C’è qualcosa di sospetto nel riflusso diffuso contro Matteo Renzi che va oltre l’irritazione per i suoi comportamenti giovanili e spocchiosi e per i suoi errori.
Anche se il momento non è decisamente favorevole per spezzare una lancia a favore di Renzi e dei suoi amici, magici o meno che siano, qualche riflessione si impone.
L’accusa di fondo è di non essere stato all’altezza della ‘promessa’: alla fine non ha rottamato nulla e siamo al punto di prima. Grandi riforme non si sono viste e le vecchie tare della Seconda Repubblica sono sempre sulla scena: debito, burocrazia, inefficienza, tasse, evasione fiscale, decadenza della scuola e pantano dell’Università. Questo in campo nazionale. I rapporti con l’Europa…meglio non parlarne.
E allora?
La grande intuizione di Renzi era stata di aver capito che il diagramma politico italiano destra/sinistra non aveva più campo. I due concetti erano entrati in crisi da tempo e non avevano riscontro con l’opinione corrente e la cultura reale del paese.
Quello che Renzi voleva ‘rottamare’ era l’armamentario ideologico/culturale di quella che ancora si chiamava ‘sinistra’ e che aveva occupato con successo il potere in Italia con una manovra di trasformazione e slittamento ufficiosa, non dichiarata, ma esercitata nella prassi in sintonia con un analogo slittamento della DC.
Ma ‘rottamare’ era una linea negativa non costruttiva, l’intento innovatore ne era tradito, la diversità di Renzi anche.
Dire che Matteo Renzi aveva sottovalutato il problema è un eufemismo. Cambiare una cultura politica e di potere che si è consolidata in Italia per 40 o 50 anni di governi DC/PCI non è uno scherzo da boy scout. Forse non si è trattato nemmeno di sottovalutazione: Renzi non aveva proprio capito quale mostro stava titillando con il suo entusiasmo rottamatorio giovanile. Dietro la dialettica furba e cripto-intelligente di Dalema e dietro le battute di sagacia popolare emiliana di Bersani si nascondeva un ectoplasma di potere consolidato e incancrenito nel ‘sistema Italia’ che non aveva nessuna intenzione di cogliere e assumere in termini programmatici il segnale che veniva dall’interno del PD (nemo propheta in patria) e hanno alzato le barricate classiche: resistenza fangosa, settarismo delle correnti interne, dialetticologia, prima e alla fine la scissione della ‘verasinistra’ con la fondazione di Liberi ed Uguali (uguali come in uno eguale e uno?).
La sottovalutazione, o non valutazione, di Renzi e la caparbietà dello zoccolo duro di un PD che non ha ancora attraversato il guado e che è fortemente ancorato al potere consolidato negli ultimi 40 anni, hanno portato alla situazione attuale.
La proposta di rinnovamento, male rappresentata dall’infelice termine di rottamazione, e di uscita del vecchio paradigma della sinistra di potere è stata bocciata dal PD, ma è stata colta da altri personaggi del teatro politico: Grillo, Di Maio, Salvini, e dallo stesso redivivo Berlusconi. Per quanto improbabile possa sembrare.
I PD si è smembrato in beghe interne, bisticci insanabili, personali e caratteriali: ci ha provato pateticamente Pisapia, evidentemente non abilitato al compito. Ci sta provando con pazienza appresa alle Frattocchie Piero Fassino (vecchia scuola), per ora anche lui senza molto successo: la visceralità dei vecchi marpioni è più forte della razio.
Matteo Renzi ha oggi 40 giorni di tempo per rimediare agli errori commessi e recuperare il suo progetto di rinnovamento progressista. Deve fare proposte serie, evitare la demagogia, dire le cose come stanno e contare sul fatto che l’elettorato italiano è abbastanza intelligente per capire.
Il vero pericolo è l’ondata modaiola dei media omologhi che seguono la implicita parola d’ordine: far fuori Renzi. Ma cascare nelle mani di Dalema, Bersani, Di Maio, Berlusconi, Salvini secondo me sarebbe peggio di una linea Gentiloni-Renzi.
Se Matteo impara la lezione, e se era veramente ‘diverso’.
Caro Lorenzo, Renzi ha distrutto il riformismo italiano per i prossimi dieci anni. Superficialità, megalomania, incapacità di scegliersi i collaboratori, perdita progressiva di credibilità. La gente ormai ride quando parla. Persino Gentiloni al suo confronto, pur nel suo grigiore, ha più credito. Non c’è niente da fare. Il caso è chiuso. Il suo unico merito è di aver liquidato la nomenclatura pci. Ma non in nome di un moderno disegno di socialismo liberale, ma di un generico giovanilismo senza contenuti. E farà quindi la fine che merita, dopo aver bruciato una grande opportunità storica.
Scusa la franchezza, ma sono iscritto a Pd e vedo con i miei occhi.
Buon anno e a presto. Giusi
Hai ragione, la liquidazione della nomenclatura e del bagaglio ideologico residuo del vecchio PCI non è un merito da poco, Ci sono comunque responsabilità anche di altri nei suoi errori, it takes two to tango, Se l’apertura iniziale fosse stata colta dal PD con una dialettica diversa … forse “avrebbe imparato”. Il potenziale del suo giovanilismo è stato sprecato. Peccato. Ma ogni. “rottura” è anche una opportunità se viene sfruttata in avanti. Come dice Popper si procede per errori. Auguri anche a te. Lorenzo