27 Marzo, 2017
Dopo episodi come quello del Bataclan di Parigi e quello di Zaventem e della stazione della metropolitana di Bruxelles sarebbe opportuno evitare reazioni scomposte e irrazionali, ma una riflessione seria si impone. Prendere le distanze dall’isterismo estremo di coloro che chiedono l’assurda e impossibile espulsione in massa dei musulmani dall’Europa e da quelli che insistono nella pervicace distinzione del “non tutti i musulmani sono terroristi”….vero, ma è anche vero che “tutti i terroristi sono musulmani”. Ci sono quindi solidi motivi per ritenere che il problema sia proprio e innegabilmente nell’Islam, nei suoi profeti fondatori e nei suoi attuali predicatori, fedeli e fanatici adepti, e politici strumentali approfittatori. C’è però anche una vasta zona di connivenza della quale sono responsabili il cosiddetto “Islam moderato” pesantemente subalterno, quando non silenzioso complice del fanatismo estremista e la sinistra europea che, fedele al suo canone storico di apertura e disponibilità, non riesce a rendersi conto che i processi di comunicazione, comprensione integrazione richiedono la volontà e la partecipazione di tutte le parti in causa. Non c’è futuro in un rapporto dove una delle parti vuole comprendere e l’altra ha, come dettato categorico, non solo quello di non comprendere, ma quello di contrastare violentemente e di sopprimere. O, meglio, un futuro c’è: la sopraffazione, in tempi più o meno lunghi, e la eliminazione della parte disponibile e ingenuamente tesa alla impossibile e rifiutata comprensione. Una sopraffazione che costerà lacrime e sangue per alcune generazioni.
L’Europa deve prendere atto della impossibilità di integrare l’islam nella cultura e nelle società democratica “liberale” che è oggi, dopo secoli di storia difficile e sanguinosa, la sua “marca” profonda e irrinunciabile. La disponibilità all’accoglienza indiscriminata è disponibilità al suicidio culturale, sociale e politico: questa deve essere l’ipotesi dalla quale derivare la condizione che va imposta rigorosamente a chi vuol venire in Europa e a chi in Europa è già venuto. Quanto più seria e rigorosa sarà oggi la posizione delle condizioni di accoglienza e quanto più responsabile e vera sarà la loro accettazione, tanto meno dolorosa sarà la difesa di una società libera nelle regole di una effettiva democrazia. In questo modo, non senza il sacrificio di milioni di persone, l’Europa ha risolto il problema del fascismo, del nazismo e del comunismo: non si vedono ragioni per fare differenze per un’altra confezione di fanatismo intollerante, dogmatico e sanguinario.
Non c’è democrazia senza regole, non ci sono regole senza rispetto della storia e delle tradizioni dei luoghi. L’accoglienza degli immigranti musulmani senza la posizione del rispetto di questi principi è suicidio. Una posizione che non è prevaricazione antidemocratica e illiberale: al contrario è proprio la difesa di quei valori. Sono stati conquistati con secoli di sacrifici e vanno difesi a tutti i costi.
La sinistra europea e quella italiana devono comprendere che la politica dell’accoglienza condizionata e controllata è la premessa necessaria per evitare che la destra estrema sia interprete unica e assoluta del problema dell’immigrazione e delle strategie per il suo governo. L’accoglienza indiscriminata e incontrollata di fatto è connivenza con governi totalitari, assoluti, razzisti, discriminatori molti dei quali sostenitori e finanziatori di jihadismo se non direttamente di organizzazioni terroristiche. Un particolare che dovrebbe far riflettere chi sostiene una ideologia di progresso, di eguaglianza e di apertura sociale: caratteristiche esplicitamente contrarie agli attuali regimi teocratici di matrice islamica.
La strategia di lungo termine è una strategia culturale, ma il breve termine deve correggere gli errori degli ultimi venti anni di ingenua o irresponsabile disponibilità. Il terrorismo fanatico di attuale emergenza in Europa è un cancro sociale che va eliminato con sistematico rigore: schedature, controlli, interrogatori, isolamento, espulsioni. Una prospettiva da incubo. Il terrorismo impone la perdita di libertà democratiche, come le impone simmetricamente la lotta al terrorismo. Il prezzo da pagare per non essere sopraffatti.
Il Belgio paga oggi pesantemente il prezzo delle aperture che Baldovino fece all’Arabia Saudita negli anni ’70: una crudele, ma chiara, dimostrazione che l’accoglienza e la disponibilità non sono premesse e tantomeno garanzie di rispetto per il Paese ospite. L’insegnamento del Corano inserito nelle scuole pubbliche del Belgio e le centinaia di moschee finanziate dai Sauditi a Bruxelles hanno prodotto fanatici estremisti e non hanno per nulla facilitato inserimento e integrazione. La presenza dell’islam nel sociale del Belgio ha prodotto connivenza degli organi di controllo e di polizia che oggi arrestano soggetti che erano stato già arrestati (e poi liberati) dieci anni fa e soggetti segnalati da tempo dalle altre polizie europee e dei servizi USA che in Belgio hanno trovato per anni ospitalità, copertura e complicità. I massacri del 24 Marzo a Bruxelles e quello del Bataclan a Parigi sono il risultato. Episodio emblematico della leggerezza belga è l’inserimento di ex guerriglieri del Daesh nel personale di guardia alle centrali nucleari.
I prossimi dieci anni vedranno un radicale cambiamento della geopolitica dell’energia: il gas naturale dei fondi oceanici, del Canada, dell’Australia e della Siberia renderanno marginale la dipendenza dell’Occidente dai paesi del Golfo. La diminuita potenza finanziaria dell’islam petrolifero diminuirà l’aggressività dell’islam fanatico. Ma la guerra al terrorismo di matrice islamica in Europa va vinta prima e dall’Europa: è inutile sperare in miracolosi avvenimenti regalati da un improbabile “deus ex machina”.
Quali siano le possibilità che la sinistra di governo in Europa e in Italia sia in grado di svolgere una effettiva profonda riflessione e imporre agli istituti e agli organismi responsabili del controllo e della prevenzione, strategie efficaci, severe e rigorose è oggetto di giustificata preoccupazione se non di amaro scetticismo.
Senza una radicale svolta avremo la continuazione dell’attuale insulso verbalismo, ci saranno tragedie seguite da celebrazioni funebri di prassi e venti o trenta anni di conflitto non dichiarato, sanguinoso. Poi ci sarà la “sottomissione” descritta da Ouellebeck.
Condivido gran parte delle riflessioni di Lorenzo. Aggiungo tre considerazioni:
1) i valori
2) la simmetria
3) la guerra al terrorismo
1) Non mi piace tutto del mondo occidentale, ma considero irrinunciabili alcuni dei valori che sono emersi faticosamente da guerre mondiali, civili e rivoluzioni: la libertà, la tolleranza, la democrazia, il garantismo voltairiano, il dubbio… Non si tratta di difendere la nostra razza, la nostra religione o il nostro stile di vita, e neanche i nostri figli, ma di difendere i nostri valori. Chi viene nei nostri Paesi deve condividerli, nella forma e nella sostanza. Ma questi valori, purtroppo, in situazioni di emergenza come questa non servono per difendere se stessi, anzi sono a volte di ostacolo. Una deviazione temporanea “democraticamente controllata” da questi valori forse eviterà il rinascere della barbarie xenofoba e integralista che sempre alligna in giro per l’Europa.
2) Come si fa ad accettare la conclamata asimmetria esistente fra l’Occidente e i paesi islamici anche moderati come la Turchia? Forse questo sistematico “porgere l’altra guancia” da parte di laici progressisti è inconsapevole, forse dietro di esso non c’è il messaggio evangelico, ma un nichilistico “cupio dissolvi”. Credo che esigere il rispetto della simmetria d’ora innanzi sarà non solo opportuno ma indispensabile.
3) Molti leader europei, soprattutto francesi, dicono che siamo in guerra contro il terrorismo. Tutte le guerre hanno in realtà come obiettivo il dominio di territori e popolazioni, e come tali sono incivili “per definizione”. In questo senso, quella del terrorismo islamico contro l’Occidente è una vera e propria guerra, anche se non schiera eserciti regolari. Visitando spesso paesi musulmani cerco talvolta di intavolare qualche discussione con alcune persone moderate su temi caldi come quello di cui stiamo parlando, e provo per i loro motivi (il giorno dopo il Bataclan in Marocco uno mi disse: “in una notte di bombardamenti europei in Siria muoiono più persone che in tutti gli attentati perpetrati dai terroristi islamici in un anno”) comprensione, simpatia e perfino affinità, più che con tanti compaesani egoisti e superficiali. Ma c’è un momento in cui bisogna smettere di vedere le ragioni dell’altro. Se è vero che siamo in guerra, credo che sia paradossalmente meno incivile la guerra “ottocentesca” di quella nata nel ‘900, che chiama a raccolta le persone in nome di ideologie che contrappongono fratello a fratello. Non necessariamente combattere contro il nemico significa odiarlo. Ma riconoscere che è in atto una guerra, e difendersi, è lecito, è giusto, è indispensabile.
Condivido in sostanza le osservazioni di Lorenzo. Ma ricordo – se non sbaglio – che le aperture di Re Baldovino all’Arabia Saudita – con le conseguenze indicate da Lorenzo – erano mosse non tanto da profondi valori occidentali, ma dal fine di intrattenere buoni rapporti su chi sedeva sulla fonte del petrolio. Nè il suo predecessore Leopoldo, come ci raccontava “Cuore di tenebra” di Conrad, era spinto da filantropia quando sottometteva in quel modo il Congo, eretto a sua personale proprietà. Certamente questo non vuol dire che i nostri peccati storici giustifichino la barbarie islamista: ma se andiamo a ieri, la ingiustificata, folle e omicida invasione dell’Iraq voluta da Bush jr., dal laburista Blair con il codazzo dell’ ineffabile Berlusconi, è indicata da molti studiosi come una delle origini recentissime dello jaidismo. Né dimentichiamo – e nei fui testimone – come i fondatori di Al Queida – Bin Laden in primis – erano i “freedom fighters” sostenuti e finanziati da americani e occidentali contro “l’impero del male ” e i “senza dio” (così recitavano i manifesti nelle sedi dei movimenti dei mujaiddin a Peshawar), sovietici. Nè trascuriamo come nel 1979 il “Manifesto” e la sinistra europea acclamavano Komeini come un campione dell’anticapitalismo. E non tralasciamo che la “peste” delle etno – religioni fu corroborata da Giovanni Paolo II quando fu tra i primissimi a riconoscere – per motivi appunto etno- religiosi – la Croazia indipendente, contribuendo a gettare benzina sul fuoco della mattanza nell’ex- Jugoslavia. Ricordando questo, e pensando ad uno dei più ancestrali e sacri valori dell’Occidente: l’ospitalità, concordo con le indicazioni di Lorenzo: non credo che il re dei Feaci avrebbe così benevolmente accolto Ulisse, se questo – sbattuto dal mare sulla sua isola – avesse cominciato ad ammazzarne gli abitanti.
Con viva Cordialità
Luca Cecchini, Roma