannerizzata in una molteplicità di protocolli.
Basta leggerne le prime cinque pagine per capire il criterio storiografico di Salvemini: il lusso smodato dei nobili e la futilità della corte, la miseria dei contadini, le angherie degli esattori, l’alto clero nel lusso e nelle feste i preti della periferia nella miseria, gli ufficiali dell’esercito nobili e vanesi, i soldati miserabili e martiri di una disciplina bestiale…il debito assurdo dello Stato e della Corona, le tasse insostenibili …Tutto il bagaglio della storiografia “socio economica” che ha dominato la narrativa della Rivoluzione Francese nel ‘900.
Nella sua introduzione Israel denuncia il “vuoto” critico che caratterizza la letteratura storica sulle “origini” della Rivoluzione Francese e cita l’introduzione di Campbell nella “Origins of the French Revolution”: “…la verità è che non abbiamo una teoria generale condivisa che spieghi come si sia innescata la Rivoluzione Francese e cosa sia effettivamente stata – e non ce ne è nemmeno una in prospettiva …”
Secondo Israel la recente “nuova interpretazione sociale” della storiografia sulla Rivoluzione Francese dimostra con evidenza come non ci sia stata una drammatica crisi della società francese alla fine del diciottesimo secolo alla quale attribuire la generale insoddisfazione destabilizzante e il radicale sovvertimento sociale portato dalla Rivoluzione.
Alla fine della sua analisi iniziale Israel ammette che forse è irrilevante la ricerca di una “major cause”. Forse scrive: “…gli avvenimenti della storia non hanno “grandi” cause.”
L’idea che non ci sia stata una chiave di interpretazione unica comprensiva e individuabile, dice Israel, può forse piacere ai filosofi e anche agli storici.
Ma la sua conclusione è diversa.
La Rivoluzione Francese fu una rottura completa e drammatica con “l’ancien regime”, con la politica e la cultura così totale e profonda, la trasformazione fondante per i successivi svolgimenti della storia in Occidente e fuori dall’Occidente nel diciannovesimo e ventesimo secolo che sostenere che non ci sia stata una causa sociale strutturale consistente, ma solo una congerie di fatti relativamente minori, non solo non convince, ma non è nemmeno lontanamente plausibile.
La Rivoluzione fu soprattutto un processo di emancipazione, democratizzazione e fondamentale rinnovamento brutalmente interrotto nel 1793-94 (dalla dittatura terroristica e paranoica di Massimiliano Robespierre) e progressivamente riassorbito tra il 1799 e il 1804 (dall’avvento di Napoleone e dalla restaurazione prima imperiale e poi monarchica).
Nel suo prologo, una rigorosa posizione del criterio storiografico della sua opera, Israel conclude che la spiegazione dell’origine della Rivoluzione Francese comunemente accettata dalla storia scritta tra il 1788 e il 1820, in Francia e fuori dalla Francia, fu che questa fu innescata dalla “filosofia” e precisamente dall’Illuminismo di Jean Jaques Rousseau all’inizio e in seguito da quello radicale di Mirabeau, Danton, Marat.
La domanda alla quale Israel vuole rispondere con la sua opera: è giusto l’assunto della motivazione filosofica illuminista corrente durante tutto il periodo della Rivoluzione?
Nelle successive quasi mille pagine del libro Israel svolge la tesi con una documentazione dettagliata e di prima mano drammaticamente convincente.
La vicenda della Rivoluzione venne condotta da una élite di filosofi (veri o finti), pubblicisti, agitatori, preti, monaci, nobili rinnegati, militari, ciarlatani, imbroglioni, demagoghi, organizzati in circoli, salotti, corti, gazzette, caffè. Il popolo manipolato e strumentalizzato, la Guardia Nazionale usata per imporre l’ordine o per fare pressione sulla Convenzione.
In questo scenario caotico e confuso figure eroiche e illuminate di convinti rivoluzionari, di convinti monarchici costituzionali, di idee fondanti di successive Costituzioni democratiche Francesi ed Europee basate sui diritti dell’uomo, sulla democrazia, sull’uguaglianza, sul parlamentarismo rappresentativo. La libertà di espressione e di stampa, la libertà di religione, i diritti delle donne, l’affrancamento degli ebrei, dei neri e degli schiavi, tutti i valori delle moderne democrazie furono oggetto di dibattito spesso feroce, esclusivo e assoluto. Per la prima volta nella storia dell’umanità.
La Rivoluzione Francese dopo la fase rivoluzionaria iniziale e limpida informata dal pensiero di Jean Jaques Rousseau entrò in un tunnel terribile di mistificazione, involuzione dialettica, settarismo estremo fino alla follia paranoica e criminale di Robespierre con migliaia di ghigliottinati (quasi tutti i “padri” fondatori iniziali vennero condannati dalla Salute Pubblica voluta e gestita da Robespierre e dai suoi accoliti durante il “Terrore”).
La documentazione della deformazione dialettica che portò alla dittatura di Robespierre, i suoi discorsi allucinati, il mito cervellotico della Dea Ragione e dell’Essere Supremo, la facilità con la quale le idee splendide (egalité, liberté, fraternité) diventarono marchio di infamia, massacro e tortura, sono ancora oggi una lettura terribile.
Sorprende come uomini illuminati, colti, intellettualmente sofisticati siano stati travolti dall’assurdità dialettica e si siano resi responsabili di persecuzioni, massacri, processi sommari e condanne allucinanti e come sia stato difficile anche dopo la caduta e la esecuzione di Robespierre (ghigliottinato il 28 Luglio 1794) e della sua clique uscire da Terrore e recuperare la normalità.
L’involuzione terroristica paranoica della Rivoluzione sacrificò uomini e donne di grande intelligenza e visione (Jean Antoine Nicolas Condorcet marchese de Caritat, Antoine Laurent Lavoisier, Andrea Chenier, Olympe Gouges, Manon Jeanne Roland…) e le responsabilità non furono solo di Robespierre, ma di una vasta area dei Montagnard e Giacobini che non si opposero anche quando era oramai evidente la criminalità folle di Louis Antoine Saint-Just e Maximilien Robespierre. Si ha l’impressione di un inspiegabile plagio generale.
Nonostante l’involuzione del Terrore, il lento e ambiguo Termidoro e la restaurazione Napoleonica e dei Borboni i valori fondamentali dell’Illuminismo di Jean Jaques Rousseau e di quello radicale dei suoi seguaci si sono imposti e la Francia repubblicana tra il 1792 e il 1804 è diventata di nuovo una Repubblica nel 1848 (Seconda repubblica).
Oggi la Francia è alla Quinta Repubblica e vige la Costituzione approvata nel 1958 (Charles De Gaulle) il motto è sempre quello della Rivoluzione del 1789 Liberté, Egalité, Fraternité.
La lettura del libro di Jonathan Israel sorprende per l’efficacia con la quale le masse popolari della Francia urbana e rurale del 1788 vennero controllate e usate da un gruppo relativamente ristretto di intellettuali, filosofi veri o soi disant, pubblicisti, agitatori, pamphlettisti e circoli gravitanti intorno ai caffè di Parigi.
Se questo fu possibile in una società senza radio, senza televisione, senza grandi tirature di stampa quotidiana e senza internet e social media, ci si chiede cosa sia possibile oggi con la mostruosa potenza dei media attuali.
Nel 1780 l’ignoranza delle masse era la ragione della loro facile manipolabilità da parte di agitatori e oratori appassionati e convincenti, più o meno onesti e illuminati.
Oggi le masse sono sicuramente molto più informate di quanto non lo fossero nel 1780, ma è ragionevole chiedersi “come” sono informate e se la “qualità” della informazione attuale non sia un elemento di debolezza superiore all’ignoranza delle plebi rurali francesi del 1780.