L’idiozia pericolosa della “bassa intensità politica.”
Lorenzo Matteoli
25 Aprile, 2013
Il teatro della politica italiano ha una incredibile capacità di inventare formule e logismi nuovi, suggeriti via, via, dalle specifiche contingenze. L’ultima invenzione è quella del governo a “bassa intensità politica.” Una volta si chiamavano governi balneari, governicchi, semi balneari, estivi etc. adesso invece si chiamano a “bassa intensità politica”.
La caposcuola della nuova formula è Rosy Bindi che, pur essendo dimissionaria, con solide motivazioni visto il fallimento del PD sotto la sua presidenza, continua a dettare pareri e a emettere giudizi come se fosse ancora soggetto abilitato e qualificato.
Il PD ha una enorme difficoltà nell’indicare nomi per l’acrobatico governo Letta: le divisioni interne, le lotte di segreteria, i lunghi coltelli e le fazioni avvelenate massacreranno ogni soggetto di qualche spessore, importanza e significato politico che venisse nominato dal Primo Ministro incaricato. Pochi inoltre sono disponibili a rischiare l’avventura con Letta perché la ritengono un probabile capolinea di carriera politica nel partito allo sbando. Nessuno vuole farsi fotografare con i ministri del PdL l’ipotetico giorno del giuramento davanti a Napolitano: una foto che equivarrebbe a una condanna sicura nel clima di terrorismo ideologico che la visceralità isterica è riuscita a imporre nel PD e nel Paese.
Ecco allora che il Comitato di Salute Pubblica del PD (a guida Rosy Bindi) si inventa la formula della “bassa intensità politica”: al governo acrobatico si mandano soggetti di terza e quarta fila, gente che non ha nulla da perdere e che non ha comunque un significato impegnativo per il Partito mandante. Se potessero ci manderebbero gli usceri e gli autisti, o qualcuno che passava di lì per caso.
L’ex presidente del PD ha teorizzato la cosa in una recente intervista televisiva giustificando la posizione con un ragionamento che vale la pena riprendere e poi analizzare. Ha detto la Bindi: “…non possiamo allontanarci da un governo del presidente, da un governo di scopo, che prenda in considerazione, con discernimento, le proposte dei saggi nominati dal Presidente, ma nel quale i partiti sono un metro indietro, non un metro avanti per il semplice fatto che la nostra gente il governo delle larghe intese non lo vuole…”
In queste parole c’è la chiave per capire la ragione del fallimento del PD e della sua attuale situazione di sbando.
La ragione di essere di un Partito politico è quella di interpretare la congiuntura, elaborare una “linea strategica” con lo strumento del suo manifesto ideologico e della sua filosofia di governo della cosa pubblica e della Società e di proporre la “linea” strategica alla sua base. Si chiama responsabilità di guida o leadership ed è la componente strutturale e la ragione di essere della direzione e della segreteria di un partito politico. Il collante del Partito è il manifesto ideologico, la filosofia di governo, che è un riferimento storico relativamente consolidato. La “linea” strategica è il prodotto della elaborazione fra manifesto e attualità storica che la leadership del Partito fa sulla base delle specifiche situazioni congiunturali. Quando un Partito opera sulla base di quello che “vuole la sua gente” vuol dire che non esiste elaborazione critica, che la funzione di guida è vuota, assente, latitante. Sul tema ci sono tonnellate di letteratura e non è il caso di annoiare i miei 56 lettori con una grande analisi. Se su questa elementare ipotesi non si è d’accordo si deve spiegare a cosa serve un “capo”, un “leader”, una “Segreteria” una “Direzione”.
Perché se tutti questi organi dovessero solo servire ad eseguire quello che vuole la “nostra gente”, viene il dubbio che siano in molti ad essere ridondanti.
L’idea della gestione assembleare è fallita molte volte nel corso di qualche secolo di storia e anche molto recentemente in Italia. Una idea che consente di commettere errori mostruosi senza possibilità di correzione e senza poter individuare e perseguire responsabilità, una idea che produce il galleggiamento acritico e privo di progettualità e “telos”, che costringe a subire la storia invece che a dominarla. Sembra, agli ingenui e rozzi dilettanti della politica, una idea “di sinistra” e progressista è invece il mefitico e pericoloso innesco delle peggiori forme di squadrismo e di fascismo. La “nostra gente” ovvero la “base” senza guida è cieca, facilmente manipolabile dalla demagogia mediatica, incapace, per carenza di informazione, di associare al dato contingente la struttura del manifesto ideologico. È il Partito che deve “capire la storia” attraverso la cultura e la sensibilità dei dirigenti che deve “sentire” la “base”, ma non subirla acriticamente, e sulla base della “comprensione” deve poi interpretare la congiuntura e guidare.
Quando Rosy Bindi dice che la “nostra gente” il governo delle larghe intese non lo vuole, rivela il pauroso vuoto di leadership che ha stravolto il Partito sotto la sua presidenza. Si legge in chiaro nelle sue parole la ragione dello sbandamento, della mancanza di “telos”, progetto e guida che sta distruggendo l’ex Partito Comunista. Dopo aver costruito per venti anni l’idiosincrasia per Berlusconi quella è diventata l’unico “credo ideologico” del PD. La gabbia che imprigiona il Partito nella totale immobilità progettuale e politica.
Un minimo di esperienza storica e politica deve consentire di distinguere fra le persone e le idee: l’idea di un centro moderato, liberale e progressista si può benissimo distinguere dalla persona di Silvio Berlusconi e che non riesca a farlo un partito che per la parte cattolica ha saputo per secoli distinguere tra Papi efferati, vescovi criminali, preti pedofili, i roghi dell’Inquisizione e il culto del Cristo dei Santi e della Madonna, e che per la parte di matrice comunista ha saputo distinguere tra la gloriosa Utopia e Stalin, lo sterminio di milioni di mujiki, le torture di Laurenti Beria, i gulag, e l’annientamento fisico di milioni di oppositori del regime, è veramente una strana cosa. Questo partito che ha tollerato le più orrende efferatezze, crimini contro l’umanità, torture, genocidi e massacri di ogni genere, oggi si congela di fronte alle feste di Arcore. Del conflitto di interessi non conviene parlare perché è probabile che quello di Berlusconi sia ridicolo a fronte di quello della controparte.
Mi spiace insistere su una polemica futile del “tit for tat”, ma è proprio questo confronto che rischia di mandare a ramengo il Paese e bisogna saltarne fuori, con buona pace di Rosy che forse dovrebbe cominciare a coltivare un utile e dignitoso silenzio.
Hai ragione. Leggi Curzio Maltese oggi su Repubblica. Ciao Laura
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