Nel 2013 Moisés Naìm[1]pubblicava ‘The end of power’, edito in Italia nell’Aprile del 2013 da Mondadori con il titolo ‘La Fine del Potere’. Un libro ancora oggi molto attuale, forse ancora più attuale di quanto non sia stato nel 2013, perché la dinamica che sconvolge le regole della conquista e della conservazione del potere nel 2018 è molto più evidente, presente ed efficace di quanto non lo fosse anche solo 5 anni fa.
Il tema si presta a semplificazioni grossolane e nel trattarlo è necessario fare attenzione a non cadere nella vulgata corrente da “bar sport”.
Sulla base delle complesse analisi di Moisés Naìm vorrei svolgere qualche corollario italiano e tentare una proiezione di breve medio termine di alcune plausibili alternative. Contrariamente alla formula del titolo del libro di Moisés Naìm il ‘potere’ non è alla ‘fine’: quello che finisce è la grammatica della sua distribuzione nelle democrazie avanzate occidentali.
Perché il ‘contenuto di potere’ inteso come valore assoluto della capacità di decidere (e di non decidere) di una società civile politica è una costante. Se si sommano tutte le decisioni e le non decisioni prese in una determinata unità storica di tempo in una data società civile politica è possibile affermare che questa somma è costante nel tempo. Non sono costanti invece i cambiamenti conseguenza dei processi decisionali.
Vale l’identità tra decisione/non decisione: infatti dal punto di vista dell’esercizio del potere decidere e non decidere sono due operazioni equivalenti. Con la decisione si orienta il cambiamento secondo una determinata volontà, con la non decisione si lascia che il cambiamento avvenga secondo dinamiche accidentali, casuali, non controllate.
Dove non è detto che le conseguenze della decisione siano necessariamente migliori di quelle della non decisione. Si presume che lo siano. Ma questo è un altro dibattito.
In termini di sintetica semplificazione quello che sta avvenendo da tempo nelle democrazie occidentali è la modifica del modello distributivo del potere: da un modello formalmente definito istruito da precise regole e gestito da specifici istituti, si sta passando (si è passati) a un modello diffuso, articolato, complesso e indefinito. Ineffabile. Le decisioni vengono prese (o non prese che è lo stesso) da un soggetto sistemico diffuso al limite della polverizzazione, dove le responsabilità non hanno identità specifica collocabile in soggetti/istituti politici o tecnici individuabili. Le gerarchie tecniche e politiche ci sono: ministri, assessori, dirigenti esecutivi, amministratori …solo in apparenza ‘decidono’ strategie, investimenti, vendite, acquisti, programmi e piani tattici. In realtà ‘avallano’ volontà esecutive che si sono formate fuori dalle loro competenze e dai loro uffici, secondo procedure non scritte e nemmeno formulate dialetticamente. Dominate da un sistema strumentalmente manipolabile dai mezzi di informazione, o da centri di potere oscuri, anonimi.
Per avere una figura del significato del precedente paragrafo bisogna immaginare un processo diffuso, spalmato, distribuito nel tempo e nello spazio, animato da una molteplicità di soggetti.
In quella figura esistono ancora i “capi” che comandano e dicono si fa così, si fa cosà, e se ne assumono la responsabilità, ma in realtà si tratta di pochissimi esempi. La massa delle decisioni non ha quella matrice. La fluidità, la plasticità del modello distributivo del potere decisionale nelle sue diversissime attuali articolazioni rende difficile una sua descrizione pratica.
Secondo alcuni questa caratteristica è ottimale e rappresenta il massimo livello di civiltà democratica: l’ectoplasma sociale metabolizza e produce le decisioni che rappresentano automaticamente la essenza ultima della volontà del popolo. Il meglio.
Secondo altri questa situazione è il massimo degrado della democrazia rappresentativa, l’ultimo livello di entropia concepibile, il massimo disordine. La catastrofe.
Sono possibili le due cose.
- Se il sistema civile politico è caratterizzato da massima competenza dei soggetti individuali che lo partecipano, sul piano tecnico, gestionale e culturale le decisioni prodotte dall’ectoplasma sociale saranno ottime: competenti, tecnicamente corrette, fattibili e vincenti.
- Se invece il sistema non ha quel livello di maturità tecnica e culturale le decisioni (e le non decisioni) saranno più o meno disastrose a seconda del livello di competenza del sistema dal quale vengono metabolizzate.
È evidente il corollario: nemmeno la più ottimistica valutazione del livello di competenza e di maturità complessiva di un sistema civile politico attuale può riconoscergli la capacità di decidere alcunché. La maturità complessiva è quella di un bambino di 8 anni, aggravata dalla manipolazione mediatica, lo stesso vale per le competenze conoscitive.
Bisogna quindi recuperare la qualità delle decisioni dei sistemi civili politici operando su due linee:
- sul lungo termine aumentare la competenza e la maturità dei soggetti individuali e collettivi;
- sul breve termine riqualificare le procedure di preparazione e selezione delle classi dirigenti culturali, tecniche e politiche perché la scelta e la delega dei rappresentanti porti nelle posizioni decisionali il personale più competente e qualificato possibile.
Oltre a queste due linee strategiche, una volta che ci si sia assicurata la competenza e la maturità dei delegati a questi va data fiducia e mandato.
Una prospettiva drammatica per la situazione italiana attuale caratterizzata da rappresentanti eletti di bassissimo livello culturale che, oltre ad essere incompetenti, mancano della più elementare preparazione culturale e sensibilità critica per scegliere consulenti e collaboratori e sono quindi pericolosamente esposti al millantato credito, alla ciarlataneria e finiscono sotto il controllo di soggetti equivoci, potenzialmente corrotti o corruttibili (cfr. situazione attuale romana).
Questa situazione è ulteriormente aggravata dal fatto che i soggetti attualmente al potere oltre che incompetenti e generalmente ignoranti di leggi, procedure, regole, burocrazia economia e macroeconomia, sono anche molto presuntuosi e credono di essere interpreti unici dell’unica verità. Un fatto che aggiunge drammatico pericolo alla figura complessiva della vicenda attuale italiana.
Il primo passo per la riqualificazione delle competenze decisionali della democrazia rappresentativa è la revisione del suffragio universale: chi ha il diritto di votare ha il dovere di sapere cosa vota. Il diritto al voto comporta un dovere di conoscere che va verificato. Una vera democrazia rappresentativa avrà delegati competenti solo se eletti da un elettorato competente. Che il voto universale sia automaticamente competente è una presunzione catastrofica e il degrado delle democrazie attuali lo prova in modo incontestabile.
Difficilmente nel clima attuale di sciocca correttezza politica si avrà il buon senso di riconoscere questa banale evidenza. Prevarrà la cieca demagogia e la catastrofe conseguente sarà inevitabile.
(l.matteoli)
In 2014 and 2015, Dr. Naím was ranked among the top 100 influential global thought leaders by Gottlieb Duttweiler Institute (GDI) for work in his latest book, The End of Power.[He is the former Minister of Trade and Industry for Venezuela and Executive Director of the World Bank. (from Wikipedia)
Sul potere il 19 Novembre 2012 scrivevo questo commento:
https://matteolilorenzo.blog/2012/11/19/il-potere-come-sistema-rete/