Lidia Tar, eccezionale direttrice d’orchestra, si prepara a dirigere la Berliner Philarmonic Orchestra nella Sinfonia n. 5 di Gustav Mahler. Seduce e domina giovani fanciulle orchestrali mentre la materna primo violino della Berliner, che con lei convive more lesbico, tollera (fino a un certo punto) la sua sregolata genialità. La dirigenza della BPO invece non tollera il comportamento non conforme della geniale ed eccezionale direttrice e la licenzia. Tar viene sostituita nella conduzione della Quinta sinfonia di Mahler, si rifugia a Bangkok dove finisce la sua carriera di geniale direttrice di orchestra dirigendo musiche per film di squallido ordine commerciale.
Questa, in sintesi, la vicenda narrata dove la parte di Cate Blanchett (bellissima comunque) occupa più del 95% delle due ore e trentotto minuti del film.
Senza questo mio “bignamino” farete fatica a riconoscere il racconto nella criptica regia/montaggio di Todd Field (che ha anche scritto il soggetto). La narrazione è infatti frammentaria, accidentale, lenta, confusa, interrotta da lunghi monologhi di Tar, con brevi interventi dei suoi interlocutori: polpetttoni noiosissimi di luoghi comuni e banalità pseudo-intellettuali, sulla musica, sull’arte di dirigere un’orchestra, su Mahler, su Bernstein, Furtwangler et al. Dialoghi supponenti basati su “name dropping” finalizzati a comunicare quanto brava e quanto intelligente sia la protagonista.
Cate in tutto il film non suona mai, ma spesso si siede al pianoforte per picchiare qualche nota con un dito, evocando, per gli adepti virtuali, monumentali sconosciute sinfonie.
Lo spettacolo è teso: nel senso che lo spettatore cerca, per tutto il film, di capire cosa succede. In effetti per tutto il film non succede nulla e anche i momenti clou del dramma (seduzione di giovinette, abbandoni, licenziamento e sostituzione di Tar, triste conclusione a Bangkok) sono serviti in un brodo narrativo grigio e banale, assolutamente piatto, annacquato, per buona misura, dalla logorrea musicologica della protagonista. Un vero monumento cinematografico del parlarsi addosso.
Dopo i primi dieci minuti di logorrea si aspetta il riscatto, la svolta, il colpo di regia, e si continua ad aspettare fino al trentottesimo minuto della terza ora.
Quando si esce ci si fanno domande che non hanno risposte.
Pochi critici avranno il coraggio di qualificare il film come va qualificato, noioso, lento, contorto, logorroico, banale.
Irritante e supponente.
L’unica cosa che lo riscatta: la bellezza surreale di Cate Blanchett.
Lorenzo Matteoli
TAR:A NON MOVIE
Lydia Tar, exceptional conductor, prepares to conduct the Berlin Philharmonic Orchestra in Symphony No. 5 by Gustav Mahler. During this time she seduces and dominates young female members of the orchestra while the maternal first violin, who lives with her in a lesbian menage, tolerates her unruly genius (up to a certain point). The management of the BPO, on the other hand, does not tolerate the non-conformist behaviour of the brilliant and exceptional director and fires her. Tar is replaced for the conducting of Mahler’s Fifth Symphony. She takes refuge in Bangkok where she ends her career as a brilliant international conductor directing music scores for squalid commercial movies.
This, in short, is the story told where the part of Cate Blanchett (who is always beautiful) occupies more than 95% of the two hours and thirty-eight minutes of the movie.
Without this “abstract“, you will have a hard time recognizing the story in the cryptic direction/editing by Todd Field (who also wrote the story). The narration is, in fact, fragmentary, slow, confused, interrupted by long monologues by Tar, with brief interventions by her partners: very boring clichés and pseudo-intellectual platitudes, on music, on the art of conducting an orchestra, on Mahler, on Bernstein, Furtwangler et al. Conceited dialogues based on “name dropping” aimed at communicating how good and how intelligent the leading carachter is.
Cate never plays the piano throughout the film, but she often sits at the piano to tap a few notes with one finger, evoking unknown monumental symphonies for the virtual adepts.
The narration is tense: because the viewer tries, throughout the film, to understand what is happening. In fact, nothing happens throughout the movie and even the key moments of the drama (seduction of young girls, abandonments, Tar’s dismissal and replacement, sad conclusion in Bangkok) are served in a gray and banal fashion, absolutely flat, watered down, for good measure, from the musicological logorrhea of the protagonist.
After the first ten minutes, we wait for the redemption, the turning point, the director’s coup, and we continue to wait until the thirty-eighth minute of the second hour.
At the end, you’ll ask yourself questions that have no answers.
Few critics will have the courage to properly qualify the film as boring, slow, convoluted, talkative, trivial, annoying and conceited.
The only thing that redeems it, from a male point of view, is the surreal beauty of Cate Blanchett.
Lorenzo Matteoli
Mattia Giusto Zanon
Commento a “Tar”
Febbraio, 09, 2023
Da Harper’s Bazaar edizione Italiana
Nota di L. Matteoli: Per la corretta informazione dei miei lettori riporto un commento molto diverso dal mio del Film di Todd Field (e Cate Blanchett) “Tar”
Mattia Giusto Zanon parte dall’assunto che il film è un”capolavoro indiscutibile”.
Io parto dal concetto che il film è noioso.
Ed ecco Zanon:
Perché dovrebbe interessarci un bio-pic oggigiorno? Tanto più se è un bio-pic inventato, e quindi appunto, di fatto non un bio-pic. La risposta è semplice: perché se c’è Cate Blanchett allora sì. E se la storia è come questa, ovvero come il regista Todd Field ammette di averla creata, su misura per l’attrice protagonista che aveva in mente, tanto che “o lei o nessun’altra”, allora sì. Perché allora si crea un film che è proprio come l’abito che il sarto newyorkese le prepara con cura maniacale, pezzo per pezzo, cucitura per cucitura nella scena iniziale, e che lei desidera per condurre, perché lo ha visto su una copertina di un vecchio vinile di Bernstein. Si crea qualcosa di unico.
Il cuore della pellicola è il personaggio di Lydia Tár, che Blanchett regge sulle sue spalle per due ore filate. È un’ipotetica direttrice principale della Filarmonica di Berlino – ma lo è stata anche della Boston Symphony e della New York Philharmonic – osannata da colleghi e sottoposti come “Maestro”. E non “Maestra” ci tiene a dire lei. Tár è appassionata, esigente, autocratica, con un prestigio da rockstar e uno stile di vita da tournée internazionale che si avvicina a quello dei super ricchi, fatto di jet privati, Porsche fiammanti e ville tutte beton-brutper niente brutte, tutto eleganza finto-distratta, quadri modernisti e fiori in vaso, veri, non di plastica. All’inizio la vediamo subito molto eccitata mentre si avvicina alla sua nuova sfida: una registrazione dal vivo di Mahler per la Deutsche Grammophon. Ha una relazione e convive col suo primo violino, interpretato da Nina Hoss, e assieme hanno una figlia, la piccola Petra, che Tár ama moltissimo. Stanno in un loft spettacolare, ma Lydia mantiene sentimentalmente il suo vecchio appartamento berlinese come ufficio, in cui ogni tanto fugge per scappare dai problemi.
L’idillio dura finché dura. “Lydia sa di essere giunta nell’Olimpo e quindi sa anche che qualsiasi suo passo successivo non farà altro che condurla nell’abisso. Ne è certa”, racconta Cate Blanchett in conferenza stampa. Ci sono vari problemi nella vita di Tár. Gestisce un programma di borse di studio di tutoraggio femminile, amministrato da un aspirante direttore d’orchestra pedante e appiccicoso – Mark Strong -, e si vocifera che questa sia una fonte di giovani donne con cui Tár, che è omosessuale, abbia relazioni. La sua assistente, interpretata da Noémie Merlant – un altro aspirante direttore d’orchestra – sembra essere qualcun altro che lei sta tenendo su un filo emotivo, mentre è perseguitata da un’altra ex allieva che è diventata ossessionata da lei. Per non farsi mancare nulla, si invaghisce anche di una giovane violoncellista russa povera in canna appena giunta per un provino alla Filarmonica. Nel frattempo, la sua masterclass alla prestigiosa Juilliard va terribilmente male quando Tár litiga con un giovane studente, che si identifica come “pangender”, e rifiuta categoricamente di avvicinarsi a Bach per motivi ideologici. Quando Blanchett si siede a suonare il famoso Preludio in do maggiore, spiega la musica in un modo commovente tanto quanto la musica stessa. Sta cercando di far capire che rifiutare un autore simile, bollandolo come “il solito vecchio maschio bianco”, è un’assurdità pura e semplice. È uno spreco. Ma il video della sua lezione verrà montato ad arte per farle dire cose che non ha mai detto, e spiattellato su Twitter come una piccola ma potente vendetta GenZ.
Per tutto il tempo, Tár sospetta che ci sia qualcosa che non va: è nervosa, paranoica e insonne. Eppure talmente carismatica e sicura del fatto suo da conquistare, da farci cadere tutti ai suoi piedi come quando disquisisce di un particolare passaggio di un brano, o dell’importanza dell’esecuzione di un direttore d’orchestra come Leonard Bernstein piuttosto che di un altro. E di tutta l’umanità e la passione racchiusa nel pentagramma, come quando ragiona sul rapporto tra Gustav Mahler e sua moglie Anna, e su come questo abbia influenzato la composizione della sua grandiosa e romantica Sinfonia N. 5.
I personaggi di Tár si percepiscono fin da subito reali come lo è la vita. Sono recitati in modo ricco e perfetto fino al più piccolo ruolo. Si crede, in ogni momento, alla realtà che si sta vedendo, ed è straordinario come questo aumenti la posta in gioco. Lydia è come un saliscendi, talvolta è molto forte talvolta è molto debole. E se la performance di Blanchett all’inizio sembra un po’ teatrale, quello di cui ci rendiamo presto conto è che la stessa Lydia sta recitando, adattando il suo personaggio alla moda di New York o europea a seconda della situazione, ricucendo pensieri e aneddoti che ha raccontato dozzine di volte e che danno forma alla sua sostanza. Una delle attrazioni di Tár è infatti proprio il suo ritratto di Lydia come un modello intellettuale sofisticato, alto, inarrivabile, una scultura che si è creata come una sorta di marchio. Quello di studiosa appassionata che vive e respira per le partiture che dirige.
Eppure c’è un aspetto della vita di Lydia che comprensibilmente tiene più occultato, ma è ben presente: le donne con cui apparentemente ha tresche continue. Come altro non fossero che una piccola parentesi concessa all’ombra del suo genio. Si auto-assolve in continuazione, ma a volte si condanna lei stessa. Ma allora come si colloca questa pellicola e una figura come Lydia Tár ogg? La risposta è che forse questa volta dovremmo sospendere il giudizio, per renderci conto che siamo in un nuovo mondo. Uno in cui niente è lineare, molte “giuste cause” si sposano per convenienza, e in cui le persone indossano maschere. Tutti punti che Tár solleva e porta in scena rasentando la perfezione.
Ed ecco Matteoli su Zanon:
La review di Harper’s Bazar parte dal presupposto del “capolavoro indiscutibile”.
Io sono partito dalla constatazione del film noioso e irritante.
Harper’s Regala a Todd Field quello che il film avrebbe potuto dire se non fosse stato viscosamente noioso, impestato dalla logorrea supponente del dialogo e da una struttura narrativa nevrotica di irritante impossibile lettura…. Purtroppo al cinema è letalmente vero che l’immagine è il messaggio. La confezione è il messaggio.
Un poeta noioso, più che poeta è noioso e irritante.
End of story.
Tutte le cose che racconta Harper’s forse ci sono nel film, ma sono massacrate dalla “confezione”.
Ho letto con molto interesse la review di Harper’s: bella, ma come ha fatto a sfuggirgli la noia?
Comunque Cate Blanchett da sempre mi ha sconquassato l’anima. (LM)