Ci lamentiamo tutti perché questo governo manca di “progetto”, di “visione”. Qualcuno dice poeticamente che: “manca il sogno”. Vero. Ma dobbiamo anche onestamente chiederci come fanno a sognare questi: senza soldi, attanagliati dai debiti, costretti a racimolare 23 miliardi per evitare la “punizione” della clausola di aumento dell’IVA. Forse è meglio che non sognino e che si diano da fare nell’operazione “raschiare il fondo del barile”.
Sui 23 miliardi c’è da dire una cosa: sono dovuti perché lo scorso anno per andare in deficit hanno dovuto sottoscrivere la clausola di “aumento dell’IVA”. Detto in termini espliciti si tratta del caso patologico del debitore che per pagare precedenti debiti è costretto a contrarre nuovi debiti. Un ciclo notoriamente perverso e fatale che in genere finisce in un solo modo: tragico.
Non hanno quindi scelte e non si possono permettere sogni grandiosi e follie keynesiane per “rilanciare” l’economia, si attengano quindi al cosiddetto “shop Keeper budget” con tutto il rispetto dovuto alla categoria dei bottegai. Gente solida.
I nostri politici hanno anche la preoccupazione di essere rieletti alla prossima scadenza elettorale e l’unica cosa che sanno fare per garantirsi i voti, al loro livello di cultura, è la demagogia. Alla quale si dedicano con poco pudore. Non sapendo cosa fare di meglio.
C’è anche da dire che i sogni costano poco e se dichiarati come tali possono anche essere onesti. Come dicono i critici di questo governo sono anche necessari: in breve la produzione di “sogni”, di ”visioni utopiche”, “visione di lungo termine”…”progetto” è una precisa funzione di governo e deve essere attrezzata di opportune strutture.
Ecco la ragione della mia proposta per un ministero per la promozione della visione utopica o, più in breve Ministero per la Visione Utopica, acronimo MINVISUT (©l.matteoli)
Per ora mi limito alla anticipazione dell’idea, ma la cosa è densa di implicazioni sulle quali intendo ritornare quanto prima.
Nella figura il Duomo di Milano un’opera realizzata fra Medioevo e Rinascimento quando gli strumenti erano vanghe, picconi, martelli e scalpelli e rozzi argani per il sollevamento di pesi, ma non mancò a quel tempo la “visione utopica” per fare un’opera “impossibile” che di fatto ha strutturato la moderna Lombardia. Oggi un’opera paragonabile potrebbe essere quella di impostare la transizione a un pianeta sostenibile, la transizione al capitalismo decente, porre le basi per una società civile….tornerò presto sull’argomento.
Lorenzo Matteoli
Su tecnologie e utopia vedi:
http://members.iinet.net.au/~matteoli/html/Articles/UtopiaEngItal.html
Così scrive Karl Mannheim alla fine del suo libro Ideology and Utopia:
… The disappearance of utopia brings about a static state of affairs in which man himself becomes no more than a thing. We would be faced then with the greatest paradox imaginable, namely, that man, who has achieved the highest degree of rational mastery of existence, left without any ideals, becomes a mere creature of impulses. Thus, after a long tortuous, but heroic development, just at the highest state of awareness, when history is ceasing to be blind fate, and is becoming more and more man’s own creation, with the relinquishment of utopias, man would lose his will to shape history and therewith his ability to understand it (K.Mannheim, Ideology and Utopia))
…La fine dell’utopia porterà la totale immobilità di tutto e in questa immobilità l’uomo diventerà un semplice oggetto. Ci troveremmo di fronte al più grande paradosso immaginabile: l’uomo che ha raggiunto il massimo livello di controllo razionale dell’esistenza, lasciato senza ideali, diventa una mera creatura di impulsi. Così, dopo un lungo tortuoso, ma eroico sviluppo, allo stato di massima consapevolezza, quando la storia cessa di essere fato cieco, e sta diventando sempre più opera dell’uomo, con l’abbandono delle utopie, l’uomo perderebbe la sua volontà di formare la storia e con essa la sua capacità di comprenderla. (traduzione l.matteoli)
(Karl Mannheim, Ideology and Utopia)