Trattamento dei prigionieri da parte delle milizie dell’ISIS
Ufficialmente sono 138 i foreign fighters di nazionalità italiana sopravvissuti e attualmente prigionieri dell’SDF Curdo (Syrian Democratic Forces). Il numero complessivo dei foreign fighters europei è stimato tra 3900 e 4300 dal segretario di Stato Inglese Mr. Sajid Javid. Secondo altre stime potrebbero essere anche 6000. La maggior parte di loro proviene da Inghilterra, Francia, Germania e Belgio e circa il 30% si ritiene siano già ritornati nei loro paesi in modo clandestino, assistiti da una rete europea di attivismo islamico estremo.
Il problema del loro rientro è a dir poco spinoso: sono ideologicamente jihadisti estremi, molti hanno sicuramente partecipato e sono responsabili di orribili crimini di guerra perpetrati dall’ISIS (decapitazioni di prigionieri, stupri sistematici, esecuzioni di massa). Ancora più delicato il problema del ritorno delle mogli e dei figli dei jihadisti. Molte donne non hanno partecipato alla guerra, ma di alcune si conoscono le attività di collaborazione come reclutatrici e informatrici.
Soggetti che hanno nazionalità inglese, francese, tedesca, belga e italiana e come cittadini di questi paesi hanno diritto a risiedere nel paese di origine, ma la loro partecipazione alla guerra dell’ISIS pone problemi non previsti dalle leggi correnti.
Se tornano si presume che abbiano partecipato a operazioni criminali e devono essere sottoposti a un processo in un tribunale dove va documentata la loro partecipazione ad attività criminali, cosa che è quasi impossibile, come è impossibile documentare il contrario.
Trump ha recentemente dichiarato che se i paesi europei non riprenderanno i jihadisti di loro competenza questi verranno liberati dall’SDF che attualmente li detiene in prigionia e quindi molti, se non tutti, ritorneranno in modo clandestino evadendo ogni controllo, è necessario quindi istruire una iniziativa ufficiale.
Per il momento nessun paese europeo ha risposto all’ultimatum di Trump, si sa che tutti i paesi stanno studiando il problema.
Mario Giro – Viceministro al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, ha una posizione interlocutoria (cfr il suo libro Noi Terroristi) favorevole al ritorno controllato e a una gestione della de-radicalizzazione dei soggetti. L’ipotesi, più o meno esplicita, del Viceministro Giro è che la radicalizzazione islamista dei soggetti sia avvenuta anche per una responsabilità dei paesi di residenza originale (per gli italiani quindi dell’Italia): la responsabilità di non averli saputi integrare, che, secondo il Viceministro Giro, va ammessa e riscontrata. L’ipotesi di far rientrare in Italia soggetti fra i quali ci possono essere responsabili di crimini orrendi, evidentemente non trova molto favore nella pubblica opinione, tantomeno in quella vicina alla cultura della Lega di Salvini. Ma anche in altre aree della pubblica opinione italiana, non necessariamente di destra, il fondamentalismo islamico jihadista non gode di grande popolarità né di benevola comprensione culturale.
Una volta ritornati, ammesso che abbiano sinceramente accolto la de-radicalizzazione, come integrarli e come proteggerli dalla comprensibile malevolenza della gente, come ricostruire un rapporto di fiducia? Come impedire le possibili ricadute? o la continuazione del loro jihad personale in Italia.
L’Italia per ora non ha proposto norme o ipotesi di comportamento, la magistratura può applicare l’articolo 270 bis del Codice Penale che punisce chi organizza atti di sovversione o terrorismo.
Una recente sentenza ha sottoposto a sorveglianza i foreign fighters tornati dopo aver combattuto a Kobane con i Curdi contro il Califfato con una motivazione che si potrebbe applicare a tutti i militari italiani che hanno combattuto in Iraq, Afghanistan, Libano: soggetti pericolosi per aver acquisito competenza nel maneggio di armi da guerra e per aver partecipato a operazioni militari. Ovvero sulla opportunità di distinguere.
(lorenzo matteoli)
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