
Campi di stupro, tortura, rapina, massacro con la connivenza internazionale e italiana
Dall’intervento militare internazionale ONU
(19 Marzo 2011- 31 Ottobre 2011)
Alla tragedia attuale (31 Marzo 2023)
L’intervento di alcuni paesi membri delle Nazioni Unite fu un tragico errore voluto da specifici interessi petroliferi (specialmente francesi).
Approfittando di una ribellione anti-Gheddafi, ovviamente manipolata, con la copertura assurda di una risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza che nel Marzo dello stesso anno aveva istituito una zona di interdizione di volo sulla Libia, la Francia il 25 Marzo 2011 attaccò le forze di Gheddafi a Bengasi.
Si unirono all’azione Francese, diventata Operation Unified Protector delle N.U. Belgio, Canada, Danimarca, Italia, Francia, Norvegia, Qatar, Spagna, Regno Unito e USA, fino a comprendere 19 stati, tutti impegnati nel blocco navale delle acque libiche o nel far rispettare la zona d’interdizione al volo.
Tutti spinti da interessi petroliferi, più o meno diretti ed evidenti.
L’unico paese che operava in Libia fin dal 1958, rispettando gli interessi locali (promotore Enrico Mattei), era l’Italia con l’ENI.
Con l’assassinio di Gheddafi il 31 Ottobre 2011 l’ONU chiude l’Operation Unified Protector, lasciando, con una decisione criminale, la Libia nel caos più completo.
Tutta l’operazione del Consiglio di Sicurezza ONU, marcata da assoluta irresponsabilità, manipolato dalla Francia specificamente contro l’ENI che da mezzo secolo collaborava con l’ente petrolifero libico.
In Libia si scatena una guerra civile fra tribù del deserto (Tuareg,Tebu) e clan del Fezzan (Al-Qadhadhfa, Awlad Sulaiman). Una guerra complicata, intarsiata con islam di varia connotazione settaria, odi tribali, interessi di clan, brutale banditismo.
Nel caos delle lotte tribali si formano due “governi” quello di Khalifa Haftar in Cirenaica (regione orientale) e quello di Tripoli (nella regione occidentale) presieduto da Fathi Bashagha (ma in realtà controllato da Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj)
Il governo di Tripoli (Muṣṭafā al-Sarrāj) ha l’appoggio militare della Turchia di Recep Tayyip Erdoğan ed è riconosciuto dall’Onu. Il governo di Haftar ha l’appoggio della Russia, dell’Egitto e degli Emirati Arabi Uniti e non è riconosciuto dall’ONU.
I due governi sono in una situazione di guerra civile attualmente in “stallo”: nessuno dei due ha la forza di vincere il confronto.
In Libia opera dal 2018 l’esercito mercenario privato russo Wagner, ufficiosamente dipendente dai servizi segreti Russi, ma in pratica semi-autonomo e qualificato dall’ONU come organizzazione criminale internazionale.
Nessuna delle organizzazioni (Tripoli, Haftar, Wagner, Tuareg, Tebu, Al-Qadhadhfa, Awlad Sulaiman) è in grado di controllare il territorio, dove si svolgono scontri armati locali fra le varie frange locali dei vari enti, una forma di banditismo principalmente finalizzata al controllo di traffici vari (migranti, droga, armi, petrolio).
Le mappe disponibili della situazione sono chiaramente significative del caos attuale.

L’ENI opera ancora in Libia, si colloca nell’ambito territoriale del Governo di Tripoli e controlla le operazioni di estrazione di gas naturale e petrolio, è però molto probabile che abbia buone e solide relazioni di prassi con tutti i poteri ufficiosi, tribali e di clan: se così non fosse non potrebbe operare mentre è interesse di tutti (criminali armati Wagner, Turchi, Russi, islamisti, governo di Khalifa Haftar, Governo di Tripoli Tuareg, Tebu etc,) che operi perché fornisce a tutti l’energia necessaria alla sopravvivenza (ufficialmente o ufficiosamente) e a ridurre nei limiti del possibile, le sofferenze della popolazione civile. .
Paolo Scaroni e Claudo Descalzi (CEO ENI) hanno seguito continuamente l’operazione ENI/BP in Libia e nel 2019 sono stati rinnovati i termini degli accordi fra ENI e NOC (National Oil Corporation, l’Ente petrolifero Libico) di prospezione, produzione e ricerca.
La quasi settantennale operazione efficace dell’ENI, nella caotica e pericolosa Libia attuale, è un esempio di attenta, coraggiosa e intelligente gestione industriale di un grande ente multinazionale italiano.
Dopo la irresponsabile e goffa aggressione ONU/francese del 2011 nessun ente petrolifero opera in Libia dove è rimasta solo l’ENI.
Forse l’ENI, per la sua cultura manageriale, i 70 anni di operazione in Libia, la profonda conoscenza della complessa realtà locale, i contatti con le diverse espressioni del potere locale (ufficiale e ufficioso), è l’unico ente che ha l’autorevolezza e la competenza di gestire una mediazione che risolva la situazione.
Manca un mandato e una potenza militare di supporto.
I campi di raccolta e concentramento dei migranti in Libia
(https://lepersoneeladignita.corriere.it/2020/08/27/appello-alla-ue-i-campi-profughi-in-libia-sono-dei-lager/;https://www.avvenire.it/attualita/pagine/foto-campi-prigionia-libia; https://www.amnesty.it/appelli/fermiamo-la-detenzione-la-tortura-rifugiati-migranti-libia/)
I campi di Bani Walid e Sabratha sono luoghi di tortura, stupro, violenza e rapina ad opera dell’esercito libico del Governo di Tripoli con la complicità dell’Italia. I migranti vengono torturati per estorcere denaro dalle loro famiglie, chi non cede viene ucciso. I campi vanno immediatamente svuotati, i responsabili della gestione criminale vanno arrestati e processati. Il governo di Tripoli (e quello italiano) va severamente richiamato all’ordine.
L’Italia ha una pesante, orribile responsabilità con gli accordi stabiliti a suo tempo dal Ministro Minniti con Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj.
L’opinione pubblica italiana deve essere informata: far finta di non sapere è connivenza, complicità, associazione criminale.
(per favore fate circolare)!
Lorenzo Matteoli