Il nemico dentro

Lorenzo Matteoli

Scarborough 18 Marzo, 2017

Nell’articolo che allego Massimo Fini sul Fatto Quotidiano svolge in modo ben documentato l’assunto che i “veri nemici” dell’Europa sono gli Stati Uniti. Non ripeto gli argomenti di Massimo Fini che condivido, faccio qualche altra considerazione sul tema e cerco di rispondere alla domanda: “E allora che si fa?”

La subalternità dell’Europa agli Stati Uniti, per la quale Charles De Gaulle aveva avuto forte sospetto, nasce alla fine della Seconda Guerra Mondiale quando l’Esercito Americano è intervenuto e ha salvato l’Europa dal dominio nazista che senza l’intervento americano avrebbe sicuramente vinto: 72 anni fa.

Per l’Italia la subalternità si è consolidata negli ultimi anni ‘40 e negli anni ‘50 perché il Patto Atlantico (NATO) a trazione eminentemente USA, è stata la barriera per tenere il nostro paese fuori da un possibile inglobamento nel blocco sovietico. Nei successivi 60 anni l’Europa e l’Italia hanno onorato il debito contratto con gli Stati Uniti con lealtà, sacrifici e non pochi privilegi concessi all’economia e alla finanza USA. L’ultimo episodio e quello che sta ancora imponendo enormi sacrifici è stata la grande crisi finanziaria del 2008. L’Europa e il resto del mondo hanno subito le conseguenze dell’immane furto finanziario perpetrato da Wall Street, hanno pagato e pagheranno ancora cifre imprecisate di titoli che non valgono nemmeno la carta sulla quale sono stati stampati e che le banche americane hanno venduto in Europa per ottimi Euro.

Solo in apparenza una battuta scherzosa quella di Luciana Litizzetto, citata da Fini, che si chiede “Quando finisce l’ipoteca?”

Purtroppo “l’ipoteca” non è solo economica/finanziaria/bancaria: è culturale, tecnologica, politica, antropologica, sociale e storica. Dimensioni molto più complesse e difficili da gestire del semplice dato economico/finanziario.

Gli Stati Uniti sono un’entità geopolitica che non può essere semplificata allo stereotipo dei “cowboys e dei gangsters”, anche se molte delle manifestazioni del militarismo/imperialismo americano possono venire collocate sotto quella etichetta. Dopo quasi tre generazioni di subalternità il recupero di una vera autonomia europea richiede una strategia di lungo termine e una visione politica emi-secolare. Insieme al recupero dell’autonomia vanno tutelati i “valori” occidentali dell’Europa e delI’Italia che oggi sono informati dai valori nominali, e non necessariamente e sempre sostanziali, della democrazia USA, ma partecipano in modo molto più portante della lunga e difficile storia Europea, di rivoluzioni, di miserie di guerre dinastiche e nazionali e anche di vere conquiste sociali.

Non sono sicuro se, riferendosi a Donald Trump e al suo governo, Federica Mogherini si sia resa effettivamente conto dell’epocale cambiamento che deve essere concepito, istruito e gestito, quando dichiara che si apre una fase nuova, più pragmatica nei rapporti tra Europa e Stati Uniti” e che ora “dovremo di volta in volta stabilire quali siano i nostri interessi, su cosa potremo lavorare insieme.”

Ma è positivo che la percezione della necessità di un cambiamento sia sentita e dichiarata a quei livelli. L’approfondimento esecutivo seguirà, ma è necessario un enorme lavoro culturale e politico per affrontare e dare seguito alla poderosa virata nella sostanza sociale, macroeconomica, finanziaria, industriale, militare. Tanto sono profondi, strutturali e articolati i legami che si sono consolidati in 70 anni di storia fra l’Europa e gli Stati Uniti.

Un lavoro per il quale oggi mancano anche le più vaghe premesse, con buona pace di Federica Mogherini. Prima fra tutte quella di una solida, sentita identità Europea e di una compatta volontà dei Paesi membri dell’Unione di proseguire nella realizzazione della visione quasi utopica di un’Europa Unita. Oggi in forte crisi.

La “fase nuova” ha bisogno di Istituti, strutture, pensiero e fondamenti ideologici, progetto economico e finanziario, norme e volontà politica senza animosità e nel rispetto della storia.  Ha bisogno soprattutto di opinione pubblica informata e responsabile e di rappresentanza politica all’altezza del compito.

Una riflessione che potrebbe indurre pessimismo se si tiene presente l’attuale panorama della politica europea e dei suoi attori.

Ma i grandi personaggi nascono con le grandi sfide e sicuramente il riscatto dell’Europa dalla subalternità americana è forse la sfida più importante del mondo post-globale.

In avanti: evitando l’involuzione oscura del populismo provinciale.

È necessario e indispensabile muoversi verso la nuova utopia di un mondo molto migliore di quello cosiddetto globale con meno ingiusti privilegi e meno miserie, ancora più ingiuste.

Una utopia sicuramente più Europea che Americana.

Avanti dunque!

LM

Gli americani che spiano tutti sono i nostri peggiori nemici 

Quando gli europei capiranno che il loro principale nemico sono gli americani? Che cosa dovrebbe ancora avvenire perché se ne rendano conto? Pensiamo, per un attimo, a una situazione invertita: che una centrale di spionaggio e di hackeraggio tedesca fosse piazzata se non proprio a Washington a Boston o in qualche altra grande città degli Stati Uniti. Si scatenerebbe immediatamente una bufera e verrebbero riesumati i fantasmi, sempre utili, di Hitler e dei nazisti. Gli americani non sono nazisti, anche se in alcune loro operazioni all’estero vi assomigliano parecchio, ma, come ammette anche Sergio Romano sul Corriere della Sera, sono militaristi e ovviamente imperialisti. Sono insieme all’ex Unione Sovietica i veri vincitori dell’ultima guerra mondiale. L’Europa è stata la sconfitta, colpevolmente sconfitta perché in un secolo è riuscita a farsi due guerre fratricide. Fra i vincitori c’è anche la Gran Bretagna, ma la Gran Bretagna avendo perso il suo impero coloniale ha avuto nel dopoguerra un’importanza decisamente minore e inoltre è europea solo a metà e una sorta di sentinella degli interessi politici e militari degli Usa nel Vecchio Continente (che sia europea a metà l’ha dimostrato la Brexit che invece che come una maledizione dovrebbe essere presa come una benedizione perché ci toglie di torno questo ambiguo coinquilino). In quanto alla Francia, che era stata fascista non meno dell’Italia, la si è fatta sedere al tavolo dei vincitori per salvare le apparenze ma, ad onta dei goffi esercizi muscolari del gollismo, ha contato poco più di nulla.

A Yalta, nel febbraio del 1945, americani e sovietici si divisero l’Europa e il muro di Berlino è stato per 45 anni il simbolo di questa divisione. L’Europa occidentale è andata agli Stati Uniti, quella orientale all’Unione Sovietica. Urss nel frattempo è naufragata, anche se adesso la Russia, sotto Putin, sta recuperando le sue dimensioni di grande potenza, ma l’America è rimasta intatta come Superpotenza e più forte che mai dopo l’indebolimento del suo storico contraltare. E quindi da più di 75 anni che l’Europa è sotto tutela americana. Una tutela che ci è stata fatta pagare carissima in termini militari, politici, economici, culturali e anche linguistici. Quando Adenauer, De Gasperi e Spaak pensarono a un’Europa unita, per evitare altre guerre fratricide, sapevano benissimo che questa Europa avrebbe dovuto nascere prima politica e militare e solo in seguito economica. Ma sapevano anche che gli americani ce l’avrebbero impedito. Così l’Europa è venuta formandosi faticosamente attraverso successive integrazioni economiche che ci hanno portato alla traballante situazione attuale, ma senza avere una vera unità politica e nemmeno una forza militare (come si dice abitualmente: una potenza economica, ma un nano politico). Quando a metà degli anni Ottanta tedeschi e francesi tentarono di costituire un primo nucleo di un esercito europeo gli americani li bloccarono. Che bisogno c’era, dissero, di una difesa autonoma europea quando a questa provvedeva la NATO? Ma la NATO è un’alleanza totalmente sperequata, nel pieno possesso degli Stati Uniti ed è stata proprio uno degli strumenti con cui gli americani hanno tenuto, e tengono, in stato di minorità il Vecchio Continente (“la vecchia e stanca Europa” come la definì sprezzantemente Colin Powell).

Anche dal punto di vista economico gli Stati Uniti hanno fatto quello che hanno voluto facendo ricadere le loro dissennatezze sugli europei. La crisi che l’Europa sta attualmente vivendo discende direttamente dal collasso della Lehman Brothers del 2008 (così come era partita dall’America la crisi del ’29 cui però l’Europa poté resistere meglio, fascismo italiano in testa, perché il mondo non era così integrato e globalizzato). A questa crisi gli americani hanno reagito immettendo nel sistema tre trilioni di dollari. Così è facile riprendersi ma si crea una bolla speculativa enorme che prima o poi ricadrà addosso a tutti con conseguenze devastanti rispetto alle quali la crisi del 2008 sembrerà uno zuccherino. L’Europa invece, principalmente sotto la guida di Angela Merkel, si è costretta a una politica di austerity, giusta in astratto per non creare un ulteriore bolla speculativa, ma inutile di fatto se i competitors americani si comportano come si comportano e come se nulla fosse successo.

Dopo la caduta del muro di Berlino, venuto meno per il momento il contraltare russo, gli americani hanno scatenato tutta la loro aggressività e volontà di potenza con conseguenze che sono ricadute per intero sul Vecchio Continente.

Nel 1999, quando l’11 settembre era di là da venire, guerra alla Serbia, europea e di religione ortodossa e, oltretutto, con la grave colpa di essere rimasto l’ultimo Stato paracomunista del Vecchio Continente. Poi c’è la lunga filiera delle aggressioni, con i pretesti più vari e spesso totalmente infondati: Afghanistan 2001, Iraq 2003, Somalia 2006/2007, Libia 2011. Tutte queste aggressioni le ha pagate l’Europa perché i Paesi musulmani, con l’eccezione dell’Afghanistan che fa caso a sé, sono alle nostre porte di casa mentre gli Stati Uniti li hanno a diecimila chilometri di distanza. Di qui le migrazioni dal Medio Oriente in guerra, combinate con quelle dell’Africa subsahariana che l’intero Occidente, e non solo gli Stati Uniti, ha contribuito a destrutturare culturalmente e socialmente riducendola alla fame. E le migrazioni sconquassano l’Europa ponendola in una situazione difficilissima dove si combatte una guerra fra poveri, i nostri e quelli che vengono da fuori.

Adesso Wikileaks ci informa, documenti alla mano, di ciò che in realtà sapevamo da tempo: che gli americani ci spiano, spiano i nostri politici, spiano le nostre aziende, spiano i cittadini comuni. Un alleato che spia i propri alleati è un alleato leale? E’ un vero alleato o non piuttosto un nemico da temere? L’Europa, se vuole sopravvivere, deve liberarsi al più presto di questo ‘alleato’ come ha avuto il coraggio di fare perfino il filippino Duterte. Approfittando delle incertezze di Donald Trump deve denunciare il Patto Atlantico, uscirne e rimandare a casa le basi NATO e le basi americane, che godono di una inammissibile extraterritorialità che mina la nostra sovranità, presenti in gran numero in Germania e in Italia. E’ vero che gli americani, insieme agli inglesi, ai neozelandesi, ai marocchini e persino ai razzisti sudafricani, ci hanno liberato dal nazifascismo. Ma sono passati 75 anni da allora. Come ha detto Luciana Littizzetto (a volte i comici, con la sinteticità della battuta, sono più chiari ed efficaci dei politici) “quando scade il mutuo?”. Secondo noi il mutuo è scaduto da tempo e l’Europa non ha più alcuna convenienza a pagarne gli enormi interessi.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 11 marzo 2017

Informazioni su matteolilorenzo

Architetto, Professore in Pensione (Politecnico di Torino, Tecnologia dell'Architettura), esperto in climatologia urbana ed edilizia, energia/ambiente/economia. Vivo in Australia dal 1993
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5 risposte a Il nemico dentro

  1. Antonio Casella ha detto:

    Veramente un bell’articolo che il mainstream anglofone non avrebbe mai pubblicato.

    Grazie per avermelo mandato, Lorenzo.

    A presto

    Antonio

  2. Carlo Del Corso (Carlosky) ha detto:

    Ma perché`ce ne accorgiamo solo adesso? Forse perché` con Obama l`EU era tutta culo e camicia?

    • Lorenzo Matteoli ha detto:

      Con il crollo del muro di Berlino è crollato il comunismo ma come acutamente fece notare Guido Bodrato (eravamo in Consiglio Comunale insieme quella sera) sarebbe automaticamente crollato anche l’anticomunismo. Ma il mainstream è rimasto per molti anni ancora legato al pensiero conforme nonostante Vietnam, Iraq, Afghanistan. Adesso forse per l’odioso furto mondiale provocato dalla GCF del 2008, la gente comincia a rendesene conto, ma la nostra generazione (70-80 anni) è stata condizionata dall’American dream postbellico in modo difficilmente eludibile.

  3. Claudia Caramanti ha detto:

    Tutte cose che sapevo. Condivido. Bellissimi articoli.
    Gli americani ci invidiano.
    La nostra cultura, la bellezza!
    Molti europei non sanno. Non capiscono
    La russia ha la stessa cultura. I grandi classici sono i russi.
    Avanti tutta!!

  4. caramanti@libero.it ha detto:

    Caro Lorenzo Da anni ormai penso che gli USA fanno guerra all ‘Europa. Ci invidiano. Invidia causa di tutti i mali. Guerre, in famiglia come tra popoli. Si servono della Turchia certamente. Poi Saudi arabia e Israele. Le guerre in Medio oriente servono a questo. E noi europei, con una classe politica inetta, non abbiamo capito nulla. Non  uniamo le forze e le nostre culture ma litighiamo. L’America mi piace sempre meno. Il Sud e centro America poi mi fa tristezza. Ciao. Claudia

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