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Il figlio del secolo
Di Antonio Scurati
Spesso mi sono chiesto come ha fatto la generazione dei nostri genitori, quelli nati tra il 1905 e il 1915, a cadere nell’incubo del nazional-socialismo e delle successive tragedie mondiali che da quella ideologia e dalle sue degenerazioni sono derivate.
Osservare i documentari dell’Istituto LUCE con le folle oceaniche fanatizzate dalla retorica di Mussolini, che oggi suona francamente grottesca se non pacchiana, è una esperienza imbarazzante. È vero che noi sappiamo cose che quelle folle non sapevano, ma la retorica generale, il culto del destino imperiale dell’Italia, l’aggettivazione dei valori dei fasci di combattimento, l’arroganza dei capi popolo e, particolarmente vergognoso, il vaniloquio sulla razza, oggi sembrano modi, stili, idee, valori che non avrebbero dovuto lasciare molti dubbi anche alla cultura più schematica. Evidentemente così non era cento anni fa e capire resta difficile: elaborare la distanza culturale di quasi un secolo di storia non è così semplice.
Poi guardiamo i nostri attuali governanti, sentiamo i loro discorsi, osserviamo i loro comportamenti. Lo stile, la smaccata demagogia, la deformazione dei fatti, la puerile manipolazione delle narrative, e l’imbarazzo diventa preoccupazione seria. Qualcosa di grave sta succedendo, è successo, al pensiero laico/liberal nel quale siamo cresciuti e abbiamo operato negli ultimi 60 anni di democrazia italiana. Un virus maligno si è impadronito della cultura socialdemocratica che ritenevamo solidamente vaccinata nei confronti di qualunque aberrazione di destra e di sinistra.
Non abbiamo pensato alle “non idee”! Il brodo infernale che non sta né a sinistra né a destra: per definizione le “non idee” sono inoppugnabili. Ci dobbiamo porre domande sgradevoli, per trovare qualche decente, utile risposta.
A questo punto interviene l’affermazione drastica di alcuni commentatori che vogliono richiamarci all’ordine e bloccare la pericolosa angolatura della nostra embrionale similitudine: dicono severi, altolà! il fascismo non ha nulla a che vedere con quello che sta succedendo oggi.
Certo non ci sono i manganelli, non c’è l’olio di ricino non ci sono le spedizioni notturne nelle sedi e nei circoli di chi la pensa in modo diverso, non c’è il confronto sociale tra la miseria contadina e una classe borghese di padroni agrari sfruttatori, non ci sono le squadre punitive di arditi assassini… non c ‘è l’amarezza di una guerra vinta al prezzo di milioni di morti, non c’è una classe di reduci frustrati dalla “vittoria mutilata”… Non ci sono tutti gli ingredienti che nel 1918-1925 dominavano la società italiana e portarono prima al governo e poi alla dittatura il fascismo di Mussolini, sui manganelli dei picchiatori, pagati dai latifondisti agrari, con la connivenza della borghesia terrorizzata dalla emergenza della rivoluzione dei “rossi”.
Né si può pretendere che ci siano, dopo cento anni in Italia, condizioni storiche, economiche culturali e sociali identiche a quelle di un secolo fa.
Poi …si uniscono i puntini…
Si riflette sulla famosa battuta di Mussolini: “Non ho inventato io il fascismo: l’ho tirato fuori dalla pancia degli italiani…”, e ci si chiede che cosa sia rimasto in quella pancia dopo 100 anni di storia, due guerre mondiali 20 anni di regime fascista una guerra civile/resistenza, 10 anni di terrorismo Bi-erre, 50 governi DC, DC-PCI, PSI, PLI, PRI, PSDI ++, 20 anni di minestra berlusconiana, 70 anni di ammorbamento. culturale televisivo, dieci anni di crisi finanziaria e di radicamento della disuguaglianza economica.
I manganelli e l’olio di ricino non ci sono più, ma i picchiatori violenti ci sono ancora forse non sono al soldo di nessuno, ma lavorano di cretinismo proprio e qualcuno li usa. I discorsi di intellettuali insulsi, pseudo scientifici sulla razza non ci sono più ma il razzismo è vivo e attivo nelle strade, negli stadi, nelle scuole, sulla stampa, nel governo. Nella gente. I contadini analfabeti affamati dai padroni agrari non ci sono più, ma ci sono migranti ridotti allo stato di servi della gleba da capibastone mafiosi, e milioni di lumpenemarginati dalla crisi economica dopo 40 anni di malgoverno e clientele. E c’è una economia oppressa dall’immane debito sovrano.
Masse disponibili a qualunque demagogia, non molto diverse dai contadini degli anni 1918-1920, ai quali il Duce del Fascismo prometteva la distribuzione delle terre dei ricchi proprietari agrari, una idea forse più sostenibile e giusta dell’attuale reddito di cittadinanza che non cancellerà la povertà ma promuoverà il lavoro nero e privilegerà i furbi.
L’Italia non ha elaborato la differenza tra guerra civile e resistenza che ha continuato ad avvelenare l’apparente equilibrio del dibattito della politica italiana. Un veleno sempre pronto a riemergere letale nelle più diverse e più attuali forme di intolleranza.
La storia difficilmente si ripete identica e quindi non è fascismo quello che si intravede nella filigrana delle carte attuali, ma forse qualcosa di peggio, di ambiguo e di più pericoloso perché gli strumenti oggi disponibili per la manipolazione della opinione pubblica e del voto sono mille, diecimila volte più efficaci di quelli che aveva a disposizione Benito Mussolini nel 1918-1925. Più efficaci dei manganelli, dell’olio di ricino, dei picchiatori e delle squadre di assassini travestiti da “arditi”.
Se volete capire come mai i nostri padri e i vostri nonni sono caduti in quella trappola leggete M Il figlio del Secolo di Antonio Scurati dove la vicenda è spiegata in modo limpido. Capirete anche il pericolo che stiamo correndo oggi.
Per finire.
Nel quadro vasto e complesso degli anni dal 1918 al 1925 descritto da Scurati, oltre al pacchiano, al grottesco, al volgare del linguaggio e degli atteggiamenti, all’orrore della violenza sanguinaria e volutamente ributtante del teppismo dei “fasci di combattimento” formati da acefali picchiatori e assassini, cinicamente usati da Mussolini, si trovano altri aspetti meno grossolani e anche momenti alti di cultura e di visione storica…Benedetto Croce, Giovanni Gentile, per esempio, insieme all’astuzia cinica, la doppiezza, il moralismo bacchettone del nazionalismo patriottardo del Duce del Fascismo, dei gerarchi e degli adulatori del regime. Ma anche la passione sincera di quelli che “veramente ci credevano”, l’affetto, la partecipazione, la dedizione fino al sacrificio supremo di eroi sbagliati, ma sostanzialmente veri. Uomini e donne, ancora oggi senza credito.
La corruzione, l’avidità, la ferocia di potere di modesti e grandi speculatori della congiuntura hanno marcato la fase di conquista e la fase di gestione del governo fascista. Il lavoro documentato e di immaginazione rigorosa di Scurati descrive bene la differenza di uomini e pensieri che caratterizza la conquista dalla gestione del potere conquistato e la difficoltà di governare il cambiamento e le sostituzioni necessarie per i due tempi. Difficoltà non sempre risolta dal Duce del Fascismo che non era libero da pregiudizi, debolezze, tentazioni di violenza, non sempre all’altezza delle situazioni e dei problemi, proprio a causa dei limiti conseguenti al suo personale volgare tratto culturale, nascosto dalla indubbia abilità letteraria di scrittore giornalista e di intelligente, cinico manovratore politico.
Nel grande marasma del regime alcune idee di fondo furono di successo: il comando e la visione storica. Grandi errori e grandi imprese si possono compiere con una visione storica chiara (anche se sbagliata) e con una linea di comando ferma (anche se cialtrona). Una carta che comporta enormi rischi, e l’Italia ne ha pagato caro il prezzo. Mussolini lo ha pagato con la vita, purtroppo non solo la sua, e non solo della sua generazione. Infatti stiamo ancora pagando.
La caratteristica letale delle decisioni sbagliate è che quando vengono prese sembrano giuste. A chi le prende.
Il senso immanente della tragedia a venire è la nota caratteristica del romanzo/documento di Antonio Scurati. Una nota che segna ogni pagina, ogni episodio, ogni attore della narrazione e che intriga chi legge dalla prima all’ultima pagina. Il fascismo non esce condannato da questo romanzo quasi vero, i suoi tragici errori, inevitabili per la cultura dei suoi attori e delle sue vittime, trovano invece nel monumentale lavoro di Antonio Scurati la durissima condanna storica da sempre meritata.
Se credevate di conoscere la storia dell’avvento del fascismo vi dovrete ricredere.
(lorenzo matteoli)