Uno scenario che non è mai stato così teso, complicato e minaccioso: le tensioni nell’Eurozona, lo scontro nella UE con il gruppo di Visegrad, la polemica fra Macron e l’Italia di Salvini, il populismo demagogico in Italia, l’incognita del semestre di presidenza austriaca della UE, la ambigua situazione di Brexit, la guerra commerciale Trump contro il resto del mondo, la crisi della coalizione CDU/SPD al governo della Repubblica Federale Tedesca, la provocazione continua della Turchia di Erdogan.
C’è da avere paura: in questa generale condizione di aleatorietà e tensione, basta poco per innescare dinamiche catastrofiche incontrollabili.
Due elementi sono in particolare preoccupanti: la mancanza di solidarietà fra gli alleati europei e la estrema fragilità dell’Euro che non sarebbe in grado di reggere a una crisi politica della UE. Anche il famoso “whatever it takes” di Mario Draghi sarebbe travolto.
Vuoto di solidarietà e fragilità della moneta comune sono problemi strettamente collegati.
Senza una base di solidarietà e di comune sensibilità sulle strategie di medio lungo termine non si risolve il problema dei migranti e non si risolve la lunga viscosa crisi della moneta comune.
E’ oramai chiaro che la moneta comune, per vizi di nascita, è fragilissima ed è sempre più esposta ad attacchi speculativi: la diversità fra i paesi partecipanti impedisce una gestione macroeconomica comune efficace. La BCE non ha strumenti né mandato per intervenire, non basta il QE e gli interventi sul tasso di sconto, se vanno bene per alcuni paesi, vanno malissimo per altri. Mario Draghi ha già operato a sbalzo e con enorme rischio personale.
Il sistema Euro si sta avvitando in una involuzione irrimediabilmente divergente: alcuni paesi si arricchiscono e altri diventano sempre più poveri, mancano gli strumenti politici per indirizzare gli investimenti dai paesi in attivo sulla bilancia dei pagamenti verso la periferia dei i paesi in passivo. Il trattato di Maastricht, basato sull’assunto falso della perfezione dei mercati, deve essere radicalmente ridisegnato. Senza revisione dei trattati restano la catastrofe dell’uscita unilaterale oppure una lunga soffocante asfissia garantita dalla moneta comune malata nella costosa attesa che maturino poco probabili condizioni diverse.
Un dilemma impossibile da valutare fra due opzioni comunque inaccettabili.
La terza via è lo smantellamento concertato del sistema: politicamente difficilissimo da proporre e da praticare.
La revisione dei trattati richiede solidarietà e sensibilità condivisa: una condizione che in questo momento manca. Anche se tutti i paesi sono convinti della ineluttabile decadenza alla quale la moneta comune ci sta condannando, le riforme e i cambiamenti necessari sono di segno diverso per le diverse situazioni macroeconomiche e sociali dei vari paesi.
Una moneta comune strutturalmente solida e assistita da tutti gli strumenti necessari alla sua gestione sui mercati finanziari, potrebbe garantire crescita, occupazione e sicurezza macroeconomica a tutti i paesi. All’inizio ci sarebbero difficoltà, ma sui tempi lunghi i vantaggi sarebbero sicuri. Per questa ragione sono necessarie la solidarietà e la comunità di intenti che non ci sono: le premesse fondamentali per impostare l’unione politica necessaria alla gestione dell’unione monetaria.
Tutto può saltare nei prossimi giorni e per effetto dell’imbroglio di male intese sovranità e di ego personali ci sono buone probabilità che questo accada, ma c’è anche la possibilità che, di fronte al disastro della perdita di un investimento politico storico senza precedenti e alla rinuncia al più importante progetto geopolitico nella storia europea di secoli, ci sia una collegiale responsabile riflessione e si inneschi un ciclo virtuoso per riprendere il percorso verso la nuova Europa.