Dialogando con Giusi.
Giusi La Ganga ha bocciato senza riscatto la mia tenue apertura di credito a Matteo Renzi. Scrive Giusi: “Superficialità, megalomania, incapacità di scegliersi i collaboratori, perdita progressiva di credibilità.” Tutto vero. La mancanza di un ‘progetto’ per la realtà critica del Paese è forse stato l’errore principale. E, contrariamente alle mie ipotesi di plausibile apprendimento del soggetto, proprio di ieri è il segnale che questo vuoto è ancora da riempire. Infatti la proposta di abolire il canone RAI è un esempio della disarmante distanza di Renzi dalla realtà. Rispetto alle montagne delle vere priorità italiane il canone RAI è un granello di sabbia (spesa pubblica, debito sovrano, strategie di sviluppo industriale, lavoro, fisco, emarginazione, scuola, giustizia, università, ricerca…). Ma Renzi preferisce l’impatto demagogico alla sostanza. Non impara.
Un partito serio oggi in Italia non fa promesse demagogiche, ma dice le cose come stanno e l’unica cosa che può promettere è la drammatica terna churchilliana: “blood, toil, tears and sweat” (sangue fatica, lacrime e sudore, 13 maggio 1940).
Ma un Partito non è solo ‘il segretario’ e l’isolamento di Renzi nel suo giovanilismo è la conseguenza della rigidità che ha caratterizzato la dialettica interna del PD.
Bisogna chiedersi dove era nel PD pre-Renzi il ‘moderno disegno di socialismo liberale’ e dove era nel PD il ‘il riformismo italiano’ che Renzi avrebbe distrutto. Dalema? Bersani? Franceschini?…e anche su Piero Fassino avrei dei dubbi a qualificarlo come latore di un moderno disegno di socialismo liberale. Ho conosciuto la sua ‘dialettica’ quando era all’opposizione nel Consiglio Comunale di Torino, può darsi che sia cambiato negli ultimi anni ma non è certo un qualificato rappresentante del ‘riformismo italiano’.
Quindi Renzi ha distrutto qualcosa che non era mai nato nel PD e che nel PSI di nostra memoria proprio il PCI aveva lottato per uccidere. E ci era riuscito se ricordiamo i fescennini della inquisizione giustizialista.
Se basta uno per distruggere una figura ideologica vuol dire che quella figura è inconsistente.
Ora bisogna utilizzare al meglio l’unica cosa importante che ha fatto Renzi, come scrivi tu: ‘Il suo unico merito è di aver liquidato la nomenclatura pci.’ Che secondo me non è poco.
E andare avanti, senza buttare via con Renzi, anche quella fondamentale opzione. Bisogna rifondare il partito come luogo di dibattito, formazione, critica e documentazione e non come luogo di scontro fra caratterialità, narcisismi, litigi di cortile e faide di potere.
Se ci fosse stato nel PD pre-Renzi questo tessuto e questo spessore il suo giovanilismo e i suoi errori sarebbero stati filtrati, moderati e la spinta di rottura non sarebbe stata la sterile rottamazione, ma una solida ricostruzione.
Per dire che il fallimento di oggi non è solo una personale responsabilità di Renzi.
Nella mia esperienza nel PSI ricordo bene, con affetto e nostalgia, le nottate passate nelle sezioni della barriera torinese a parlare con i compagni della ‘base’ molto più preparati, informati e maturi politicamente dei miei colleghi della Facoltà, professori dell’Università, ma politicamente analfabeti. La maturità e la preparazione della base era la stoffa del partito, la struttura ideale che risaliva ai vertici e alla fine ne informava l’azione. Un patrimonio che si è perso con il giustizialismo degli anni ‘90.
Bisogna ancora fondarlo, nella sinistra italiana sfasciata, il contesto per ‘un moderno disegno di socialismo liberale’.