Proviamo a pensare fuori dalla scatoletta di tonni
TRACCIA PER LA SOLUZIONE STRATEGICA
E STRUTTURALE
DEL PROBLEMA DELL’ILVA E DI TARANTO
Andrea Aparo von Flüe, Lorenzo Matteoli, Roberto Pagani
18 Novembre 2019
Nota del 27 Novembre 2019: la recente inchiesta fra gli operai di Taranto conferma la necessità di un approccio radicale e affatto diverso al problema. Un quadro politico, tecnico e culturale che per il momento manca a tutti gli operatori della vicenda in particolare agli attori della politica, a quelli del sindacato, a quelli dell’informazione. Gli unici che operano con cinismo su una linea strategica di enorme vantaggio loro e di enorme danno per il contesto nazionale italiano e degli operai in particolare sono la direzione e la proprietà Mittal Arcelor.
cfr:
Premessa
La reversione ambientale delle cattedrali tecnologiche sporche del passato è un lavoro immane, un mercato di scala mondiale in emergenza, che richiede competenze professionali di nicchia e di vertice, producendo un know-how di ingegneria e di impresa esportabile nel mondo. Un mercato che esploderà quando anche India, Cina, Nord africa, Sud Est Asiatico, Messico, dovranno risanare e rimediare i loro massacri degli anni dal 1960 al 1990 e oltre. Il che accadrà domani.
Reversione ambientale significa dunque occupazione, conoscenze tecniche e scientifiche transdisciplinari, recupero di potenziale economico del territorio, riduzione della morbilità endemica ambientale, riduzione della spesa per la sanità, qualità del futuro, miglioramento della qualità di vita…
Se si guarda all’Italia, la reversione ambientale degli errori del passato sarà il più importante capitolo di spesa dei Lavori Pubblici italiani dei prossimi 50 anni insieme all’altra opera immane, in emergenza da troppi anni e di drammatica attualità in ogni autunno italiano, quella del riassetto idrogeologico del Paese
Quadro storico e priorità conseguenti.
Per definire una strategia occorre, nell’ordine, esplicitare la visione, definire la missione e quindi fissare gli obiettivi. Per evitare errori semantici, quindi per condividere le denominazioni, è opportuno chiarire i contenuti dei termini utilizzati. Visione significa rispondere alle domande “Per chi e per cosa” si vuole attivare un processo di generazione di valore, o di soluzione di un problema, Missione risponde alla domanda “Chi?” ovvero chi sono le persone, quali le loro competenze, abilità, esperienze e talenti che si ha a disposizione in termini operativi. Gli obiettivi rispondono alla domanda “Cosa?”, quindi definiscono la macro- aree di intervento. Un esempio per chiarire, si spera il tutto. Soggetto: il Presidente degli Stati Uniti. Problema: Iraq. Visione: Democracy. Missione: Army, Navy, Air Force e Marines”. Obiettivi: controllo dello spazio aereo, presidio del territorio e dei ponti sull’Eufrate, conquista del porto di Bassora via mare, di notte.
Vediamo di applicare quanto appena esposto al caso della più grande azienda siderurgica d’Europa. Quindici milioni di metri quadrati di superficie nella zona Tamburi di Taranto. Una storia che parte nel 1961 quando a Genova le Acciaierie di Cornigliano si fondono con l’ILVA – Alti Forni e Acciaierie d’Italia dando vita a Italsider – Alti Forni e Acciaierie Riunite ILVA e Cornigliano che diventerà Italsider nel 1964.
L’Italsider è un’azienda pubblica. Viene deciso, scelta squisitamente politica e non economica, come è storicamente il caso della grande industria italiana –dall’Ansaldo alla Fiat, alla Montedison- di costruire il più grande polo industriale del sud Italia: lo stabilimento Italsider di Taranto. Inaugurato nel 1965 diventa il più grande e importante polo del ferro e acciaio d’Europa. Taranto rifornisce le industrie del nord Italia e buona parte di quelle europee, genera ricchezza, occupazione, orgoglio dell’Italia del boom economico.
Una bolla che si sgonfia negli anni ’80, gli anni della grande crisi. Nel maggio del 1995 l’Italsider viene acquisita per 2500 miliardi di lire dal gruppo Riva e assume il nome attuale di Ilva. Lo stato si sfila, si tira indietro, vuole fare cassa. Il tutto prende il nome di privatizzazione anche se in molti parlano di scandalo e di inciucio perché è una “svendita” visto che la società era stata valutata 4.000 miliardi.
Comunque i fratelli Riva investono soldi propri per rilanciare l’Ilva, ma si ritrovano ad affrontare una nuova crisi, imprevista oppure tenuta nascosta. L’Ilva uccide. Studi epidemiologici rilevano un impressionante numero di casi di tumore (spesso infantile) di abitanti nella zona del polo siderurgico. Malattie legate a inquinamento industriale: tumore del polmone, mesotelioma della pleura, malattie respiratorie corniche; tra i più piccoli (nella fascia 0-19 anni) si segnalano un eccesso per leucemie e anomalie congenite.
Ci vogliono sette anni, nel 2012, perché la magistratura tarantina metta sotto sequestro per “gravi violazioni ambientali” l’acciaieria, definita “fabbrica di malattia e morte”. Le perizie disposte parlano di 11.550 persone morte a causa delle emissioni in sette anni. Vengono indagati il vertice aziendale e i presidenti Emilio Riva (in carica fino al 2010) e il figlio Nicola.
12.859 persone, più tutti coloro che erano coinvolti dall’indotto della fabbrica, rischiano di ritrovarsi per strada. Il Governo, scelta squisitamente politica e non economica, decide di non chiudere lo stabilimento, ma di emettere un decreto che autorizzi la prosecuzione della produzione. Ovviamente per proteggere occupazione e produzione industriale
A maggio 2013 il gip Patrizia Todisco dispone un maxi-sequestro da 8 miliardi di euro sui beni e sui conti del gruppo Riva. Soldi indebitamente incassati invece di essere usati per rendere la fabbrica più pulita. La corte di Cassazione annulla il sequestro. I Riva lasciano il CdA. Il Governo commissaria l’azienda. A gennaio 2015 l’azienda, con legge firmata ad hoc dall’allora governo Renzi, passa in amministrazione straordinaria. Nel gennaio 2016, viene emesso il bando per acquisire l’Ilva, vinto dalla multinazionale franco indiana Arcelor Mittal che assume onori e oneri di rilanciare l’Ilva. Dopo 5 governi e 4 commissari nel 2018, Arcelor Mittal prende l’ex Ilva con l’obiettivo di rilanciarla. Storia già vissuta con molti cadaveri in più. Il che giustifica la subordinazione della firma dell’accordo con l’Italia alla concessione alla Arcelor Mittal di un’immunità penale, il cosiddetto scudo penale di cui molto si parla oggi. Cosa buona e giusta perché si vuole evitare che attuando il piano ambientale, normato da un Dpcm di settembre 2017, i commissari o gli acquirenti del siderurgico restassero coinvolti in vicissitudini giudiziarie derivanti dal passato. Del resto quale soggetto sano di mente si sarebbe accollato un’industria con la storia dell’Ilva senza un minimo di tutele?
Luglio 2018. Il ministro per lo sviluppo economico Luigi di Maio, grande esperto di questioni industriali e di politica industriale chiede di verificare la legittimità dell’assegnazione dell’Ilva ad Arcelor Mittal. L’Avvocatura dello Stato non riscontra gli estremi per l’annullamento, ma l’ineffabile di Maio in conferenza stampa, il 23 agosto 2018, dichiara: “Se oggi, dopo 2 anni e 8 mesi, esistessero aziende che volessero partecipare alla gara, noi potremmo revocare questa procedura per motivi di opportunità. Oggi non abbiamo aziende che vogliono partecipare, ma se esistesse anche solo una azienda ci sarebbe motivo per revocare la gara”. Con buona pace dell’Avvocatura di Stato e del suo parere.
Maggio 2019, si parla di eliminare lo scudo penale e di mettere i vertici Ilva, presenti e passati, di fronte alle loro presunte negligenze e responsabilità in termini di vita umana. Ancelor Mittal getta la spugna: “Non si possono cambiare le carte a partita in corso” dice nel novembre 2019 rimettendo la patata bollente nelle mani del Conte bis. Affermazione del tutto condivisibile, anche se dovevano aspettarsela: cambiare le regole del giovo a partita in corso è prassi normale nei palazzi della politica italiana
Se questa è la storia, come si sarebbe dovuta svolgere in una logica di mondo perfetto e di decisioni razionali e soprattutto economiche?
La risposta è ovvia: una volta dimostrata la relazione di causa-effetto fra le attività dell’acciaieria e i dati epidemiologici, la fabbrica andava chiusa. Senza ritardi o reticenze.
Invece la produzione nel polo di Taranto continua e l’inquinamento è diminuito, ma non cessato. inquinare. Siamo lontani dalle emissioni zero.
La chiusura è oggi, dunque, priorità ineludibile perché immediata deve essere la protezione della salute degli abitanti e dell’ambiente di Taranto.
La sottovalutazione di questa condizione, che si è consolidata e protratta per 60 anni, dall’iniziale discutibile ignoranza degli anni del progetto (1960-1964), alla criminale negligenza degli ultimi 20-30 anni diventata una vera “cultura negativa”, all’attuale catastrofica situazione, è un dato di fatto che impone la immediata chiusura della acciaieria.
Abbiamo a che fare con un’emergenza tragica, con una situazione letale che non ammette dubbi sulle azioni da intraprendere. Ogni ritardo è criminale. L’intervento tecnico necessario e unico è la chiusura
Semplice a dire, molto meno a farsi per le conseguenze che essa comporta, alcune immediate.
Occorre gestire la continuità salariale degli organici diretti, ottomila e passa persone. Non si possono semplicemente abbandonare a sé stessi. In parte potranno lavorare sulla lunga e complessa operazione di decommissioning dell’enorme impianto, in parte dovrà essere ricollocato, in parte dovrà essere messo a carico di una misura finanziaria ad hoc (CIG, prepensionamento, clausola speciale del reddito di cittadinanza).
Occorre, in base a una dettagliata e trasparente fotografia dell’esistente, progettare e implementare il complesso processo di riallocazione dell’indotto. Allo stesso tempo bisogna garantire continuità all’approvvigionamento dell’insieme della produzione, prodotti e servizi a valle dell’acciaieria.
L’impianto di Taranto serve al 70-80 per cento la domanda downstream del manifatturiero italiano: auto, elettrodomestici, cantieri navali, edilizia, impiantistica, ferrovie, opere infrastrutturali. Parte della produzione di Taranto alimenta anche una serie di successive attività industriali direttamente collegate, come la produzione, a partire dal grezzo di altoforno, di acciai speciali.
Garantire questo approvvigionamento è indispensabile per la continuità dell’occupazione dell’indotto a valle e per garantire l’esportazione di prodotti finiti del manifatturiero italiano.
Questa operazione richiede soluzioni e azioni in tempi brevissimi. Occorre individuare competenze, obiettivi e strategie conseguenti per organizzare e accentrare gli acquisti di acciaio grezzo e semilavorato (lingotti, bramme, coils, tondo …) sul mercato internazionale (Turchia, Germania, Serbia, Cina, India…) in modo d’avvalersi delle economie di scala, con una programmazione a medio-lungo termine che consenta di spuntare contratti ottimi, annullando le ciclicità e le fluttuazioni del mercato.
La strategia di acquisti centralizzata può essere un’istituzione privata (un consorzio di acquisto) controllata dagli stessi operatori interessati, con una operatività pianificata per il tempo necessario per ricostruire la capacità produttiva nazionale nelle forme ottimali (cfr).[1]
Il futuro della infrastruttura italiana di produzione dell’acciaio
Nel garantire la continuità salariale degli organici attuali e la continuità degli approvvigionamenti ai processi “a valle” della produzione di acciaio primario, è necessario anche garantire le funzioni di:
- ricerca e aggiornamento delle tecnologie per evitare che la sospensione della attività produttiva comporti perdita di know-how;
- formazione degli organici, a tutti i livelli, del complesso processo a monte e a valle della fase siderurgica. Per mantenere le competenze è indispensabile ammodernare e consolidare le professionalità.
Queste due funzioni potrebbero venire seriamente danneggiate dalla sospensione per un periodo pluriennale della produzione siderurgica di base. Dunque, è necessario dedicare a esse una specifica attenzione progettuale, investimento e struttura.
Nel disegnare la strategia per la ricostruzione della nuova struttura nazionale per la produzione siderurgica e dei processi a valle dell’acciaio devono essere tenute presenti una serie di condizioni che allo stato attuale si possono solo elencare in modo generico e qualitativo.
Si propone di seguito un elenco non esaustivo e non gerarchizzato.
- verificare se il modello da perseguire sia ancora quello della grande acciaieria “generalista”. I modelli vincenti in questo settore sono quelli di piccole acciaierie ad alta tecnologia che producono acciai speciali in un’integrazione molto stretta con il resto della filiera, sia a valle che a monte;
- verificare i probabili fattori che potranno modificare la domanda. I problemi del settore della produzione dell’acciaio sono dovuti a una serie di fattori: la crisi dell’edilizia e della grande ingegneria, in particolare quella esportata da soggetti quali Astaldi, Condotte, Saipem; la modifica dei materiali utilizzati in molti settori industriali; l’uso sempre più diffuso di alluminio e di materiali compositi; la contrazione della cantieristica, dell’industria chimica, della meccanica più o meno raffinata: dai tubi alle calandrature;
- valutare gli sviluppi tecnologici, in particolare la manifattura additiva con l’uso di polveri altamente ingegnerizzate. Siemens considera oggi economicamente vantaggioso produrre per lotti da diecimila pezzi in manifattura additiva piuttosto che con i mezzi e i processi tradizionali. Non si costruisce eliminando materiale dal pieno, ma aggiungendolo sul vuoto.
- Valutare la storia recente: come i grandi produttori della siderurgia hanno modificato le loro strategie, localizzazioni, processi e prodotti per uscire dalla crisi generata dall’emergere di nuovi attori, soprattutto nell’est asiatico: prima Giappone, poi Corea, India, Cambogia, Vietnam… una dinamica alimentata solo e unicamente dal costo unitario che dipende dal costo dell’energia, dell’inquinamento, dei salari, dei trasporti, delle materie prime, del finanziamento, ammortamento impianti e assicurazione rischi. Solo chi ha integrato la filiera verticalmente riesce a rimanere competitivo.
- Comprendere come hanno giocato e come possono influenzare gli sviluppi dei mercati e delle posizioni competitive le politiche industriali nazionali o regionali. Ammesso e non concesso che l’Italia si sia mai dotata di una politica industriale, oggi non abbiamo a che fare con un problema italiano, ma con una questione che interessa l’Europa tutta.
- L’Italia è e continuerà a essere un paese di trasformazione. Cresciamo e prosperiamo se siamo in grado aggiungere valore in modo sostanziale così da presentare prezzi di vendita che consentano i margini indispensabili per quadrare i conti. In alternativa si deve fare parte di una rete di creazione di valore in una logica a somma positiva che supera il concetto di competitore e introduce quelle di complementatore: vedi “Co-opetition” di Adam J. Branderburger e Barry J. Nalebuff. Non abbiamo nessuna idea di chi siano o possano essere i nostri complementatori, ovvero i soggetti che con la loro attività aggiungono valore alle nostre.
- La protezione a tutti i costi dei posti di lavoro ha troppo spesso avuto come conseguenza il mantenimento in vita di attività che avrebbero dovuto essere chiuse, innovate e poi riprese con logiche attuali.
- Indispensabile integrare nel disegno della strategia e nella successiva implementazione operativa i sindacati. Devono trovare la capacità e la volontà di superare i limiti del loro ruolo passato e delle responsabilità relative; devono evolvere per aggiungere valore all’economia. Aggiungere, non sottrarre.
- Ci sono dubbi su Taranto che vanno superati privilegiando con forza la condizione delle priorità: Taranto è un vaso di Pandora. Se si toglie il coperchio nessuno sa cosa può accadere. Se si chiude, poi come si interviene? Sarcofago di cemento armato modello Chernobyl? Oppure bonifica? Fino a che profondità si deve scavare per essere sicuri di avere eliminato tutto lo strato inquinato? Come si ripulisce? Con che processo?
- Meglio continuare a produrre con commesse certe e nel frattempo mettere il tutto a norma, per quanto possibile? Tutti questi dubbi e gli altri che si possono esprimere cercando di difendere una linea passiva e attendista sono travolti dal categorico kantiano: non si può continuare a negare la tragedia dell’errore commesso.
- Privato o pubblico? Bisogna oggi riflettere sull’esperienza, vincente, dei tre paesi che hanno perso la Seconda guerra mondiale e che sono risorti grazie a una economia mista – ovvero Italia, Germania e Giappone – forse, con le dovute modifiche, adattamenti ed evoluzione, è da riprendere, da riprogettare. Il privato puro se ne frega totalmente dei problemi di infrastruttura. Lascia che sia lo stato a pagare e poi se ne avvale. Peccato che non ci sia più nessuno stato che paga. Se non ci fosse stata la rete telefonica mondiale con capacità residua disponibile, il protocollo internet sarebbe rimasto una curiosità da accademici perversi. Opportuno andare a rileggere Keynes. Per Taranto Non serve una politica sui consumi, occorre una politica di più investimenti e di welfare.
- La tragedia ILVA/Taranto è un magnifico pretesto per mettere in piedi un gruppo di persone con qualche neurone ancora attivo e una documentata capacità di innovazione e invenzione, a livello per lo meno europeo e preferibilmente mondiale, per ragionare sul prossimo futuro da progettare e costruire, mettendo in comune le risorse disponibili, in una logica di economia mista, dove lo stato amministra e lascia i politici a divertirsi nel loro “sand box“.
- L’ottimismo della volontà.
Il nuovo ruolo dei sindacati nella figura complessa del sindacato/impresa.
Nella vicenda ILVA/Taranto nella figura imprenditoriale pubblica complessiva che dovrà essere posta in essere i sindacati dovranno avere uno ruolo e uno spazio responsabile con un profilo nuovo rispetto alla loro storia degli ultimi 50 anni: non più controparte dell’impresa, ma parte dell’impresa. Il destino dell’azienda e a quello degli organici sono legati in modo molto diverso dalla figura antagonista tradizionale vetero-marxiana capitale/lavoro. Quando l’ambiente interviene nell’equazione, la salute di generazioni future, la vivibilità del territorio a scala regionale (nazionale) la dialettica diventa molto più complessa rispetto allo schematismo oramai sterile del confronto fra due entità che non possono più essere contrapposte, perché sono invece legate da un destino ineludibilmente associato e comune.
Questo assunto impone una revisione profonda della cultura sia del sindacato che dell’impresa che forse non sarà il minore dei problemi.
Altri punti da sviluppare:
- La vita statisticamente certa degli abitanti della città va garantita. I morti per tumore devono essere contenuti nel numero della statistica media italiana
- La sussistenza occupazionale o meno della forza lavoro attuale va finanziata.
- La continuità del sistema industriale italiano dipendente dall’acciaio va garantita.
- Il risanamento ambientale della regione intorno a Taranto è condizione ineludibile.
- La ricostruzione della capacità produttiva della siderurgia controllata dall’Italia è l’obbiettivo finale.
- Progetto della nuova visione economica per Taranto: il più grande e attrezzato porto turistico/sportivo del Mediterraneo, cantieri, manutenzione, ospitalità, servizi.
- Organizzazione politica e logistica dell’intera operazione con un Commissario ad Acta.
- Il programma pluriennale lanciato su 15-20 anni va negoziato con i vertici dell’Unione Europea, con la Banca Centrale Europea, con il Fondo Monetario Internazionale e con la Banca Mondiale.
[1] Da non escludere la possibilità che l’approvvigionamento tramite il consorzio di acquisto e lo sfruttamento ottimale della sua operazione sui mercati di offerta si dimostri economicamente competitivo nei confronti della situazione gestita da un impianto che, per quanto nuovo o ammodernato, sostenibile sul piano sociale e ambientale, possa risultare non competitivo in termini di costi.
Prof Matteoli buonasera
Sono un suo ex ex ex allievo, precisamente nel corso AA 1989-90 e ci siamo salutati un paio di anni fa al suo intervento ad un convegno al Poli.
Ritengo la questione ILVA una delle vertenze produttivo-ambientali più scabrose degli ultimi decenni e ritengo che le sue analisi siano verosimili e da condividere con l’attuale governo; spero di essere riuscito a far arrivare il suo pensiero a chi ha responsabilità attuali nella questione.
A presto, un giorno di questi vengo a trovarla in Australia
Jose Perfetto