Lorenzo Matteoli 10 Agosto 2016
Nota: questa breve riflessione contiene enormi semplificazioni e schematismi nel tentativo di spiegare in modo molto banale perché decidere 100 miliardi di Euro sia diverso dal decidere 1000 o 10.000 Euro, per capire il senso di questa differenza: la prima una decisione di filosofia monetaria, la seconda una decisione di contabilità. La riflessione ignora volutamente tutti i problemi di corruzione, spreco e clientela, per i quali si rimanda alla cronaca italiana quotidiana.
Le decisioni di spesa a livello individuale avvengono nella sfera della economia domestica e sono in genere relative e dominate dai nostri guadagni correnti e prevedibili a breve e medio termine. Sono informate da bisogni effettivi o indotti da pubblicità o da pressioni commerciali. Gran parte delle spese del bilancio domestico sono obbligate e non possono essere oggetto di scelta o volontà congiunturale: tasse, affitto, assicurazioni, abbigliamento base, telefono, benzina, riscaldamento, manutenzione casa o auto, rate di prestiti ipotecari sono spese sulle quali c’è poco margine di arbitrio soggettivo, mentre quello che rimane è denaro che può essere speso sulla base di libera scelta. Rientrano in questa categoria le spese per l’educazione, la formazione, la cultura, il divertimento, il tempo libero, lo sport, le vacanze…
Disaggregazioni simili, ovviamente con voci diverse, si possono fare per le decisioni di spesa della pubblica amministrazione ai diversi livelli: città, provincia, regione, ma sempre organizzabili nelle due categorie: quella delle spese “necessarie” e obbligate e quella delle spese sulle quali si esercita libera scelta culturale. Nei bilanci di questi centri di spesa troviamo una voce che diventa sempre più impegnativa man mano che si sale nella gerarchia ed è la voce genericamente indicata con “servizio del debito”. Le amministrazioni pubbliche ai diversi livelli spesso contraggono debiti per finanziare opere pubbliche o servizi di manutenzione eccezionale dell’ambiente costruito e del territorio. Debiti che vengono poi pagati in lunghi periodi di tempo per mezzo appunto della voce “servizio del debito”.
Il più grosso ente che contrae debiti di lungo termine è lo Stato che per far fronte ai suoi impegni, o per fare eccezionali investimenti infrastrutturali o manovre monetarie, contrae debiti con il pubblico e con le grandi istituzioni internazionali come l’International Monetary Fund, la World Bank e la Banca Centrale Europea (nelle complicate modalità previste dal suo Statuto), mediante l’emissione di “titoli” (obbligazioni, o buoni del tesoro) con diversi tassi di interesse su diversi scenari temporali.
Il debito dello Stato (che viene indicato anche come “debito sovrano”) non viene in genere restituito se non in aliquote percentualmente minime alla scadenza dei buoni o degli altri “titoli”, ma viene “servito” dal pagamento degli interessi alle diverse scadenze.
Il debito pubblico o sovrano dell’Italia è attualmente di circa 2200 miliardi di Euro e il suo servizio (pagamento degli interessi) è di circa 85 miliardi di Euro all’anno, una voce importante del bilancio dello Stato, che negli anni potrà diminuire per ridurre l’esposizione dell’Italia alla aggressione di attacchi speculativi dei mercati finanziari.
Le entrate del bilancio dello stato sono le imposte dirette e indirette pagate dai cittadini con le quali lo Stato paga la spesa corrente e il “servizio del debito”.
È a questo livello che il “denaro”, che negli esempi precedenti alle scale minori viene speso a fronte di oggetti e servizi, assume una caratteristica molto diversa dalla semplice transazione economica o macroeconomica di quando pago e ottengo immediatamente un oggetto o un servizio.
Mentre gran parte delle spese del bilancio dello Stato rientra nella categoria critica della spesa corrente analoga a quella che governa la spesa dei singoli: manutenzione del territorio e del costruito, debito vitalizio dello Stato, educazione e sanità, stipendi degli impiegati dello Stato. Alcune spese dello Stato non hanno la motivazione economica della spesa corrente. Sono gli investimenti e le operazioni che impostano e implementano strategie monetarie di lungo termine o che manovrano situazioni critiche di emergenza monetaria. I grandi investimenti con la doppia funzione di strategia monetaria e per la realizzazione di grandi opere (ponti, tunnel, grandi reti informatiche), manovre sui tassi di sconto, immissione o sottrazione di liquidità nel sistema monetario, (rispettivamente spinta della inflazione o controllo della deflazione). Operazioni che implicano decisioni del valore di centinaia di miliardi di euro, proiettate su decine di anni, a carico di milioni di soggetti. La dimensione multimiliardaria, i tempi transgenerazionali e le geografie sub-continentali o continentali interessate proiettano la decisione oltre l’interesse specificamente contabile.
In questo tipo di intervento il denaro diventa un “concetto” una “filosofia” difficilmente trattabile con i criteri che connotano le modalità “contabili” microeconomiche o macroeconomiche.
Quando uno Stato, o un gruppo di Stati che utilizzano una unica moneta attraverso la loro banca centrale, “stampano” carta moneta per decine o centinaia di miliardi e li mettono in circolazione secondo le diverse modalità (comprando titoli del debito sovrano, ricapitalizzando banche, o finanziando grandi opere infrastrutturali) in pratica, attraverso la diminuzione del valore della moneta provocata dall’aumento della liquidità in circolazione (inflazione), raccoglie denaro dai milioni di cittadini. Il valore della moneta in circolazione viene poi recuperato dall’aumento del valore delle infrastrutture e dai maggiori rendimenti che gli investimenti consentono e quindi dal maggiore gettito fiscale conseguente e nell’arco di 5, 10, 20 anni restituito dal riscatto dei titoli e delle obbligazioni nel frattempo emessi dai governi del paese o dei vari paesi. I tempi di ritorno sono decine di anni, i soggetti interessati sono centinaia di milioni di contribuenti, per cifre individuali non sempre relativamente contenute. Il peso fiscale per i singoli contribuenti di una moderna società post-industriale si aggira sul 50% del reddito.
Per questo la decisione immediata, politica, di potenza economica e finanziaria inconcepibile per gli individui, (pochi sono in grado di concepire la realtà di cento miliardi di Euro, centomila milioni di euro), in realtà ha la valenza ineffabile di un concetto filosofico, di una virtualità. Non può essere soggetta a criteri schematicamente contabili.
È vero che nel corso successivo della sequenza storica le centinaia di miliardi diventano di nuovo milioni di decisioni di portata individuale microeconomica, ma all’atto della decisione “di politica finanziaria o monetaria”, le centinaia di miliardi sono una filosofia, un’idea, che ha poco a che vedere con il denaro come lo strumento di scambio a noi noto nel vivere quotidiano.
La “decisione politica finanziaria o monetaria” modifica, in meglio o in peggio, il contesto economico generale e le condizioni sociali nelle quali i contribuenti lavorano, guadagnano e spendono. Contesto che inevitabilmente condiziona lo standard di vita e quindi le decisioni di spesa dei singoli soggetti dell’immane mercato. In questo modo, indiretto e mediato, la filosofia iniziale torna nel campo economico e informa in modo positivo o negativo la realtà quotidiana.
Il gesto economico che lega la vita dei singoli soggetti fiscali alla “decisione di politica finanziaria” è quello del pagamento delle tasse. Un gesto di squisita valenza etica: il sigillo della partecipazione di ognuno alla vita dello Stato. Un gesto di fondamentale importanza che comporta sempre sacrificio e impegno: il prezzo del contratto di “appartenenza” e identità.
In questo senso la famosa dichiarazione di Tommaso Padoa Schioppa che disse: ”Pagare le tasse è bello!” era una grande, seria, responsabile verità. E glie ne va dato atto … alla memoria.
A quel tempo la riflessione del Ministro Padoa Schioppa fu oggetto di critica stupida da parte della maggior parte dei media e del giornalismo conforme.
Uno dei problemi italiani è la mediocrità dei media e dei loro addetti.