Ritorna di attualità il dibattito sulle responsabilità del crollo del Ponte Morandi con la “confessione” dell’ex CEO di Atlantia[1] Gianni Mion (oggi in pensione) nel processo in corso a Genova. Gianni Mion ha detto che lui “sapeva”. Dai verbali del processo e dalle dichiarazioni dei vari imputati e testimoni risulta, fuori da qualunque dubbio, che tutti sapevano. Dirigenti, la famiglia Benetton, Amministratori, tecnici, addetti alla manutenzione e quanti altri abbiano avuto a che fare con “Autostrade per l’Italia”. Così scrivevo poche ore dopo il crollo sul mio blog:
I tiranti in acciaio pesantemente rivestiti di calcestruzzo erano una contraddizione strutturale evidente. Dopo quasi 55 anni le condizioni dell’acciaio all’interno del calcestruzzo dovevano essere marginali. (lm)
E 180 giorni dopo in una analisi più approfondita:
Nella mia analisi e nell’ipotesi di svolgimento del collasso fatta due giorni dopo il crollo avevo indicato la plausibilità di errori progettuali dell’ing. Morandi e la possibilità che nel 1992 alla consegna del ponte alla Società Autostrade da parte dell’ANAS la sicurezza del ponte fosse già irreversibilmente compromessa e che la manutenzione di cavi soggetti a fenomeni di ricristallizzazione, ma inaccessibili e incontrollabili, fosse impossibile. L’ANAS affidò alla Società Autostrade una struttura già in fase di precrollo. Quindi la fretta di disfarsene e le condizioni di estremo favore del contratto di concessione. La Società Autostrade non poteva non sapere, ma preferì tacere, correre il rischio e incassare i miliardi dei pedaggi. (lm)
Tutti i rapporti indicano come responsabile del crollo lo strallo della campata crollata mentre la semplice osservazione del video amatoriale dove l’operatore grida: Dio…Dio … documenta come la prima struttura a crollare è stata la campata orizzontale, lo strallo viene strappato dal contraccolpo conseguente. Ma la cosa oramai ha poca importanza: il Ponte era condannato dalla nascita, Riccardo Morandi “credeva” che i cavi di acciaio della precompressione fossero protetti dalla corrosione, ma notoriamente il calcestruzzo non protegge dalla corrosione. Consente per porosità capillare il passaggio di acqua, vapore di acqua, aria (ossigeno), salsedine marina. Questa grave lacuna conoscitiva del progettista è stata la causa del crollo.
Chi avrebbe dovuto intervenire?
Semplice: il livello manageriale in grado di comprendere il messaggio dei tecnici che indicavano la precarietà del ponte e che fosse al contempo titolare del mandato e del potere di chiudere il ponte, demolirlo e ricostruirne uno solido e senza difetti gravi come quello progettato da Riccardo Morandi.
Cosa si può apprendere dal crollo del Ponte Morandi
Il calcestruzzo armato precompresso, ideato nel 1933 da Eugene Freyssinet Ingegnere dell’Ecole Polytecnique e poi dell’Ecole Nationale des Ponts et Chaussèes e brevettato dal medesimo nel 1938, era ancora una tecnologia sperimentale negli anni 1960 in Italia, nessuna grande applicazione, nessuna esperienza pratica. Riccardo Morandi era probabilmente uno dei primi ad applicarla alla scala dei grandi ponti, in una versione da lui brevettata, non solo in Italia. L’errore commesso da Riccardo Morandi è stato nel ritenere protetto dalla corrosione l’acciaio ad alto tenore di carbonio usato per i cavi di precompressione (scorrevoli e aderenti). Forse anche in altri ponti progettati dallo stesso Freyssinet è stato commesso lo stesso errore, ma non ne ho trovato cenno in letteratura. Riccardo Morandi professionista e docente universitario, era autorevole e solitario nel suo lavoro progettuale e concettuale. È facile quindi che questo errore sia dovuto alla scarsa comunicazione e alla scarsa dialettica con colleghi e collaboratori. Nella descrizione che lo stesso Morandi fa del Ponte sul Polcevera il problema della corrosione sembra decisamente sottovalutato ecco un estratto di una sua relazione:
“La determinazione dello stato di cracking di una struttura, cioè la determinazione dell’estensione e della posizione delle fessure, può portare a due conclusioni diverse: se tutte le crepe sono quelle ipotizzate e dovute a condizioni ambientali, in tal caso, almeno a questo riguardo, la struttura è adatta per il servizio anche a lungo termine. Se invevce la struttura può mostrare aperture di crepe che superano il massimo valore accettato nel progetto o riconosciute come accettabile al momento del controllo, in questo secondo caso, di norma, le crepe possono essere causa danni alla conservazione del rinforzo – e quindi causa dell’infiltrazione di umidità o altre cose e quindi sarà necessario sigillare le crepe più larghe …
Quanto sopra, ovviamente, dovrebbe essere fatto dopo un sondaggio attraverso mezzi o prove dirette e indirette effettuate per rilevare se le fessure potrebbero aver danneggiato la capacità operativa dello stato della struttura. E, per concludere la questione delle crepe, tutto ciò che è stato detto non ha ovviamente alcun significato quando la struttura è sottoposta a prestress.”…(Riccardo Morandi)
Presa da: https://www.ingenio-web.it/articoli/cosa-scriveva-riccardo-morandi-nel-1979-del-ponte-polcevera-in-un-rapporto-internazionale/
È difficile spiegare perché il prof. ing. Riccardo Morandi non abbia colto il grande insegnamento dei grandi ponti sospesi americani (Golden Gate progettato da Joseph Strauss, 1937 e il da Verrazzano progetto Othmar Ammann, Leopold Just, 1964): tutti i componenti soggetti a corrosione sono in vista, ispezionabili e individualmente sostituibili. Oggi non c’è più un kilo di acciaio del 1937 nel Golden Gate di San Francisco. Nel Ponte sul Polcevera i cavi degli stralli tesi e delle campate orizzontali precompresse non sono in vista, non sono accessibili non sono sostituibili. Il ponte era condannato fin dal suo progetto: il limite della sua vita sicura era quello della resistenza alla corrosione dei cavi in acciaio inaccessibili e nel 1965 si sarebbe potuta dichiarare la data del probabile crollo: un anno qualunque a partire dal 2010. E’ stato il 2018, 14 di Agosto poco dopo le 11.00 a.m.
Salvo Complicazioni.
L’altro insegnamento è relativo alla “comunicazione” fra le diverse responsabilità gestionali. I responsabili della manutenzione devono essere “terzi” rispetto alla proprietà o responsabilità amministrativa del manufatto. La comunicazione di dati tecnici relativi alla stabilità del manufatto deve essere fatta in termini comprensibili dalla cultura amministrativa. Non si può evocare un generico pericolo di crollo del manufatto: vanno specificate probabilità di durata in anni, mesi e giorni e i limiti statistici della probabilità. Gli amministratori devono sapere per decidere di conseguenza. Sul Ponte di Genova dati molto precisi erano disponibili fin dal 1992 quando il ponte di Genova, insieme alla rete autostradale italiana, venne ceduto dall’Anas ai Benetton Questi dati non vennero trasmessi perché ovviamente avrebbero condannato la valutazione economica della transazione. Oggi leggendo le diverse dichiarazioni e testimonianze al processo per il crollo del 2018 tutto appare in termini chiari e ineludibili: il ponte era condannato e lo sapevano tutti. Nessuno volle dirlo esplicitamente nessuno ne volle prendere atto.
Così sono state condannate a morte 43 persone.
Lorenzo Matteoli
[1] La società finanziaria dei Benetton che aveva nel portafoglio “Autostrade per l’Italia” ed era responsabile del Ponte Morandi e della sua manutenzione.